Da Mata Hari a Matta Eri: la parabola di un’epoca labile

L’esperimento del libro pescato nel mucchio diverte e dà soddisfazione. È  un passatempo da suggerire con cognizione di causa e irraggiamento di piaceri differenziati: piace ai venditori del mercato che guadagnano nuovi  clienti e quasi abituali, piace a chi lo fa perché è giocato dal suo stesso gioco, piace al caso che lavora al modo giusto secondo il principio di sincronicità di Jung.

Questa settimana ho scovato Danza fatale, il mistero di Mata Hari, di Donatella Bindi Mondaini. Il libro delle edizioni El, fa parte della collana Sirene, destinata a un pubblico di giovanissimi lettori, preadolescenti (esistono?) e adolescenti, ma  è godibilissimo anche da parte di adolescenti di ritorno. O di anime comunque giovani, mai state adolescenti. La collana ha un taglio originale perché racconta in maniera romanzata la storia di personaggi al femminile dall’esistenza non proprio “fiabesca”, secondo un’idea convenzionale di fiaba, né di facilissimo tornaconto pedagogico, tra cui Cleopatra, Rosa Luxemburg, Cristina Belgioioso, e Artemisia.  Di Mata Hari è raccontata la vita con prosa agile e vivace, abbinata a capacità inventiva, quel tanto che basta a dare forza d’impatto e destare interesse. Il libro è un buon pretesto per ricordare questa donna. Margarethe Gertrude Zelle, di nascita olandese, è stata un’anticonformista che ha pagato caro la sua scelta, ricordata per essere stata ballerina e la prima stripteauser.

La sua storia è più o meno nota: bambina amatissima dal padre, ricco fabbricante di cappelli, destinata a una vita agiata, finché il dissesto economico paterno non cambia le cose. Nascono dissidi tra i genitori che si separano, la madre muore dopo qualche anno, la bambina viene affidata al padrino che la fa studiare come maestra d’asilo. Pare che le attenzioni del direttore della scuola nei suoi confronti, abbiano spinto il padrino a mandarla da uno zio. Margarethe risponde a un inserzione matrimoniale di un ufficiale, di vent’anni più grande di lei, si incontrano, scoppia la passione, di lì a qualche mese comincia la sua vita matrimoniale. La coppia si imbarca per Giava, Indonesia, dove il capitano presta servizio, hanno due figli. Margarethe è curiosa e inquieta. Ha occasione di assistere a una danza locale in un tempio, ne è affascinata, comincia a sviluppare interesse per la danza. Il menage coniugale non è facile a causa della gelosia del marito che la picchia e la tradisce, e la sua insofferenza a tale subalternità aumenta. Tutto precipita quando accade una tragedia familiare: il bambino muore, avvelenato da una domestica indigena solo per ragioni di vendetta. Tornano in Olanda, ma il rapporto tra i coniugi finisce, si separano, la bambina viene affidata al padre. Margarethe tenta l’avventura della grande città, va a Parigi e cerca di mantenersi prima come modella, poi facendo comparsate a teatro, ma senza successo. Finché conosce il proprietario di un circo e inizia a esibirsi come amazzone.

Una sera in una casa privata si esibisce per la prima volta in una sorta di danza giavanese, ottiene grande successo. Da lì all’approdo nei principali teatri d’Europa con il nome d’arte di Mata Hari, Occhio del giorno in malese, il passo è breve. La sua danza che abbina esotismo ad erotismo, mistero e seduzione conquista il pubblico d’Europa. La sua fama si diffonde, grazie anche al personaggio che lei stessa contribuisce a creare, un minestrone orientaleggiante, per via dei suoi connotati esotici: carnagione bruna, occhi e capelli scuri, sembrano dare ragione alle leggende sulla sua origine indiana. Già in vita sono pubblicate due biografie, una scritta dal padre, che esalta la figlia più per esaltare se stesso, inventando anche lui parentele con re e principi, e quella, di segno opposto dell’ avvocato del suo ex-marito. Mata-Hari, naturalmente, conferma la versione del padre: l’ex-cappellaio è un nobile ufficiale, mentre sua nonna era una principessa giavanese. Contribuisce a diffondere una moda esotica e il fascino per l’Oriente, è riconosciuta come una grande ballerina, ma non riesce a farsi scritturare nella compagnia del celebre ballerino russo Diaghilev.  Colleziona successi e tanti amanti, tra i quali diplomatici e militari d’alto grado.

Quando scoppia la prima guerra mondiale,  il quadro cambia: il lavoro è poco, le condizioni incerte, ha sempre bisogno di molti soldi per continuare a fare la vita agiata che ama fare. Un suo amante, un diplomatico tedesco all’Aja, le dà un incarico segreto e un nome in codice: H21. Da allora diventa spia per conto dei tedeschi, ma non è certo se e quanto abbia davvero preso sul serio la missione. Forse vissuta come un gioco, o un modo per fare soldi. A Parigi, accetta di diventare una spia francese, dietro il compenso astronomico di un milione di franchi, pare per potersi ricongiungere con un suo amante, un capitano russo di cui è innamorata. La più famosa spia al mondo forse non ha mai svolto questo compito,  troppo occupata a guadagnare e amare. In ogni caso, quando in Germania sospettano il doppio gioco, Mata Hari è arrestata. Contro di lei mancano solide prove. Però viene condannata e giustiziata tramite fucilazione il 15 ottobre 1917. Ha 41 anni. Quella mattina si veste con cura come per eseguire al meglio la sua ultima danza, rifiuta di farsi bendare, manda un bacio al plotone d’esecuzione, il suo ultimo pubblico. Se ha avuto colpa è d’essere stata bella, indipendente, ricca, colta, avventurosa, e come da lei stesso ammesso durante il processo, di aver avuto numerosi amanti conducendo un gioco che le è costato la vita. Insomma la colpa d’essere immorale, scandalosa e libera, amante del sesso e del lusso, e di essere un perfetto capro espiatorio in un contesto alla ricerca del responsabile. La Francia stava subendo gravi perdite in guerra, aveva bisogno di un colpevole che spiegasse la morte di 50 mila soldati e rinsaldasse l’orgoglio nazionale. Chi meglio di una donna con siffatta storia?  Una prostituta, secondo la morale del tempo. Infatti la condanna è senza possibilità di appello, dopo un processo rapido e a porte chiuse.

Due ripescaggi nel ripescaggio: il film più famoso è del 1931, del regista George Fitzmaurice, con l’interpretazione di Greta Garbo, una leggenda lei stessa, che ne fa una donna senza scrupoli che utilizza il suo fascino misterioso per intessere  relazioni con importanti autorità militari. Un giovane tenente si innamora di lei e la spia ne approfitta per carpire informazioni, finché è vinta dal sentimento ricambiato che le costa la vita.
Negli stessi anni, ben alto tono e sembianze ha Mata Hari nelle mani dell’inventore dell’umorismo moderno, che ancora alimenta il serbatoio comico, cinematografico e televisivo: Achille Campanile. Una sua rubrica su un giornale umoristico, è intitolata “Matta eri”: qui il meccanismo comico si basa sull’invenzione di una rivale della spia la cui gelosia fa saltare i piani e provoca guai. C’è da fare un salto in una emeroteca, magari della Biblioteca nazionale di Roma, per saperne senz’altro di più.

Un riferimento bibliografico attuale: la biografia dell’antropologa americana Pat Shipman, Mata Hari, femme fatale rivede la storia della donna fatale alla luce di lettere e diari inediti: più che una spia traditrice  c’è il ritratto di una donna tradita dagli uomini amati, vittima del pregiudizio, ma anche della ragion di stato.  Altro suggerimento di lettura, Violent Femmes. Donne spia, da Mata Hari ad Alias, di Rosie White, (Odoya edizioni, 2008, prefazione di Carmen Covito).  La figura della donna-spia continua a suggestionare l’immaginario collettivo; dal cinema alla fiction televisiva, dalla letteratura al videogioco. Il ruolo e la rappresentazione della donna-spia si sono trasformati con l’evolversi della società. Restano sempre i pruriti e morbosità di sottofondo. Resta la contraddizione tra femminilità, potere, sessualità, identità nazionale. Certo è che Mata Hari alimenta ancora curiosità e interesse. Chissà cosa direbbe oggi, se piombasse in Italia, nel trovare in azione squadroni di cosiddette escort, lei che praticò il sesso per puro piacere, seppe inventarsi un personaggio, visse a colpi di fantasia e audacia, forse con punte di ingenuità, fu artefice delle sue fortune, meno dell’epilogo della sua vita. Chissà cosa direbbe della mostra, ovunque e comunque, di corpi nudi di donna, esibiti senza originalità né talento alcuno, o degli harem in nome neanche più di una ragione di stato ma degli appetiti del generalissimo di turno sulla via del tramonto. Chissà cosa direbbe,  infine, se mai fu spia, a vedere in questo paese uno spionaggio femminile improntato all’esercizio del ricatto, consumato attraverso telefonini in regge d’alto rango, tutte di proprietà del padrone dell’Italia spa, spionaggio praticato in cambio di tanto denaro in una botta o di una comparsata televisiva.

Titolo: Danza fatale. Il mistero di Mata Hari
Autore: Donatella Bindi Mondaini
Editore: EL
Dati: 2004, 136 pp., 12,00 €

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L’esperimento del libro pescato nel mucchio diverte e dà soddisfazione. È un passatempo da suggerire con cognizione di causa e irraggiamento di piaceri differenziati: piace ai venditori del mercato che guadagnano nuovi clienti e quasi abituali, piace a chi lo fa perché è giocato dal suo stesso gioco, piace al caso che lavora al modo giusto secondo il principio di sincronicità di Jung. Questa settimana ho scovato “Danza fatale, il mistero di Mata Hari”, di Donatella Bindi Mondaini. Il libro delle edizioni El, fa parte della collana Sirene, destinata a un pubblico di giovanissimi lettori, preadolescenti (esistono?) e adolescenti, ma è godibilissimo anche da parte di adolescenti di ritorno. O di anime comunque giovani, mai state adolescenti. La collana ha un taglio originale perché racconta in maniera romanzata la storia di personaggi al femminile dall’esistenza non proprio “fiabesca”, secondo un’idea convenzionale di fiaba, né di facilissimo tornaconto pedagogico, tra cui Cleopatra, Rosa Luxemburg, Cristina Belgioioso, e Artemisia. Di Mata Hari è raccontata la vita con prosa agile e vivace, abbinata a capacità inventiva, quel tanto che basta a dare forza d’impatto e destare interesse. Il libro è un buon pretesto per ricordare questa donna. Margarethe Gertrude Zelle, di nascita olandese, è stata un’anticonformista che ha pagato caro la sua scelta, ricordata per essere stata ballerina e la prima stripteauser.

La sua storia è più o meno nota: bambina amatissima dal padre, ricco fabbricante di cappelli, destinata a una vita agiata, finché il dissesto economico paterno non cambia le cose. Nascono dissidi tra i genitori che si separano, la madre muore dopo qualche anno, la bambina viene affidata al padrino che la fa studiare come maestra d’asilo. Pare che le attenzioni del direttore della scuola nei suoi confronti, abbiano spinto il padrino a mandarla da uno zio. Margarethe risponde a un inserzione matrimoniale di un ufficiale, di vent’anni più grande di lei, si incontrano, scoppia la passione, di lì a qualche mese comincia la sua vita matrimoniale. La coppia si imbarca per Giava, Indonesia, dove il capitano presta servizio, hanno due figli. Margarethe è curiosa e inquieta. Ha occasione di assistere a una danza locale in un tempio, ne è affascinata, comincia a sviluppare interesse per la danza. Il menage coniugale non è facile a causa della gelosia del marito che la picchia e la tradisce, e la sua insofferenza a tale subalternità aumenta. Tutto precipita quando accade una tragedia familiare: il bambino muore, avvelenato da una domestica indigena solo per ragioni di vendetta. Tornano in Olanda, ma il rapporto tra i coniugi finisce, si separano, la bambina viene affidata al padre. Margarethe tenta l’avventura della grande città, va a Parigi e cerca di mantenersi prima come modella, poi facendo comparsate a teatro, ma senza successo. Finché conosce il proprietario di un circo e inizia a esibirsi come amazzone. Una sera in una casa privata si esibisce per la prima volta in una sorta di danza giavanese, ottiene grande successo. Da lì all’approdo nei principali teatri d’Europa con il nome d’arte di Mata Hari, Occhio del giorno in malese, il passo è breve. La sua danza che abbina esotismo ad erotismo, mistero e seduzione conquista il pubblico d’Europa. La sua fama si diffonde, grazie anche al personaggio che lei stessa contribuisce a creare, un minestrone orientaleggiante, per via dei suoi connotati esotici: carnagione bruna, occhi e capelli scuri, sembrano dare ragione alle leggende sulla sua origine indiana. Già in vita sono pubblicate due biografie, una scritta dal padre, che esalta la figlia più per esaltare se stesso, inventando anche lui parentele con re e principi, e quella, di segno opposto dell’ avvocato del suo ex-marito. Mata-Hari, naturalmente, conferma la versione del padre: l’ex-cappellaio è un nobile ufficiale, mentre sua nonna era una principessa giavanese. Contribuisce a diffondere una moda esotica e il fascino per l’Oriente, è riconosciuta come una grande ballerina, ma non riesce a farsi scritturare nella compagnia del celebre ballerino russo Diaghilev. Colleziona successi e tanti amanti, tra i quali diplomatici e militari d’alto grado. Quando scoppia la prima guerra mondiale, il quadro cambia: il lavoro è poco, le condizioni incerte, ha sempre bisogno di molti soldi per continuare a fare la vita agiata che ama fare. Un suo amante, un diplomatico tedesco all’Aja, le dà un incarico segreto e un nome in codice: H21. Da allora diventa spia per conto dei tedeschi, ma non è certo se e quanto abbia davvero preso sul serio la missione. Forse vissuta come un gioco, o un modo per fare soldi. A Parigi, accetta di diventare una spia francese, dietro il compenso astronomico di un milione di franchi, pare per potersi ricongiungere con un suo amante, un capitano russo di cui è innamorata. La più famosa spia al mondo forse non ha mai svolto questo compito, troppo occupata a guadagnare e amare. In ogni caso, quando in Germania sospettano il doppio gioco, Mata Hari è arrestata. Contro di lei mancano solide prove. Però viene condannata e giustiziata tramite fucilazione il 15 ottobre 1917. Ha 41 anni. Quella mattina si veste con cura come per eseguire al meglio la sua ultima danza, rifiuta di farsi bendare, manda un bacio al plotone d’esecuzione, il suo ultimo pubblico. Se ha avuto colpa è d’essere stata bella, indipendente, ricca, colta, avventurosa, e come da lei stesso ammesso durante il processo, di aver avuto numerosi amanti conducendo un gioco che le è costato la vita. Insomma la colpa d’essere immorale, scandalosa e libera, amante del sesso e del lusso, e di essere un perfetto capro espiatorio in un contesto alla ricerca del responsabile. La Francia stava subendo gravi perdite in guerra, aveva bisogno di un colpevole che spiegasse la morte di 50 mila soldati e rinsaldasse l’orgoglio nazionale. Chi meglio di una donna con siffatta storia? Una prostituta, secondo la morale del tempo. Infatti la condanna è senza possibilità di appello, dopo un processo rapido e a porte chiuse.

Due ripescaggi nel ripescaggio: il film più famoso è del 1931, del regista George Fitzmaurice, con l’interpretazione di Greta Garbo, una leggenda lei stessa, che ne fa una donna senza scrupoli che utilizza il suo fascino misterioso per intessere relazioni con importanti autorità militari. Un giovane tenente si innamora di lei e la spia ne approfitta per carpire informazioni, finché è vinta dal sentimento ricambiato che le costa la vita.

Negli stessi anni, ben alto tono e sembianze ha Mata Hari nelle mani dell’inventore dell’umorismo moderno, che ancora alimenta il serbatoio comico, cinematografico e televisivo: Achille Campanile. Una sua rubrica su un giornale umoristico, è intitolata “Matta eri”: qui il meccanismo comico si basa sull’invenzione di una rivale della spia la cui gelosia fa saltare i piani e provoca guai. C’è da fare un salto in una emeroteca, magari della Biblioteca nazionale di Roma, per saperne senz’altro di più.

Un riferimento bibliografico attuale: la biografia dell’antropologa americana Pat Shipman, “Mata Hari, femme fatale” rivede la storia della donna fatale alla luce di lettere e diari inediti,: più che una spia traditrice c’è il ritratto di una donna tradita dagli uomini amati, vittima del pregiudizio, ma anche della ragion di stato. Altro suggerimento di lettura, “Violent Femmes. Donne spia, da Mata Hari ad Alias”, di Rosie White, (Odoya edizioni, 2008, prefazione di Carmen Covito). La figura della donna-spia continua a suggestionare l’immaginario collettivo; dal cinema alla fiction televisiva, dalla letteratura al videogioco. Il ruolo e la rappresentazione della donna-spia si sono trasformati con l’evolversi della società. Restano sempre i pruriti e morbosità di sottofondo. Resta la contraddizione tra femminilità, potere, sessualità, identità nazionale. Certo è che Mata Hari alimenta ancora curiosità e interesse. Chissà cosa direbbe oggi, se piombasse in Italia, nel trovare in azione squadroni di cosiddette escort, lei che praticò il sesso per puro piacere, seppe inventarsi un personaggio, visse a colpi di fantasia e audacia, forse con punte di ingenuità, fu artefice delle sue fortune, meno dell’epilogo della sua vita. Chissà cosa direbbe della mostra, ovunque e comunque, di corpi nudi di donna, esibiti senza originalità né talento alcuno, o degli harem in nome neanche più di una ragione di stato ma degli appetiti del generalissimo di turno sulla via del tramonto. Chissà cosa direbbe, infine, se mai fu spia, a vedere in questo paese uno spionaggio femminile improntato all’esercizio del ricatto, consumato attraverso telefonini in regge d’alto rango, tutte di proprietà del padrone dell’Italia spa, spionaggio praticato in cambio di tanto denaro in una botta o di una comparsata televisiva.