Prima volta a Roma? Vi consigliamo la Locanda Serny

Se vi chiedessero dove vi è capitato di conoscere le persone più bislacche, è probabile che, dopo averci pensato un momento, rispondiate: “in viaggio”. Non solo perché le grandi città – e quindi le mete di vacanza – come Roma, Parigi, Londra, New York, Il Cairo attirano con il loro magnetismo segreto buona parte dei matti della Terra, ma anche perché noi stessi, slegati da afflizioni personali e lavorative, siamo più inclini a guardarci intorno e a goderci l’umanità varia che ci circonda. O, forse, il motivo principale di questo fenomeno è un altro ancora: quando siamo in viaggio scatta in noi quell’inspiegabile tendenza alla confidenza, l’istinto e il desiderio di raccontare la nostra vita ad uno sconosciuto e di ascoltare la sua. Sarà tutto vero? Avrà esagerato? Noi stessi siamo stati del tutto sinceri? Non importa, tanto quella persona non la rivedremo mai più, rivivrà solo nei nostri ricordi e, tutt’al più, nei nostri aneddoti di viaggio.

Pare che questa sindrome dell’”espansività da viaggio” sia piuttosto comune nel mondo occidentale e che esista più o meno da sempre, almeno stando ai numerosi racconti in cui viaggiatori diversi si incontrano su un treno, una diligenza o una pensioncina e condividono le loro relative esperienze.
È proprio questo il quadro in cui si muovono i male assortiti protagonisti de Il Mistero della Locanda Serny, unico romanzo di Marco Fabio Apolloni, antiquario romano con la passione della letteratura. Nelle sue pagine si anima con grande vividezza la Roma del 1800 con le carrozze, i nobili stranieri in viaggio, lo strapotere del clero e l’incubo dei briganti; quella Roma pittoresca in cui tra le rovine dei Fori imperiali  ancora si portavano a pascolare le vacche.

In questa atmosfera da Grand Tour si ritrovano, nella onorata Locanda Serny, quattro forestieri: un prestigiatore massone torinese, un letterato francese con funzioni di console onorario, un malaticcio poeta russo e una celebre cantante lirica non bellissima ma civettuola. Si tratta di quattro personaggi realmente esistiti ma che, con ogni probabilità, durante la loro vera vita non si incontrarono mai, e, di certo, non tutti insieme nella stessa locanda. Apolloni si diverte a immaginare i discorsi e le interazioni tra di loro, nonché le storie, vissute o inventate, che essi si raccontano a vicenda per ingannare il tempo (o per altri scopi reconditi).
Le identità dei due letterati, il francese e il russo, vengono rivelate dalla grafica di copertina a chi abbia qualche dimestichezza con i ritratti degli autori classici. Ma Apolloni, forse, preferiva che il lettore le scoprisse solo alla fine della narrazione e noi abbiamo deciso di assecondare il suo gioco, quindi non diremo altro su questo argomento.

La palla, ovvero il ruolo di “io narrante”, passa da un personaggio all’altro, permettendo al lettore di approfondire il carattere e le intenzioni di ognuno dei protagonisti. L’inizio del romanzo è, letteralmente, fulminante. Fresco, divertente e originale l’uso del monologo interiore per ricostruire i dialoghi e per rivelare i pensieri dei personaggi al di là delle loro parole (ma chi dice davvero tutto quello che pensa?!).

Ma la più autentica e gradita sorpresa sono le storie che i viaggiatori si raccontano a turno. La vicenda della signora Palmira e dei due gemelli Cecconi, quella dell’icona russa miracolosa, la storia del ritrovamento apocrifo di santa Merla e quella dello sfortunatissimo figlio di Napoleone Bonaparte si intrecciano tra di loro e con quelle degli ospiti stranieri, creando un irresistibile tornado narrativo che avvolge e trasporta il lettore in un universo surreale, comico e macabro, gotico e lirico allo stesso tempo.
Il riferimento letterario è quasi inevitabile: Il Mistero della Locanda Serny sembra un’ottima appendice italiana del Manoscritto trovato a Saragozza. Gli appassionati del genere (come chi scrive) gridano al miracolo con le lacrime agli occhi.
Ma tutte le grandi catastrofi sono annunciate da segni. Dopo un esordio così promettente, la narrazione inizia a perdere – gradualmente ma inesorabilmente – compattezza e coerenza, smarrisce l’equilibrio e si sfilaccia. Lo stile si modifica e, con esso, anche la partecipazione del lettore.  Il romanzo si segue ancora con piacere, ma un piacere meno entusiasta. È il momento della cantante Giuditta Grisi e delle sue vicissitudini artistiche e amorose che coinvolgono altri personaggi realmente esistiti, come il compositore Vincenzo Bellini e il librettista Felice Romani.
Poi giunge, ormai attesa, la fine infelice di questo romanzo.
L’attenzione e l’interesse del lettore sono volati via, il racconto ha perso il ritmo e, soprattutto, la poesia. Le sensazionali rivelazioni finali sulle vere intenzioni dei vari personaggi risultano confuse e prive di mordente, ma, quel che è peggio, a poche pagine dalla conclusione, ormai, della sorte di questi personaggi non ci interessa più nulla. Andremmo, piuttosto, volentieri a ritrovare quei piccoli gioielli che sono le storie iniziali; rileggeremmo con piacere della bellissima madonna russa che aveva il potere di salvare la vita al suo proprietario e, persino, di vendicarlo con ferocia, o del corpo di santa Merla che, in realtà, apparteneva all’amante di un brigante trasformatosi, nel frattempo, in pio eremita.
Insomma, quasi quasi preferiamo fare finta che il romanzo di Apolloni sia un altro di quei manoscritti ritrovati incompleti. Sperando che un giorno, in qualche polverosa soffitta o in qualche buia cripta, ne venga rinvenuto l’autentico finale.

Titolo: Il Mistero della Locanda Serny
Autore: Marco Fabio Apolloni
Editore: Tea, collana Teadue
Dati: 2008, pp 284, 8,40 €

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