Go Back to Those Gold Soundz

Londra, 13 maggio 2010 (Cataldo)

Arriviamo in ritardo, spiazzati dalla puntualità anglosassone. Sia ben chiaro, dei Pavement non perdiamo niente ma non riusciamo a goderci neanche una nota del gruppo spalla che, in questo caso, non ha assolutamente nulla del gruppo spalla: si tratta dei Broken Social Scene e siamo incazzati neri.

Dopo aver scoperto la nefasta notizia cala il gelo, non ci parliamo neanche. Giusto il tempo di prendere posizione all’interno della Brixton Academy, bellissima e stracolma, che i cinque californiani salgono sul palco tra il boato del pubblico. Sono ancora incazzato, ho caldo (indosso infatti un inappropriato montgomery che dovrebbe appartenere alla stagione passata ma a Londra c’erano sette gradi, perciò…), ho sete e sento che a breve dovrò andare ancora in bagno (girare per pub tutto il giorno ha i suoi effetti negativi, bisogna ammetterlo). Mi guardo intorno, c’è un sacco di gente, di tutte le età e di tutte le risme, un pubblico vario ed eterogeneo, da grande band, com’è giusto che sia.

Malkmus e soci attaccano e miracolosamente la rabbia svanisce. Bastano le prime note di Gold Soundz, suonata come seconda canzone, per farmi buttare alle spalle la brutta esperienza di arrivare in ritardo a un grande evento. I Pavemet sono semplicemente favolosi, suonano energici e regalano al pubblico tutto ciò che hanno. Malkmus in particolare mostra una padronanza dello strumento stupefacente: volteggia e si scapicolla come un ragazzino senza sbagliare una nota. Le suonano tutte ma proprio tutte, e l’audience non sembra risparmiarsi su nessun pezzo. Here, Summer Babe, Elevate me Later, Silence Kid, Stop Breathing, Shady LaneCut your Hair, Spit on a Stranger, AT&T, Zurich is Stained, Grounded e Two States si susseguono a rotta di collo (non in quest’ordine però, non chiedetemi di poter ricordare) fino all’apoteosi di Stereo durante la quale vengono lanciati palloncini enormi sul pubblico.

Il concerto vola su ritmi altissimi, la band è in grande spolvero, con un  Nastanovich sempre pronto a urlare nel microfono alla prima occasione. E la conclusione perfetta non poteva che essere la canzone, secondo me,  simbolo di tutta la loro produzione. E con me deve esserci stato qualcun altro vista la commozione stampata sui volti di molti spettatori durante le note di Range Life.

Roma 24 maggio 2010 (Massimo)

La serata di Roma è stata piuttosto strana fin dall’inizio. Appena entrati nel locale, l’Atlantico (ex palazzetto dello sport, sala grande e ben attrezzata ma con un’acustica che definirei ostica), ci si presenta lo strampalato spettacolo del gruppo di apertura, gli israeliani Monotonix che non “suonano” sul palco ma in mezzo al pubblico spostandosi quà e là (batteria compresa) senza motivi apparenti,  che fanno un rock davvero troppo lo-fi e che, onestamente, “c’hanno pure un età” poco consona aduno spettacolo del genere. Grotteschi, ma immagino (temo) che in fondo l’effetto desiderato fosse quello e devo dire che non è mancato nel pubblico qualcuno che ha gradito.

In attesa di Malkmus e compagni mi guardo intorno: credo che sotto i trent’anni non ci sia nessuno. Sarà un bene o un male? Per il momento non saprei dirlo. Certo che, rifletto, tanti anni di attesa, solo due date in Italia, pubblico selezionato:  l’eccitazione sarà alle stelle. E finalmente eccoli: i Pavement! Wooooh!
E invece in realtà non è che ci sia questa grande euforia, audience immobile nonostante imbeccate gloriose (si parte con Silent Kid e Frontwards) e la band sul palco sembra piuttosto contrariata sia dalla accoglienza tiepidina del pubblico romano, sia dalla qualità del suono troppo scadente persino per una band dall’anima lo-fi. I Pavement però sono fuoriclasse, suonano e tengono il palco con perfetta nonchalance , il loro set è spettacolare per qualità ed energia dei brani, senso dell’umorismo, intelligenza. Tutto. So much style that it’s wasted è davvero il caso di dire. Il pubblico pian piano si scalda, specie su cavalli di battaglia come, cito a caso, Stereo, Cut Your Hair (a dire il vero venuta maluccio), Two States, Gold Soundz o, soprattutto, Range Life. Alla fine comunque i Pavement regaleranno un paio di bis e chiuderanno lo spettacolo con una Here che ti fa tornare a casa un po’ nostalgico. Gli appassionati veri in realtà non credo siano molti (forse una cinquantina), ma per loro è una serata indimenticabile. Per tutti gli altri un grande spettacolo e un invito ad approfondire. Poi tutti a casa che è lunedì e domani si lavora.

Bologna 25 maggio 2010 (Cataldo)

E bis sia. Sono bastati due “eddai vieni!” per convincermi a tornare a vedere i Pavement. Solo che questa volta non è Londra ma  a Bologna il che significa: clima più intimo e familiare. Ci sto. Anche qui cincischiamo un po’ e arriviamo in ritardo, ci perdiamo il gruppo spalla ma a ‘sto giro, non ce ne voglia a male, non ce ne frega niente. Stasera è solo Pavement-oriented. Già prima del concerto dissertiamo su quali pezzi possano o non possano fare. Io un’idea ce l’ho anche se so che la band tende a cambiare non poco le scalette da un concerto all’altro.

Sto cambiando il biglietto quando sento il boato e “Go back to those gold soundz”. Caaaaaaazzo! Mi sparo dentro dimentico di tutti ma la prima canzone è ormai andata. Sembra che la rabbia debba essere la mia accompagnatrice fissa prima di un concerto dei Pavement. Vabbè lasciamo perdere. La scaletta che lo storico quintetto esegue è simile in tutto e per tutto a quella londinese, i pezzi sono gli stessi. Manca giusto AT&T che è stata sostituita da We Dance, o così mi pare. La partecipazione del pubblico anche qui è intensa, ci si sbraccia, si suda e si canta a squarciagola a ogni pezzo. Solo che l’impressione che si ha è che siamo un po’ pochini e tutti in “là” con gli anni (sotto i trenta giusto un paio di ragazzini). I Pavement comunque sembrano ben rinfrancati dall’atmosfera conviviale, si divertono e ci fanno divertire. Il buon Spiral Stairs (seconda chitarra e seconda voce) si azzarda addirittura a dire “Siete un pubblico migliore di quello di Roma”. Noi apprezziamo e ci scateniamo ancora di più.

Anche qui i Pavement decidono di chiudere con Range Life, facendo calare un sapore nostalgico a tutta la serata. O forse no, non è Range Life che è nostalgica, siamo noi che di fronte a un gruppo che ha rappresentato  l’ebbrezza di essere giovani e senza pensieri, di uscire in strada con il proprio skate senza avere nient’altro da fare, del “don’t worry we’re in no hurry”, un po’ di malinconia per i tempi andati ci viene. È fisiologico, naturale mi dico. Almeno però, per un paio di sere, mi sono sentito di nuovo vent’enne, con tanto di camicia a quadri e converse. Per due sere sono ritornato ad assaporare quei suoni dorati, ed è stato semplicemente bello.