Dalla camera oscura affiora il ritratto di un deviato vestito da reverendo

Da che mondo è mondo, così va e continua ad andare questo mondo, al contrario, assecondando l’assurdo, senza trasalimenti né crisi di sorta. L’abito tutela il monaco, chi sta nel ruolo e lo usa per occultare la sua vera personalità, fatte salve le apparenze. Un deviato di alto rango mascherato da religioso, astuto e subdolo, oggi lo si definirebbe un pedofilo, trattato con tutti gli onori e vezzeggiato in alta società; un genio dell’arte perseguitato per aver ritratto senza censure le nostre pulsioni più segrete. Il lato nascosto di biografie illustri racconta distorsioni abominevoli, più che mai attuali.

La casa editrice Skira, rinomata per la pubblicazione di pregevoli cataloghi d’arte, ha dato alle stampe due libri dal taglio originale e di sicuro impatto che svelano aspetti inediti o poco noti del diacono Charles Dodgson, altrimenti conosciuto come Lewis Carroll, il grande scrittore per l’infanzia di fama mondiale, (autore del celeberrimo Alice nel paese delle meraviglie (1865) e di Dietro allo specchio), e di Egon Schiele, artista “maledetto” tra i maledetti, capofila dell’espressionismo, inventore della modernità in pittura. Sono due pubblicazioni distinte, ma qualcosa le lega. Cosa hanno a che vedere questi due tipi umani? In apparenza proprio nulla. Per condizione, contesto, epoca, stile di vita, storia. Eppure un fil rouge si rintraccia nella totale alterità: l’attrazione per bambine e  adolescenti. Attrazione perversa nel caso di Dodgson che le fotografava ossessivamente per sfogare la sua devianza, anche nude; attrazione  psicologica nel caso di Schiele che le utilizzava come modelle nei disegni, in pose erotiche o scabrose per fare affiorare la sessualità, appena “scoperta” e rivelata quale movente fondamentale dell’esistenza umana dal grande padre del ‘900, Sigmund Freud. L’attrazione siffatta “costrinse” Dodgson alla permanenza in camera oscura, niente di più, da pioniere della fotografia quale fu oltre che inventore di storie sghembe, ma non compromise la sua rispettabile reputazione. Schiele invece per la sua scelta di verità, mostrare senza ipocrisia la sessualità di ognuno, anche dei minori, fu costretto alla camera di sicurezza, al carcere.

Camera oscura, è il titolo del libro di Simonetta Agnello Hornby, un racconto breve ma intenso che spinge lo sguardo dietro e oltre lo specchio delle apparenze, per restituire la faccia ben poco rassicurante del padre di Alice, avvalendosi di documenti autentici, corrispondenze epistolari e scritti dello stesso Dodgson, usati nell’invenzione e riprodotti per intero a fine libro. La Hornby, palermitana di nascita, londinese d’adozione, avvocato dei minori e scrittrice, attraverso la sua esperienza giuridica e il suo talento introspettivo femminile porta alla luce l’ambigua personalità del diacono. “Io, che sono un avvocato dei minori – scrive la Agnello Hornby nella bella postfazione – mi sono posta alcune domande specifiche. Come avrebbero potuto reagire a quel tipo di amicizia queste bambine-amiche (la cui età spaziava dai quattro ai quindici anni), incoraggiate o persino spinte dai genitori a frequentare in tete-à-tete il famoso scrittore? Che effetto fa a una bambina essere baciata da un adulto estremamente tattile che poi la fotografa nuda? E se un’adolescente si fosse innamorata di lui? O viceversa?” Già perché Dodgson, professore di logica e matematica al Christ Church, college dell’università di Oxford, presso cui risiedeva, balbuziente ma con charme, vestito sempre allo stesso modo, in abito nero clericale, alto, sottile, pallido, capelli ondulati lunghi tenuti dietro le orecchie in maniera effeminata, vanitoso, era perennemente a caccia di bambine (con un’insistenza che ricorda quella degli attuali pedofili telematici) e non esitava a usare madri e amiche mature come “talent-scout” nella sua ricerca inesauribile. Requisiti richiesti alle prede da fotografare erano per lui la baciabilità (kissable), un corpo perfettamente formato, la certezza che posassero nude e senza la presenza dei genitori. In cambio regalava alle sue piccole amiche rispetto alle quali si sentiva d’essere un fratello maggiore, uno zio, giochi meccanici, bambole, le prime edizioni dei suoi libri con dedica e le loro migliori fotografie, giochi di parole, gite. Non esitava ad avere comportamenti da molestatore, stalker diremmo oggi, per ottenere ciò che voleva: “è l’ultima volta che quelle sciagurate bambine mi fanno passare per la farsa di scaldare le sostanze chimiche. L’ho fatto martedì e all’una e ½ le aspettavo ancora”, minaccia in una lettera a una madre. E in un’altra, per chiedere il permesso a un genitore di fotografare la figlia, scrive: “Caro signore, mi è balenato, dopo che ci siamo separati in strada ieri sera, che forse lei è il proprietario di una certa Ruth Mayhew, che Mrs Arnold e altri amici mi hanno detto che dovrei fotografare”. Bizzarra idee: i figli come proprietà. E le famiglie accorrevano. Dodgson, scrive Hornby, nella postfazione, “divenne un celebrato fotografo ritrattista: non ritoccava mai le lastre, si concentrava sulla forma e non cercava di scavare nell’animo”. Quanta distanza da Schiele!

Per le famiglie aristocratiche era un gran vanto far posare le figlie, nessuna si risentì o si scandalizzò, tutte accettarono le stranezze del reverendo, eccetto una che pose fine alle sedute. Camera oscura è la storia di questa rottura. Il punto di vista adottato è quello di Ruth Matthews, personaggio ispirato a una bambina reale, che già cresciuta è tormentata dal ricordo del reverendo di cui si era innamorata da bambina amica fotografata finché il padre  aveva  interrotto bruscamente le sedute e la frequentazione. Ruth incontra Alice Liddell adulta, l’ispiratrice del libro di Alice del paese delle meraviglie, che le svela che il reverendo è solo un egoista, che ha usato lei come tutte le altre. Ruth affronta Dodgson che messo alle strette, utilizza la maschera di Lewis Carroll per buttarla in gioco, come di fatto accadeva nella vita di quest’uomo. Nel racconto, infine, il padre le svela il perché ha posto fine a quel rapporto: «Eravamo certi che lui non avesse mai toccato nessuna di voi, questo no. Un professore dell’università di Oxford non avrebbe mai fatto certe porcherie… I pervertiti si trovano nelle classi basse, tra i diseredati, gente priva di cultura… altrove, non qui… Mi pento per aver consentito a farvi fotografare senza abbigliamento. Ma tu sembravi entusiasta di posare per lui».

Personaggio duale Dodgson-Carroll: di giorno dedito alla beneficenza a favore di istituti di protezione dell’infanzia maltrattata, delle bambine a rischio abuso,  sostenitore della campagna contro la prostituzione infantile; nelle notti insonni, invece, tormentato dai sensi di colpa per pensieri impuri e peccaminosi, come raccontano i suoi diari. Protetto dall’abito talare, è passato alla storia come lo scrittore per l’infanzia, l’inventore di Alice nel paese delle meraviglie “indiscusso capolavoro della letteratura mondiale e del tutto privo di morale, come d’altronde fu il suo autore”, conclude la Hornby.

Un clima del tutto diverso si respira nelle pagine del Diario dal carcere di Egon Schiele, per la prima volta pubblicato in Italia, tradotto integralmente dalla prima edizione viennese del 1922. Il giovane pittore talentuoso che morì a soli 28 anni per un’influenza spagnola che uccise prima di lui la moglie incinta di sei mesi, ebbe una vita tragica come la sua opera. Nel 1900 L’interpretazione dei sogni di Freud aprì il varco all’inconscio e al potere della sessualità. E Schiele attraverso la pittura si calò nell’esplorazione della dimensione oscura della personalità umana, a cominciare dal sesso. La società viennese asburgica lo rifiutò. Non solo fu bollato come pittore morboso, pornografo, erotomane. Il continuo viavai di adolescenti nel suo atelier gli provocò una denuncia per aver esposto materiale pornografico in un luogo accessibile ai minori. Non solo. Fu accusato di aver sedotto una quattordicenne, figlia di un alto dirigente e di avere esposto nel suo studio materiale pornografico. Accusa rivelatasi poi falsa.  Per questi motivi, fu arrestato e sbattuto in prigione per 24 giorni. Fu liberato grazie a un avvocato importante ingaggiato da un mecenate e fu assolto dalla seconda imputazione, ma non dalla prima e secondo il diario condannato all’azione dimostrativa del giudice che in pubblico avrebbe bruciato un disegno incriminato dei più di cento sequestrati dalla polizia. Il diario racconta con toni accesi ed esasperati, come nei suoi quadri, le durissime condizioni di detenzione e lo shock subito. Sull’autenticità dello scritto, curato dall’amico e suo biografo, Arthur Roessler, ci sono molte perplessità. Lo dice nella postfazione all’opera, la storica dell’arte Federica Ammiraglio: “Nessun manoscritto è stato trovato e il contenuto delle pagine è costruito con troppa accortezza per essere realmente spontaneo. Forse Roessler manipolò pesantemente il racconto del suo protetto, di cui aveva tutto l’interesse a propagare la fama, o forse attribuì a Schiele pagine scritte in toto da lui stesso”.

Come che sia, il documento è di grande interesse e la lettura molto coinvolgente. Un monologo che è costruito come un pezzo di teatro, all’insegna dell’effetto sorpresa e dello svelamento ritardato: solo alla fine si apprende il reale motivo dell’arresto. All’inizio l’artista nulla sa della sua condizione e per non impazzire si mette a dipingere sul muro della cella “con dita tremanti inumidite nella mia saliva amara”. Finché ha di nuovo l’occorrente per dipingere: “Posso dipingere e così posso sopportare ciò che altrimenti sarebbe stato insopportabile”. Restano i disegni composti in prigione, tra cui due autoritratti e acclusi nel volume. C’è la disperazione e la perdita di ogni riferimento temporale: “Da quanto tempo sono prigioniero? Io che sono uno spirito fra i più liberi per natura, legato soltanto a quella legge che non è la legge dei più”. Tutto converge secondo Federica Ammiraglio “a dimostrare una serie di assiomi che affondano le loro radici nel Romanticismo e nella rivoluzione compiuta dalla secessione viennese. L’artista è investito da una missione sacrale ed è destinato a soffrire – addirittura a diventare un martire – per colpa di una società ignorante e brutale, non in grado di comprenderlo”. Dice Schiele o chi per lui nel diario: “Nessuna opera d’arte erotica è oscena se è artisticamente rilevante; può renderla oscena solo l’osservatore che sia intimamente volgare”. Apre uno squarcio sulla sessualità dei bambini, rimossa o negata dalla retorica sull’infanzia che non ha niente a che vedere con la legittimazione della pedofilia: “Hanno dimenticato la terribile passione amorosa che da piccoli gli ardeva dentro e li tormentava? Io non l’ho dimenticata perché mi ha fatto soffrire orribilmente. E credo che l’uomo debba soffrire per il tormento del sesso finché è capace di sensazioni sessuali”. Infine, a proposito della censura e del suo disegno bruciato: “Castrazione istituzionalizzata! Ipocrisia!  Ma certo correte nei musei e fate a pezzi le opere d’arte migliori. Chi rinnega il sesso è un individuo sporco e offende nella maniera più spregevole i genitori che lo hanno concepito”.

Forse cadiamo in una trappola di stampo romantico. Se il diario non è autentico ed è stato costruito a tavolino, l’esistenza di Schiele lo è stata, la sua opera anche e quelle sue tipiche figure agonizzanti, tutte ossa, occhi scavati, genitali, continuano a mostrarci le piaghe del nostro inconscio.

Titolo: Camera oscura
Autore: Simonetta Hornby Agnello
Editore: Skira
Dati: 2010, 144 pp., 16 colori, 15,00 €

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Titolo: Egon Schiele, Diario dal carcere
Autore: Arthur Roessler
Editore: Skira
Dati: 2010, 72 pp., 14 colori 14,00 €

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