Parola di neuroscienziato affettivo: il ‘mouse ridens’ ci guarirà

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Attenzione a irridere, o peggio ancora, misconoscere il mouse ridens. Guardatevi stolti umani dall’ignorare o sottovalutare la risata dei topi: non quelli da computer. Tale risata può darci la misura del nostro livello di soddisfazione o, viceversa, del nostro scontento, non già come acquirenti di merci in orrendi centri commerciali, ma come esseri impegnati a esistere. Nuoce gravemente alla salute non conoscere le emozioni, patrimonio in dotazione da tempi remotissimi agli animali che noi tutti siamo; che non è detto che il nostro cervello superiore, emerso solo di recente dal caos informe, le sappia discriminare ma soprattutto educare in vista del benessere individuale e collettivo in una società sempre più affranta, maniacale, turbata e disturbata. Indicazioni e articolati avvisi ai naviganti dati con piglio ironico e taglio comunicativo asciutto e pragmatico dal professor Jaak Panksepp, neuro scienziato sì ma, si badi bene, di stampo e credo ‘affettivo’; estone di nascita, naturalizzato americano, globetrotter per una crociata tutta ‘emotiva’.  Nel corso di una brillante serata che si è svolta alla Società psicoanalitica di Roma, Panksepp ha intrattenuto una platea di specialisti e terapeuti dell’anima sul tema  A proposito di emozioni e affetti. Regolazione e disregolazione dei sistemi emozionali nei processi di cura nell’ambito degli appuntamenti che la Spi dedica a I disagi della contemporaneità – Nuove patologie e variazioni nella cura. Lo scienziato, 70 anni, arguzia e barba darwiniane come i suoi presupposti evoluzionistici, è ideatore dell’affective neuro science, la neuroscienza affettiva, disciplina che studia le basi neurobiologiche delle emozioni, ovvero dove stanno di casa nel cervello le nostre emozioni. Il suo maggior contributo, infatti, sta nell’aver individuato nella zona sottocorticale (la parte più antica) la coscienza, il sé, che  lui chiama anche anima biologica, e nell’aver identificato attraverso la ricerca condotta prima sugli animali poi sugli uomini i sette principali sistemi neuronali insomma l’indirizzo nel cervello delle sette emozioni di base, comuni a tutti gli animali superiori (dai rettili ai mammiferi agli esseri umani). Di questo e altro si trova resoconto esatto nei suoi studi più noti, Affective Neuroscience e The Archeology of Mind, (2012) ancora non tradotti né pubblicati in italiano. Nel 2000 a Londra, la patria adottiva di Freud, l’estone ‘evoluzionista’ ha fondato con lo psicoanalista Mark Solms la società internazionale di neuro psicoanalisi per promuovere un ponte tra neuroscienze e psicoanalisi. “Psicoanalisi e neuroscienze si possono incontrare? – si è chiesto Andrea Baldassarro, segretario scientifico del Cpr nell’introdurre i lavori – Certo è di grande interesse che ciascuna ascolti l’altra. Freud è stato molto oscillante: a volte sosteneva che la psicoanalisi sarebbe scomparsa assorbita dalle scienze biologiche; altre che è una scienza inassimilabile. La questione resta aperta”. “Come psicoanalisti – ha poi aggiunto Rosa Spagnolo nel fare gli onori di casa – non abbiamo il linguaggio della neuropsicobiologia, della neurobiologia, della neuroanatomia. Ma abbiamo dalla nostra parte più di un secolo di psicoanalisi che ci ha abituati ad ascoltare”. Infine Tiziana Bastianini: “Siamo interessati a comprendere le vicissitudini degli affetti in vista della nostra azione terapeutica”.

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Per queste e altre ragioni la faccenda del mouse ridens, che non è la scontata iena ridens, è tremendamente seria. “Abbiamo scoperto in laboratorio – ha raccontato Panksepp che ama ricordare la sua origine estone che lo accomuna  a Emil Krapelin, il padre della biologia psichiatrica – che i topi hanno un suono evoluzionisticamente simile al nostro ridere. Aver preso sul serio le emozioni degli animali è stato il primo passo per prendere sul serio le emozioni. Perché è importante prendere sul serio il riso dei topi? È la misura della felicità nel mondo. La depressione è una delle malattie psichiatriche più gravi. La felicità è un processo sia fisiologico che neurologico e non lo capiamo studiando gli esseri umani. Studiando gli animali invece possiamo capire il nostro modo di essere felici. Abbiamo studiato i meccanismi cerebrali  del riso dei topi alla ricerca di nuove molecole per trattare la depressione”.  A Panksepp non mancano certo doti da divulgatore anche per mettere alla berlina colleghi di stampo cognitivista, insomma chi nella comunità scientifica remerebbe contro assumendo un’ottica riduzionistica: “I miei colleghi mi dicono che gli animali sono macchine che non hanno né coscienza né sentimenti. Abbiamo imparato molto di più sul nostro corpo studiando gli animali e sapevo che avremmo imparato molto di più sulle emozioni studiando il cervello degli animali”. Le sette emozioni fondamentali (la ricerca, la rabbia, la paura, la sessualità, l’accudimento più spiccato nella femmina che nel maschio, la tristezza, il gioco) sono si è detto sottocorticali: ognuna ha la sua ‘storia’, il suo equilibrio nell’equilibrio del sistema olisticamente. Basta un niente per spegnere una risata, nei topi e negli animali che Panksepp ama, come in noi. In condizioni psicopatologiche occorre riconoscere quali emozioni sono iper o ipoattivate e come ripristinare l’armonia. È la zona sottocorticale che determina i processi primari e avvia la coscienza di sé; non quella neocorticale come si era creduto. Dai circuiti dei mammiferi più primitivi certo si arriva alla complessità dell’essere umano, ma le emozioni di fondo restano le stesse. Condividiamo con gli altri mammiferi gli stessi ormoni-neurotrasmettitori e le stesse emozioni.  “Perché dovremmo credere d’essere speciali – ha commentato divertito Panksepp – quando le prove dicono il contrario? Siamo animali molto speciali, ma anche gli altri animali lo sono. Certo noi abbiamo imparato a parlare e a creare distinzioni tra le cose e ricordare finché non si diventa completamente confusi e allora si deve andare dallo psicoanalista”, ha scherzato soffermandosi sui paradossi della civiltà umana.

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Questo modello teorico cambia drasticamente le cose: è al sistema primario emotivo-istintivo fondamento dei ‘processi secondari’ che regolano i meccanismi dell’apprendimento e della memoria, e poi si interfacciano con i ‘processi terziari’ delle funzioni cognitive-riflessive superiori che i terapeuti devono guardare per aiutare i pazienti.  “Il processo primario è enorme. Quando il bambino nasce ha solo il processo primario delle emozioni dove si trova di sicuro l’inconscio”. L’aver rintracciato l’indirizzo delle emozioni fa sì che tante divisioni o contrapposizioni tra scuole psicoterapeutiche vengano a cadere e che i terapeuti di vari indirizzi, dai cognitivisti, alla psicologia dinamica, alla neuropsicanalisi, alle scuole reichiane, alla gestalt e alle scuole di body oriented psychotherapy, debbano guardare alla neurofisiologia delle emozioni, dal basso, dal livello di coscienza emotivo, dal suo modo di funzionare e alterararsi. “La scienza cognitiva – ha chiarito l’estone – è buona per la parte superiore del cervello. La psicoanalisi ha fatto un’ottima analisi da su in giù, ma non sappiamo come combinerà questi nuovi riscontri ed è questo ora l’obiettivo principale della neuro psicoanalisi”. Non solo: comprendere il funzionamento dei setti sistemi emotivi può determinare svolte oltre che nelle psicoterapie, nell’educazione e nella crescita personale; porre basi neuroscientifiche di una nuova psicologia e medicina.

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Nella prima metà del XX secolo, avevamo “la mente senza il cervello” – ha spiegato Panksepp – Freud da neuro scienziato sarebbe entusiasta di cogliere i dati che abbiamo a disposizione oggi. Il fondo della mente ha una disposizione affettiva, non ha idee che hanno bisogno della neocorteccia. Freud ci ha dato la descrizione delle funzioni di questo apparato mentale, certo alcune idee erano sbagliate. L’apparato mentale deve essere compreso prima da giù in su, poi dall’alto verso il basso. La mente va compresa tramite le ricerche sul cervello”. Nella seconda metà del XX secolo abbiamo avuto invece “il cervello con poca mente”, da Kraepelin con le sue mappe neuronali fino al Dsm V. È tempo di arrivare a una sintesi, a un’integrazione, a un modello globale dell’uomo che non separi più le parti fisiche, emotive e psicologiche. Lasciate allora che i topi ridano. Che ne hanno di ragioni. Il problema non sono di certo loro ma il cervello ‘superiore’, evoluto,  che tutto si può dire meno che sia in armonia con la terra, con il corpo, con gli altri cervelli umani, che promuova la salute individuale e sociale, che riconosca l’anima biologica. Abbiamo poco da ridere, noi.