Mediterraneo FilmFestival 2012 / Le donne del sesto piano

Iglesias, in collaborazione con Carbonia, detiene dal 2009 la “palma” di provincia più povera d’Italia. Da allora la situazione è sensibilmente peggiorata. Ci troviamo nel Sulcis-Iglesiente, sud-ovest della Sardegna, cinquanta chilometri da Cagliari. Nonostante questo ad Iglesias, tra gennaio e febbraio, si è tenuta la settima edizione del Mediterraneo FilmFestival, organizzato dall’ARCI in collaborazione con enti locali, scuole e associazioni culturali. Del resto, come diceva un ministro, con la cultura non si mangia. Appunto. Però forse con la cultura ci si può rendere conto di una cosa: la prostrazione sociale in cui si vive non è l’immutabile castigo di Dio, è il frutto delle azioni degli uomini, e come tale può essere cambiata. Per anni ad Iglesias non c’è stato nemmeno un cinema; da quando hanno aperto la multisala è possibile vedere i blockbuster americani e buona parte della distribuzione italiana. I film di altri paesi e le produzioni indipendenti di rado si diffondono oltre Cagliari. Il Mediterraneo FilmFestival ha permesso di colmare questa lacuna. In venti giorni sono stati proiettati (tutti a ingresso gratuito) circa quaranta film, che spesso declinavano in forme diverse il tema dell’interrelazione tra i popoli, come Almanja di Samdereli, Il villaggio di cartone di Olmi, Terraferma di Crialese o Miracolo a Le Havre di Kaurismaki. Mentre fra i documentari proposti ricordiamo almeno Itay: love it or leave it di Gustav Hofer e Luca Ragazzi e Barcelona en dos colors di Alberto Diana, vincitore del Babel Film festival 2011.

Il nostro corrispondente di AtlantideZine ha visto e commentato per voi l’ultimo film proposto dalla rassegna, la sera del 15 febbraio, di fronte a una sala gremita. Le donne del sesto piano è una commedia sentimentale di Philippe Le Guay, che ha riscosso in Francia un enorme successo, superando i due milioni di spettatori. Il film è stato presentato fuori concorso al Festival di Berlino 2011 ed è uscito in Italia lo scorso giugno, senza suscitare particolari clamori, dato che in quel periodo, nel nostro paese, le sale tendono sempre a svuotarsi, a vantaggio dei bagni al mare e delle gite fuori porta.

Le donne del sesto piano ha una collocazione spazio-temporale precisa, il centro alto-borghese di Parigi nel 1962, ma non necessita di una particolare attenzione al quadro storico per essere seguito. Anzi, per abbandonarsi al flusso delle immagini, la cosa migliore è adottare un atteggiamento simile a quello del protagonista, Jean-Louis Joubert, interpretato con maestria da Fabrice Luchini, affermato attore francese figlio di immigrati italiani, che ha lavorato con registi quali Eric Rohmer, Claude Lelouch e François Ozon. Joubert è un agiato agente di borsa di mezza età cristallizzato nelle abitudini: ogni mattina compra Le Figaro e si reca al lavoro in abito a giacca, tra le mura di casa indossa austere vestaglie e ama conversare con sua moglie Suzanne, interpretata da Sandrine Kiberlain. Suzanne è algida ed elegante, viene dalla provincia e si prodiga per essere all’altezza dello status acquisito di parigina; divide il suo tempo tra lo shopping, la parrucchiera e il bridge con le amiche.


Saranno proprio le amiche a suggerirle dove trovare una nuova cameriera: “Le Bretoni non sono più di moda, Suzanne, oggi tutti hanno una spagnola a servizio”. E spagnola sia. (Negli anni sessanta la Francia gollista è in ascesa economica mentre la Spagna è soffocata dalla dittatura di Franco; le filippine e le rumene di oggi sono le spagnole di ieri). Ma oltre che spagnola, Maria –interpretata da Natalia Verbeke – è anche giovane, bella, seria e orgogliosa. Subito Joubert si infatua di lei. O meglio, la scintilla scatta dopo che Maria gli dimostra, in tre minuti e mezzo esatti, di saper cuocere a puntino un uovo alla coque. Come un fanciullo che assapori per la prima volta la giovinezza, Joubert, guardando Maria, si affaccia su un nuovo mondo.

Nuovo mondo ubicato al sesto piano, nel sottotetto, dove le domestiche del palazzo dividono le chambre de bonne, stanzette anguste col bagno in comune. Sono tutte spagnole in fuga dalla dittatura: se Dolores è cattolica e devota, Carmen (Lola Dueñas) è comunista e combattiva; poi troviamo Conceptiòn (Carmen Maura) , la saggia coscienza del gruppo, Pilar, vessata da un marito violento, e Teresa, che sogna di sposare un militare francese. Ovvero, tutte hanno un colore per il proprio carattere e tutte sgobbano, povere ma felici, da mattina a sera. A questo riguardo, basta citare la scena in cui Maria chiama le amiche per aiutarla a pulire l’appartamento: insieme spolverano, cantano e più che pulire ballano, come se ci trovassimo all’improvviso in un musical di Walt Disney. Insomma, abbiamo le donne di Almodovar senza Almodovar. E si sente.

Il regista de Le donne del sesto piano, Philippe Le Guay (Il costo della vita), vanta nobili origini ed è genero di Dominique Villepin, il successore di Chirac all’Eliseo. Viene da una famiglia di banchieri da tre generazioni e fu educato da una tata spagnola: il ricordo autobiografico si stempera dunque nei toni leggeri della pellicola. Si attinge al filone del cinema multiculturale, ma il discorso viene annacquato retrodatandolo agli anni sessanta, filtrando tutto attraverso lo sguardo bonario/paternalistico del ricordo. Joubert ignorava che solo pochi piani più in alto esistesse una realtà diversa dalla vita che aveva sempre conosciuto, che aveva sempre dato per scontata. Sua moglie lo vede cambiato, teme che la tradisca con una procace cliente dello studio, un’appariscente signora in rosso che invece nemmeno sfiora i pensieri di Joubert, tutto preso com’è dalla sua Maria. Andranno ai ferri corti e Suzanne, senza mai perdere l’usuale aplomb, gli intimerà di andar via di casa. Senza batter ciglio Joubert si trasferirà al sesto piano e arriverà perfino a confessare ad una spagnola, citando senza volerlo Virginia Woolf: “Per la prima volta ho una stanza tutta per me, se sapesse come mi sento libero!”. Nel mentre i suoi figli – ragazzini altezzosi e non troppo affabili – fanno ritorno al collegio mentre Suzanne, dopo il primo smarrimento, saprà presto ammortizzare il dolore. Joubert viene “adottato” dalla famiglia allargata spagnola, riesce a farsi benvolere e suggerisce addirittura alle domestiche – e qui si abbandona ogni parvenza di realismo – di investire i loro risparmi in borsa – pratica che, nella crisi economica in corso, fa scendere un lieve brivido lungo la schiena.

Gli sviluppi continueranno all’insegna della favola sociale e dell’utopia, come se saltare da una classe all’altra, tra servi e padroni, fosse facile quanto salire tre rampe di scale. La commedia è bicromatica nella fotografia come nello sguardo morale, gli interni alto-borghesi sono opulenti ma privi di vita, il sesto piano spagnolo è frugale ma caloroso e animato. Si potrebbe quasi dire sobrio, dati i tempi di governo tecnico e sacrifici che devono fare tutti. Ma la realtà effettiva tornerà al suo posto solo quando si accenderanno le luci in sala, piuttosto, per l’ora e mezzo di proiezione, è meglio dimenticare gli affanni del quotidiano, e come fa Joubert, abbandonarsi semplicemente alla melodia della storia.

One thought on “Mediterraneo FilmFestival 2012 / Le donne del sesto piano

  • Febbraio 27, 2012 alle 8:11 pm
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    Iglesias si trova nell’iglesiente…

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