Una macchia di unto nero da lavare via

Un film ammirevole quello di Lee Daniels, che cerca di raccontare la tragedia senza indulgere in facili pietismi. Un film che in 109 minuti pretende di smontare e ricostruire il sogno americano. La povertà, il welfare, la questione nera, gli omosessuali, il sistema dell’istruzione.

Ma non ci riesce.

Claireece “Precious” Jones è una sedicenne nera, povera, brutta e grassa, quanto di più lontano dall’ideale WASP. Mettiamoci pure che è quasi analfabeta e che è cresciuta a suon di abusi da parte dei genitori: il riscatto sembra impensabile, la storia continua a scendere sempre più giù, verso una inesorabile e insensata fine.

La miseria, Precious non conosce altro. E non tanto quella che viene dalla mancanza di mezzi, quanto la miseria umana, quella che non ti riesci a scrollare perchè è un marchio a fuoco. La sua casa di Harlem è una prigione. Buio, sporco, una madre snaturata, una televisione sempre accesa e un rapporto con il cibo morboso, fisico e senza  filtri: le padelle unte, pezzi di animali che trasudano grasso sui fornelli, sembra quasi di sentirne l’odore e di percepire il disgusto (a voler metaforicamente simboleggiare lo squallore e il degrado del rapporto genitore-figlia).

Precious fugge alla sua vita rintanandosi in patinati sogni ad occhi aperti, fatti di luci, lustrini e uomini bellissimi. I momenti di più alto pathos sono smorzati da improvvisi cambi di scena e di registro.

Forse anche per questo il film resta a un livello di eccessiva superficialità, non riesce a convincere e coinvolgere fino in fondo. Troppe emozioni, troppe sventure, troppo accanimento. Lee Daniels non riesce a dare coerenza e fluidità al tutto. Si sente la mancanza di una direzione artistica precisa, di una scelta di campo insomma.  A volte, l’uso della “presa diretta” sembra voler dare al film un tocco documentarista, quasi ad omaggiare l’autrice del romanzo, Ramona Lofton, meglio nota come Sapphire, che ha raccolto il materiale per il suo esordio letterario “sul campo”. Ma la scelta è tuttaltro che strategica, tant’è che, qualche scena dopo si cambia ancora tono e ci si dimentica del proposito accennato.

Così i primi piani, le inquadrature ferme, l’uso della camera a mano… sembrano  scelte puramente estetiche, non funzionali e armoniche. Quasi che, non volendo tralasciare nulla dell’omonimo romanzo cui si ispira, Lee Daniels abbia peccato di “faciloneria”.

Nonostante una recitazione impeccabile, risulta difficile pure affezionarsi ai personaggi. Certo, come non amare Claireece? Ma anche qui si gioca su un terreno facile e scontato che, nonostante la dichiarazione di intenti iniziale (non  cedere alla  commiserazione), amicca ai più comuni sentimenti umani. Ma dimentica le sfaccettature e tende a marcare una linea netta di confine tra il bene e il male, quasi da visione manicheista.

La chiave di volta per Precious è l’istruzione e un’insegnante come ce ne sono poche: compassionevole e incrollabile. E la sua testarda forza di volontà, incosciente e candida, nonostante gli orrori che l’hanno insozzata (perchè Claireece non vuole essere “una macchia di unto nero da lavare via”).

La chiave di volta del film sono sicuramente le interpretazioni. Quella dell’esordiente Gabourey Sidibe (la cui ricerca pare sia stata lunga e penosa), assolutamente perfetta nella parte. Quella di Mo’nique, un’azzeccatissima “cattiva”, che ha vinto l’Oscar come migliore attrice non protagonista.

Bravi anche gli altri attori, tra cui un’insospettabile Mariah Carey, irriconoscibile nella parte dell’assistente sociale incapace di gestire, anche emotivamente, un caso “disgraziato” come quello della famiglia Jones (c’è da dire che se l’intento del regista era quello di mettere in cattiva luce il sistema americano degli aiuti sociali… non riesce nemmeno in questo, vista la totale assenza o – nei casi migliori – inaccessibilità  dell’assistenza sociale in Italia). Un cameo anche di Lenny Kravitz.

Precious si è fatto strada nel circuito del cinema indipendente, osannato dalla critica e dal pubblico. Prodotto da Oprah Winfrey, che pare abbia molto amato il libro, ha vinto fra l’altro il Sundance Film Festival 2009.

Precious (Precious)
di Lee Daniels
Produzione: USA, 2009
Genere: Drammatico
Durata: 109′
Sceneggiatura:
Geoffrey Fletcher
Fotografia: Andrew Dunn
Colonna Sonora: Mario Grigorov

One thought on “Una macchia di unto nero da lavare via

  • Dicembre 15, 2010 alle 11:13 am
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    Concordo perfettamente! Ero così felice di vederlo vista la vittoria al Sundance che è, quasi, sempre una garanzia..e invece sono rimasta delusa..e quello che mi è rimasto alla fine è solo un enorme senso di “sporcizia” umana, fisica e sociale…

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