L’incognita postmoderna tra identità transnazionale e sindromi in punta di mouse

Alex_Katz_15“L’effetto delle migrazioni di massa è stato la creazione di tipologie umane radicalmente nuove. Persone che sono radicate alle idee piuttosto che ai luoghi, ai ricordi piuttosto che alle cose materiali, persone che sono state obbligate a definirsi, poiché gli altri le hanno obbligate a definirsi  in tal modo in relazione alla loro diversità; persone nel cui profondo avvengono strane fusioni, unioni senza precedenti tra ciò che erano e dove si trovano”. Lo scrittore indiano, icona della letteratura post coloniale Salman Rushdie, nel libro Patrie immaginarie individua specie antropologiche venute fuori da flussi, transiti in uno spazio ‘debordato’. Umanità sformata e trasformata da una sindrome del migrante che colpisce tutti, anche chi non si è mai mosso dal paese natale. Destino che accomuna chi è post-moderno, non certo per talento proprio né per vocazione, ma solo per essersi incarnato in quest’epoca, mondo, realtà.  Che lo si sappia o no, abitiamo uno spazio transnazionale che rimescola protocolli, pezze d’appoggio reali o presunte, ma soprattutto carte d’identità convenzionali al punto che più facile è dire chi non siamo che chi potremmo mai essere. Che razza d’umanità popola allora oggi il globo postmoderno? Che sia forse  una ‘generazione Otaku’, genìa di uomini-animali, tutta superficialità e accumulo dati, secondo la tesi del filosofo giapponese Hiroki Azuma? Certo trattasi di umanità strapazzata, rivoltata da un ‘vento globale’, scossa dalla scomparsa della coincidenza fondante tra esistenza e luoghi, identità e geografia; alle prese con la complessità e il caos dei sistemi, caratteri che si traducono in psicopatologie d’intensità e quantità senza precedenti nella storia umana. I dinosauri si sono estinti, il mouse no, tutt’altro: che forse, al contrario, ha già fatto estinguere più di qualcosa in noi ‘umane’ genti. Interrogarsi su chi siamo è esercizio utile per tutti dall’invenzione del pensiero; è doveroso lo facciano psichiatri e psicoterapeuti. Specie chi tra loro coraggiosamente scelga di abbandonare il porto sicuro di paradigmi anacronistici per navigare nel mare aperto di sfide epistemologiche senza precedenti, come fa Paolo Cianconi, psichiatra, psicoterapeuta, etno-antropologo di quelli che si immergono nella realtà che sia lavorare in carcere, vivere le favelas, le periferie del mondo. Altrimenti hai voglia a cercare il paziente: non lo si trova più in nessun luogo.paul_delvaux_theredlist

Di ‘Identità transnazionali e loro destrutturazione psichica’ Cianconi, autore del pregevole volume pubblicato nel 2012 Addio ai confini del mondo – Per orientarsi nel caos postmoderno (Franco Angeli editore, 39,00 €), un faro acceso sul nostro spaesamento al di là delle facciate, ha dialogato con Corrado Pontalti (past president della Coirag. e del Laboratorio di Gruppoanalisi) e Ugo Corino (attuale presidente)  nell’ambito dei Dialoghi sulla clinica nella modernità.  Si tratta di un ciclo di seminari che il Laboratorio di Gruppoanalisi tiene a Roma per indagare le aree di confine che preannunciano e anticipano la clinica del futuro. Cianconi ha ripercorso l’iter che ha portato alla nascita dello spazio transnazionale che oggi abitiamo: portato del colonialismo che  conduce al punto in cui con la globalizzazione i  luoghi non hanno più rintracciabilità fisica. Per chi fa il terapeuta ciò significa avere a che fare con “identità che sono più appartenenze a un flusso che a un luogo” e la difficoltà è trovare dove abitino davvero queste identità. C’è stato un prima del colonialismo quando l’identità europea era moderata, regolare, stabile, riconoscibile. Dal ‘500 in poi è iniziato “un gigantesco flusso di roba nuova dalle colonie come oggi c’è un flusso che ci porta Internet”: da allora niente è stato più come prima; sono state poste le basi per la creazione dello spazio transnazionale; la continuità della storia è venuta meno; nelle colonie hanno prevalso la creolizzazione, il meticciato, il mescolamento e “la creolizzazione nella colonia, è la globalizzazione attuale”. Prima sono state le merci a spostarsi, ora sono “i cavi di Internet dentro cui viaggiano i sistemi di flusso finanziario”. Il grande flusso di uomini, materie, comunicazione (diventata ipertrofica nel mondo postmoderno) “è stato la base di costruzione di una nuova trama, cosa concreta, per la nostra identità psicologica” fino ad approdare allo spazio instabile e mutante. Anche quello di Internet: c’è gente che ci passa o addirittura ci vive in questo luogo-non luogo, proprio come i migranti. “Esistono individui, famiglie, gruppi e comunità transnazionali. Ci sono persone che possono risiedere più in uno spazio come questo che in uno fisico. Non si può pensare che non esista, richiede competenze particolari. Bisogna che noi terapeuti ragioniamo su tali nuove dimensioni”.

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Difficile sentirsi esistere se i luoghi sono fuggevoli, aumenta la complessità, aumentano le discrasie, la tempistica dei cambiamenti è accelerata, non c’è più nessuna linearità, l’evoluzione è diventata ‘cespugliforme’. “Come psicoterapeuti dobbiamo essere consapevoli che esistono sindromi della modernità e nuove sindromi della postmodernità”. Certo che le crisi e le fasi di cambiamento hanno sempre fatto parte della storia umana, “ma la crisi con l’oggetto mouse è diversa dalla crisi dell’uomo alla fine dell’impero romano. La postmodernità si ricompatterà in qualcosa di molto più chiaro ma ora siamo in una fase di transito, di frontiera”, ancora difficile decifrare i fenomeni e trovare un linguaggio esplicativo. La glocalizzazione, ovvero il passaggio della globalizzazione in ambito locale, ha fatto sì che il problema identitario abbia coinvolto intere popolazioni. L’informazione assume allora un ruolo preponderante ma “è asimmetrica e asincrona: sai tutto ma non hai la capacità di discriminare le informazioni”. La globalizzazione determina il formarsi di ‘terre vulnerabili’ e ‘frontiere interne’, città nella città, “città mondo in cui è sempre più difficile distinguere tra qui e altrove”, secondo la definizione dell’etno-‘antropologo francese Marc Augè. E comunque, ancora Cianconi, “l’individuo può vivere psichicamente scisso dal posto dove abita, viene istruito globalmente”. Indispensabile è riflettere sul rapporto tra globalizzazione urbana e salute mentale. Psichiatria e psicologia si rivelano ‘efficaci’ a intervenire nel caso di disturbi conclamati, ora sono chiamate in causa per affrontare problemi dilaganti  quali, per citarne solo alcuni, aumento dell’ansia (il caso dei terremoti in Italia), urbanizzazione e disturbi di personalità; incremento di depressioni e suicidi (sindromi della crisi economica in Grecia, Italia, Irlanda), ricerca di soluzioni impulsive (gambling, danger seeking). A tutto ciò si oppone in ambito terapeutico un generico concetto di resilienza. Intanto la psichiatria stessa vacilla: ci sono cose di cui non si era mai occupata e gli strumenti della monodisciplinarietà non valgono più: “oggi è impossibile non lavorare in maniera multidisciplinare”. Il meticciato è in corso anche tra ambiti del sapere prima distinti. I concetti diagnostici di disturbo dell’adattamento e disturbo post traumatico da stress potrebbero non essere più sufficienti a descrivere certe patologie e la depressione potrebbe smettere di esser considerata una patologia per diventare una struttura mentale in dotazione al sapiens. Nella lotta tra invarianti e mutazioni, le trasformazioni in corso ci obbligano a cambiare paradigmi e secondo la definizione di Corrado Pontalti a considerare il paziente come “il nuovo  Virgilio che ti porta in territori sconosciuti”. Così forse il terapeuta può ripercorrere i luoghi dove si sono persi o smarriti i codici  d’identità individuali e collettivi. E al di là di questo specifico rapporto,  ognuno può chiedersi dove abiti la mente abitando luoghi che oggi ci sono, domani forse no. Sembra si realizzi in forme e tempi senza precedenti quel divenire, persino un po’ zen, preannunciato dal filosofo greco Eraclito. Scrive Cianconi: “Le prossime generazioni, e almeno alcune di quelle presenti, dovranno fare i conti con la resa del mondo che conoscevamo, mentre già emerge il nuovo sistema, e navigarci dentro. Mentre i confini collassano, le cose si trasformano.

AddioTitolo: Addio ai confini del mondo. Per orientarsi nel caos postmoderno
Autore: Paolo Cianconi
Editore: Franco Angeli
Data di Pubblicazione: Aprile 2012
Pagine: 368
Prezzo: 39,00 €

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