Né bugiarda né reticente: a lezione di stile da Franca Valeri

“La mente è una minuziosa macchina da presa che entra in tutte le stanze del passato, non sfugge uno sgabuzzino né il balcone di una cucina”. La mente di Franca Valeri è una prodigiosa macchina da guerra, irriverente e umoristica, che disgrega l’ordine costituito delle cose e lo riaggrega secondo la loro vera natura, sempre e comunque assurda e che, anche quando deve assemblare frasi per raccontare episodi drammatici, trova sempre il risvolto burlesco. È la mente di una signora di 90 anni, intellettuale non organica a nulla che non sia lo spirito d’osservazione e l’arguzia sapida, prestata al romanzo popolare e alle cronache di poveri non amanti, che sforna sceneggiature e sketch anche quando pensa a voce alta alla sua vita di notte quando non dorme e parla a sé stessa, ai suoi amati animali, quando affronta i ricordi. In fondo cosa è la vita?

La signora della comicità e del teatro ci insegna che è una sceneggiatura, di estensione, accidenti e densità variabile, che se la calchi sulle tavole di un palcoscenico ti passa in forma quasi indolore e aggiri le ordinarie sofferenze e le ritualità comuni e tutte quelle manfrine sul cosa fare o cosa non fare nell’arco di un giorno comune o festivo. Sessanta anni sulle scene e il miracolo della freschezza nell’impatto con le esperienze o la loro  rievocazione: “Francamente trovare idee per la mia vita mi sembrerebbe troppo, avendola anche vissuta”, scrive. Sintesi e sospiri, sospiri e sarcasmo però ci sono tutti per raccontarlo, questo miracolo. Bugiarda no, reticente: intendiamoci questa è la modalità di Franca Valeri di raccogliere i ricordi e ricapitolare i fatti, dichiarata fin dal titolo del suo libro senza infingimenti. In verità lei non è né bugiarda né reticente, solo spiritosa e anticonformista, ma non ci sono pose né forzature. C’è modo e modo di ideare, realizzare e porgere un’autobiografia, infatti. Tutto sta alla personalità dell’estensore.

Non si è certo arresa alla sollecitazione narcisistica dell’autoreferenzialità, percorso quasi scontato. A parte il fatto che avrebbe potuto permettersi questo e altro, non può essere che la signorina Snob, la sora Cecioni, la Cesira e via e via tanti personaggi fino alla moglie di Socrate, ecco non è possibile che componga una autobiografia convenzionale. Non la si cerchi, che tanto non la si trova nel suo libro. L’ha anche detto in un’intervista: niente  autobiografia sul genere del confessionale. Pudore sentimentale, scandaloso in questi tempi: in ciò consisterebbe il suo essere reticente, che era un appellativo che le aveva dato sua madre, molto amata e ricordata, a cui è  dedicato il libro. Il titolo sembra fare il verso casomai a un’altra autobiografia coi fiocchi e i lazzi, quella di Paolo Poli, uscita nel 2009, Siamo tutte delle gran bugiarde. Franca che di cognome si chiama Norsa, scelse il cognome  d’arte Valeri su suggerimento di una sua compagna di liceo, in omaggio al  poeta Paul Valery. Nel suo memoriale scritto che procede a salti e disordinata vivacità, c’è la rievocazione di un mondo, quello della borghesia milanese. Franca è figlia di un padre ebreo e di una madre cattolica, la sua è una giovinezza dorata: fin da piccola serate alla Scala con il fratello e la mamma bella ed elegante, villeggiature lunghissime al mare, a Riccione e all’Hotel des Bains del Lido di Venezia, in montagna sulle Dolomiti.

Vita felice stravolta dalle leggi razziali che costringono la famiglia alla diaspora: il padre in fuga in Svizzera, i gioielli di famiglia seppelliti in una cassetta di ferro nell’orto di amici in Brianza, lei e la mamma costrette a cambiare continuamente casa per cercare di sfuggire ai nazifascisti. Roba tosta e cruenta della grande storia che questa signora affronta senza retorica e con quella particolare impronta che ce l’ha fatta amare al cinema, in teatro, in tv. Dopo il fascismo e la guerra, arriva l’anelito alla libertà e all’affermazione di un’identità femminile emancipata; l’inizio della carriera e gli episodi più importanti: la radio, il teatro, il trasferimento da Milano a Roma dove tuttora vive, la nascita dei personaggi più celebri, il leggendario Teatro dei Gobbi fondato con Caprioli (che sarà suo marito, da cui poi divorzierà), Alberto Bonucci e Luciano Mondolfo che trionfò a Parigi, il Piccolo Teatro di Strehler e Grassi dove recita in La Maria Brasca, il cinema. E tanti personaggi soli incontrati o con cui ha condiviso anni di lavoro: Peppino Patroni Griffi, Nora Ricci, Sordi, Chaplin, il bellissimo Lawrence Olivier, la Callas, e poi la galleria di donne che le sono passate accanto e che ha saputo reinventare in palcoscenico.

Niente di organico e di ordinato nel racconto, e perché poi? Forse la vita lo è? Esemplare è la sua sintesi sferzante e vera di tanti anni trascorsi: “A vent’anni era affondare il fascismo, a trenta avere in pugno il teatro, a quaranta tutto, a cinquanta occhiali e quasi tutto, e… eccomi”. Anche gli amori ci sono, certo che ci sono, però quasi periferici e marginali, marginalità che spetta ai “traditori” come lei li chiama: due uomini, uno Vittorio Caprioli, raccontati senza nulla concedere al pettegolezzo, ma con la discrezione di una signora che resta indomita e pungente. Merito proprio di quella mente che le permette di andare dove vuole, sorvolando sui colpi meschini, planando sui grandi e piccoli accadimenti senza compiacimenti né lamentele. Casomai praticando lo sberleffo ben temperato. Certo c’è la vita, sostanza, fatti, itinerari, ma la trascrizione più efficace resta quella della sua vera vita nella vita, il lavoro, al teatro. Pagine poetiche perché il racconto non è mai autocelebrazione, ma invenzione eccentrica mossa dal senso del ridicolo e dall’autoironia. Un assaggio: “Ma sono stata fedele al mio lavoro? Sostanzialmente sì. Perché la fedeltà non è una mia virtù. È una mia necessità. Il motivo è molto semplice, è la sostanza di una scelta. Non sono mai stata scelta, né da un uomo, né da un amico, né da un mobile. C’è in genere la reciprocità, anzi sempre, ma la scelta è tua. Il proprio lavoro è quel meraviglioso individuo (dai più odiato) che ci accompagna. È stato per me generoso, ma pretende. È giusto. Vedermi piegata in due a insaponare un uomo distratto gli dava certamente ai nervi. È evidente che mi rappresento anche lui in fattezze umane, è la tendenza delle nostre limitate capacità d’astrazione”. Il lavoro a teatro, vero compagno di vita: “Invecchia tenendomi d’occhio. Io lo rassicuro, ti sarò fedele. Sembra che mi dica: Invecchiando si può perdere il controllo. Anche lui qualche volta dice delle sciocchezze, se si perde il cervello non si lavora più. Su questo pensiero consolatorio mi addormento”.

Titolo: Bugiarda no, reticente
Autore: Franca Valeri
Editore: Einaudi (collana Supercoralli)
Dati: 2010, 103 pp., € 17,00

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