Some songs are better than others

Inevitabilmente nel mare magnum di produzioni musicali con cui ci troviamo a combattere ogni  giorno (e ben venga, per carità) capita che qualcosa ci sfugga. Come capita anche di ascoltare pessimi dischi che si cancellano anche fin troppo brutalmente con un colpo di clic. Ma ci sono poi quegli album che ascolti una volta, due volte, tre volte. Ti dici be’ dai, non è male, ma che poi più in là non vanno. Dischi medi, non perfettamente riusciti forse, o non nelle nostre corde in quel preciso momento ma che presentano due o tre episodi di una bellezza cristallina, due o tre pezzi che, quelli sì, ti porterai dietro per tutto l’anno,che ascolterai e riascolterai tra un album e un altro. Ce ne sono di questi dischi e quasi mai riescono a trovare spazio anche solo per una menzione. Apriamo dunque questa parentesi, vediamo cosa ci troviamo.

America, Minnesota 1993. Si formano i Low, gruppo nato intorno alla coppia Alan Sparhawk e Mimi Parker che avrà una storia durevole e di discreta importanza nel ristretto mondo dell’indie rock. E a quasi vent’anni di distanza sono ancora sulla cresta dell’onda con un disco, il nono,  fresco fresco di stampa, C’mon (Subpop, 2011). Rispetto agli ultimi due acclamati album, The Great Destroyer (Subpop, 2005) e Drums and Guns (Subpop, 2007) che viravano più decisamente verso il rock, con questo la band di Duluth ritorna all’antico tanto da registrare il disco nella stessa chiesa di Trust (Kranky, 2002). E il salto non è indolore. Pur aprendosi più che degnamente con uno dei pezzi, a mio avviso, più belli della carriera dei Low, Try to sleep, l’album in genere manca di compattezza e accanto a brani davvero notevoli ce ne sono altri che scivolano via abbastanza scialbamente.

Come già detto Try to sleep apre egregiamente le danze: le voci di Alan e Mimi si intrecciano delicatamente in una melodia che avvolge e commuove. Anche la seguente You see everything agisce sulle stesse corde seppure in tono minore. Withces restituisce vigore con il riff di chitarra iniziale su cui si imposta tutta la struttura del pezzo.  Especially me, invece, qualche pezzo più in là, si tinge di scuro portando in primo piano la voce di Mimi: una ballad elettrica vecchio stile, una canzone da ascoltare in repeat nelle notti insonni, in cuffia e possibilmente da solo, quando affanni e piccole preoccupazioni non ti lasciano dormire. E subito dopo alzare il volume a palla per ascoltare la trascinante e ipnotica cavalcata di Nothing But Heart, tutta concentrata nel loop di chitarre e voce in cui l’ affermazione-manifesto  “ i’m nothing but heart”  ripetuta all’infinito come un mantra ci trasporta per otto minuti verso una catarsi elettrificata culminante in un crescendo vorticoso di cori e distorsioni: un pezzo epico, forse il migliore del disco che ben conclude la mia personale tracklist di C’mon.

http://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Ftracks%2F14353423 Low – Nothing but heart by ciaciod

Un disco riuscito a metà dunque, in precario equilibrio tra i vecchi Low e i meno vecchi, che cerca di restituire atmosfere passate saltando a piè pari quella che è stata la storia più recente della band. Un lavoro troppo difficile forse, che rischia di diventare un’operazione nostalgia e basta. Ma la bravura e il talento della band hanno arginato questo pericolo regalandoci, se non altro, almeno una manciata di pezzi da conservare per mesi nelle nostre playlist.