Mick Jagger through the lens

Time is on my side cantava nel 1964. Profetico, se si pensa che la carriera dei Rolling Stones, forse la più longeva tra le band musicali, aveva da poco esordito. Evidentemente, sfrontato come solo lui sa essere, Mick Jagger già sapeva che sarebbe diventato un mito, uno di quelli che non tramontano in fretta.
E il tempo ha così avuto tutta la possibilità di scandirne le metamorfosi, indagate e fissate dall’obiettivo di decine di fotografi che da cinquant’anni a questa parte hanno ritratto le maschere di “un Narciso che non muore mai ma si trasforma di continuo”. Eccessivo, sregolato, per una rockstar non in grado di limitarsi alla propria musica ma che della musica ne ha rappresentato anche l’estetica, riduttivo sarebbe stato immortalarlo nel suo essere cantante, ed è stato chiaro a tutti. Della settantina di fotografie esposte prima in Francia in occasione dei Rencontres d’Arles e ora presso la Fondazione Forma di Milano, i ritratti che lo rappresentano con gli attrezzi del mestiere si contano sulle dita di una mano, raramente fanno la loro comparsa un microfono o una chitarra; è la sua grandezza iconografica a essere esaltata, quel magnetismo trascinatore sul palco che sprigiona dalla sua fisicità, da quel corpo minuto, contenitore troppo piccolo perché non strabordi il suo carisma e il suo ego sconfinato.
Rigorosamente in ordine cronologico sfilano gli scatti di una pelle che cambia, un Dorian Gray contemporaneo che ha consegnato all’eterna giovinezza il suo spirito e non l’incarnato. Si parte dagli anni ’60 con le immagini ancora innocenti di un ragazzo acqua e sapone, dal volto un pò imbronciato, dandy all’ultima moda il cui gesto più trasgressivo è tenere in mano una bottiglia di birra. Un androgino, quasi un eunuco, femmineo e maschio insieme come l’ha definito Cecil Beaton dopo il loro incontro; un candore e una sensualità che nel corso degli anni ’70 e ‘80 si sporcano sempre più di provocazione: eccentrico, sopra le righe, la sua esagerazione si materializza in pose plastiche e allusive, in una faccia distrutta da droghe, whisky e groupies. Perfettamente disinvolto davanti alla fotocamera, lo è ancor di più nei ritratti dell’ultimo decennio del secolo scorso: sa come guardare l’obiettivo, dritto, sicuro, come chi è consapevole della sua gloria planetaria; quelle espressioni, forse studiate negli anni precedenti, sembrano ora del tutto naturali. Passa il tempo ma rimane sempre l’eterno ragazzo, sfrontato, che spalanca oltraggiosamente la bocca, che si maschera e si traveste da donna, asciutto e scattante nel fisico come un felino (è del 1992 lo storico scatto di Albert Watson che fonde il volto di Mick Jagger con la testa di un leopardo). Passa il tempo e aumentano le rughe, ma sono solo l’intarsio che cesella uno spirito che non ne vuole sapere di invecchiare. Passa il tempo ma lui continua a ridergli in faccia.
Mick Jagger. The Photobook
Fino al 13 febbraio, Fondazione Forma per la Fotografia, piazza Tito Lucrezio Caro 1, Milano
www.formafoto.it
tel. 0258118067