Il pifferaio magico e la storia del rock

“The first is… there is continuous repetition and propotionally they are a bit boring.
My second point is that they are terribly loud…
My third point is that perhaps I am a little bit too much of a musiciain to appreciate them…
Four, they have an audience. And people who have an audience ought to be heard…”

Hans Keller about Pink Floyd, Look of the week, 1967

 

Lezioni di rock è una scommessa riuscita. Giunta alla sua sesta edizione, la rassegna ha avuto il pregio non da poco di raccontare la musica rock, come un libro. La musica, protagonista indiscussa, è qui messa a nudo, spogliata dalle note e analizzata, non tanto nei suoi tecnicismi, quanto nella sua anima. La rassegna è divenuta celebre nella capitale, tanto da decidere di dedicare due prime serate a due gruppi fondamentali: i Beatles e i Pink Floyd.

Curata dai soliti Ernesto Assante e Gino Castaldo, la serata dei Pink Floyd è durata due ore e mezzo senza interruzioni: trascorse in maniera incredibilmente veloce.
La vita dei Pink Floyd è un grande affresco drammatico (nel senso più antico del termine), estremamente affascinante. Che si muove intorno alla figura ormai epica di Syd Barrett.

Cofondatore e primo leader dei Pink Floyd, Barrett viene estromesso dalla formazione, a causa della sua ormai totale incapacità di comunicare e della progressiva perdita di senso della realtà di cui era preda, in seguito ad un crollo psichico e all’uso massiccio di LSD.

La follia di Barrett e la sua assenza “brillano come un diamante” per tutta la lunga carriera della band. Syd Barrett è stato il maestro, colui che ha “iniziato” e fatto uscire dagli schemi uno dei tanti gruppi di musica pop della Londra anni sessanta. Per stessa ammissione di Roger Waters “I Pink Floyd non sarebbero mai esistiti senza Syd Barrett, ma non sarebbero mai continuati con lui”.

Il senso di colpa e una indefinita angoscia accompagnarono gli altri tre musicisti, cui si aggiunse, come sostituto, proprio un amico di Barrett, il chitarrista David Gilmour.

Castaldo (lui soprattutto, il cui amore per il gruppo si è “sentito” tutto) e Assante ci raccontano lo storia dei Pink Floyd uomini attraverso la loro musica. Da The Piper at the gates of dawn, primo disco, opera quasi completamente di Syd Barret, al capolavoro indiscusso The dark  side of the moon. Fino alla pacificazione, con il più commerciale Wish you where here. La teoria (già confermata dalla Storia) che ci vogliono portare a condividere è infatti proprio legata all’evoluzione musicale della band, inscindibile dal percorso dei singoli membri e dei Pink Floyd come gruppo.

Nati come pop band, che voleva semplicemente scalare le classifiche, si collocano subito al di fuori da ogni genere musicale allora noto.

The piper at the gates of dawn, pubblicato nel 1967, è una dichiarazione di intenti: Barrett dà il meglio di sé, realizzando un disco rudimentale, distorto, pop, rumoroso, primordiale. Astronomy Dominé è la summa delle idee visionarie di Barrett, che lentamente lo stanno portando alla follia. Immaginate i Pink Floyd che suonano Interstellar overdrive, 9:41 minuti di suoni, in uno dei club underground londinesi, senza palco, con un pubblico abituato alla musica facile (da ascoltare) e immediata dei Beatles.

La malattia di Barrett diventa sempre più evidente e il rapporto con gli altri sempre più teso. Un giorno, di partenza per un turnee, nel 1968, semplicemente nessuno passa a prendere Barrett. La scelta, sofferta ma inevitabile, non porta subito alla rottura. Waters e compagni tentano in tutti i modi di aiutare Barrett. Gli producono qualche brano e 2 album: The madcap laugh e Barrett. Il suono è sempre più distorto, le parole, a volte angoscianti a volte grottesche, sono sfilacciate ed ermetiche.

Barrett non c’è più. Si ritira a Cambridge, sua città natale, lontano da tutto e tutti. Non muore giovane come suoi illustri colleghi, resta un mito nascosto.

Intanto la carriera dei Pink Floyd continua tra le sperimentazioni. Nell’epoca in cui sempre più la musica si confonde con i volti dei protagonisti che l’hanno resa celebre (John Lennon, Jim Morrison, Lou Reed, …), i Pink Floyd scompaiono, divengono una entità indistinguibile. Pochi riconoscono Waters, Mason, Gilmour e Wright. Grazie anche all’immagine visionaria che i grafici di Hipgnosis, con le loro copertine psichedeliche, contribuiscono a creare. Scompaiono, per un lungo periodo, anche le parole: tracce come Set the Controls for the Heart of the Sun o Careful with that axe, Eugene, da A Saucerful of Secrets (1968) Ummagumma (1969) riproducono suoni e rumori. E ossessivamente sussurrano il ritornello: “stai attento con quell’ascia, Eugene”, “stai attento con quell’ascia, Eugene”, … L’influenza di Barret è qui tangibile. È un lutto non elaborato.

Le parole tornano invece prepotenti con The Dark side of the moon, pubblicato nel 1973, a pochi anni dall’esplorazione del lato oscuro della luna. Fino ad allora i Pink Floyd restano un gruppo di nicchia, definitivamente underground. Il 1973 è l’anno di svolta: il disco vende milioni di copie e scala le classiche, pur essendo sempre più lontano dalla musica pop. Parla del lato oscuro dell’uomo, quello che c’è in ognuno di noi, forse la parte più autentica. E’ l’album della maturità. Waters, quello che più ha sofferto per l’assenza di Syd Barret, si scopre poeta. E comunica con lui.

Ed eccoci a Wish you where here. L’uscita, nel 1975, è preceduta da un evento che ormai è diventato legenda. I Pink Floyd erano nelle fasi conclusive del disco, nei famosi studi di Abbey Road. Un signore calvo, grasso, si presenta a studio con le buste della spesa. E nessuno lo riconosce. Era Syd Barrett, che va via all’improvviso, senza un saluto: fu l’ultima volta che si incontrarono. Un’apparizione profetica, che getta nell’angoscia  soprattutto Roger Waters. Shine on you crazy diamond, canzone di apertura e chiusura dell’album è un omaggio esplicito – questa volta – a Barrett. La prima parte descrive il genio di Syd, che si è bruciato, perché ha scoperto troppo presto la verità. Non era tempo. La parte seconda sembra quasi dire “ehi, ora ho scoperto anche io la verità, portami con te amico”. Desolante, profondo, angosciante.

Il successo commerciale di Wish you where here è dovuto soprattutto alla canzone omonima: l’unica il cui ritornello resta in testa ed è canticchiabile. Gli affezionati ai primi Pink Floyd storcono il naso, ma la canzone segna davvero la fine si un tormento. Il riferimento a Barrett è evidente, ma la canzone non parla di lui, parla dell’assenza in generale e della sofferenza che essa genera. Barrett non c’è più, di nuovo.

Il viaggio, meravigliosamente guidato da Castaldo e Assante, ci porta ad esplorare, rivivire, rielaborare la musica, le parole, le visioni dei Pink Floyd. Le loro performance dal vivo (in primis l’epico Live at Pompei), monumenti all’arte visiva. Le interviste, le immagini di repertorio, le foto rubate.

Divertente e appropriata l’introduzione comica di Riccardo Rossi. Bellissima la versione di Shine on you crazy diamond, di Raiz e della pianista Marcotulli.

Wish You Where Here

Lezioni di Rock. Viaggio al centro della musica
a cura di Ernesto Assante e Gino Castaldo
Auditorium Parco della Musica
Roma, 13 febbraio 2011