Quella notte alla Diaz
Quella notte alla Diaz (Guanda 2010, pp. 96, € 16) è il racconto a fumetti dei fatti che, nel luglio del 2001, insanguinarono ulteriormente una Genova già scossa dai disordini per il G8 e dalla morte di Carlo Giuliani. Ciò che accadde in quei giorni minò, secondo molti irreversibilmente, la credibilità della Repubblica; l’irruzione alla Diaz, i pestaggi e le torture che seguirono rappresentano una delle pagine più nere della storia della polizia. Christian Mirra, l’autore dei testi e dei disegni di questo volume, non parla per sentito dire. Non riporta le notizie dei telegiornali o dei programmi di approfondimento, né dà voce ai si dice dell’uomo della strada. Christian Mirra era lì, dall’inizio alla fine, e ancora oggi non può e non vuole dimenticare ciò che è successo. Nonostante la giustizia e l’opinione pubblica si illudano di aver messo la parola “fine” alla vicenda.
Nel corso delle quasi cento pagine che compongono l’opera, seguiamo il protagonista e i suoi amici lungo un viaggio che, iniziato come una vacanza, si trasforma via via in un incubo, destinato a trascinarsi per caserme e ospedali e a proseguire anche dopo il ritorno (apparente) alla vita di tutti i giorni. Perché, anche quando i pestaggi e le violenze fisiche sono terminati, rimangono le ferite psicologiche, legate a un processo surreale in cui i colpevoli cercano più volte di scambiare il proprio ruolo con quello delle vittime.
Quando si vuole raccontare una storia così, dal punto di vista grafico la scelta possibile è una sola, e Mirra la percorre fino in fondo: il suo bianco e nero è diretto, senza i fronzoli delle mezze tinte – utilizzate solo per i rari inserti fotografici e nelle sequenze di risveglio dai pestaggi, quando gli occhi sono troppo gonfi per mettere a fuoco le immagini – né, tantomeno, dei colori. La consapevole scansione delle pagine alterna lunghe sequenze fatte di vignette che si susseguono tutte uguali a sporadiche splash page di impatto che fondono disegno e parola e costituiscono il vero e proprio vertice emotivo di ogni passaggio del racconto.
Il genere cui, a buon diritto, appartiene Quella notte alla Diaz (come sottolinea anche Tito Faraci, autore bonellian-disneyano – ma non solo – che ha fatto da editor all’opera), è quello del Graphic Journalism. Adottando una rappresentazione stilizzata dei volti e delle figure umane, l’autore si inserisce nel solco di una tradizione che appartiene a molti mostri sacri che lo hanno preceduto (il Joe Sacco di Palestina e l’Art Spiegelman di Maus, la Mariane Satrapi di Persepolis e il Gipi di Appunti per una storia di guerra). Rispetto a loro, Mirra possiede uno stile più povero, punteggiato da anatomie e da prospettive che più di una volta mostrano limiti significativi. Ma si tratta comunque del suo primo lavoro fumettistico, e questi sono difetti che gli perdoniamo volentieri.
P.S. Avviso ai naviganti: come forse qualcuno avrà notato, questa rubrica prende il nome da una delle più famose avventure di Corto Maltese, e non si tratta di una scelta priva di significati. In Corte Sconta detta Arcana, Hugo Pratt racconta che “ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti. Uno in Calle dell’Amor degli Amici. Un secondo vicino al Ponte delle Maravegie. Il terzo in Calle dei Marrani, nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite vanno in questi tre luoghi segreti e aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”. Chi scrive non crede che il fumetto debba per forza raccontare di mondi che non esistono e di personaggi surreali o improbabili: questa prima sortita l’abbiamo dedicata a una storia reale, compiendo in un certo senso il percorso inverso rispetto a quello suggerito da Pratt. In futuro non mancheremo di provare, invece, a imitarlo.
Titolo: Quella notte alla Diaz. Una cronaca del G8 a Genova
Autore: Christian Mirra
Editore: Guanda (collana Guanda Graphic)
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 16,00 euro
Pagine: 81, ill.
La rivista si autodefinisce “soggettiva, parziale, viscerale, ingiusta, emotiva, faziosa. Ma sincera, e rispettosa di chi con il cuore scrive, legge, ragiona”
E devo dire che tengono fede al loro manifesto: é la prima recensione che, al mettermi a paragone con Spiegelman, Sacco e Satrapi, definisce il mio stile onestamente piú povero.
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da http://christianmirra.blogspot.com/2010/03/recensione-su-atlantidezine.html