Questo non è un museo, forse.
A Barcellona, da alcune settimane, esiste un nuovo museo d’arte contemporanea. Il Centre d’Art Contemporani Fabra i Coats si presenta come un progetto ambizioso e innovativo, che a prima vista sembra non aver rinunciato alle sue velleità rivoluzionarie nonostante i tagli dei fondi e le polemiche che ne hanno accompagnato la lunga e travagliata nascita.
L’ubicazione, all’interno della dismessa e periferica fabbrica tessile Fabra i Coats, è tanto l’esito di questo percorso tormentato quanto una delle caratteristiche più innovative del centro. Pensato inizialmente per occupare un edificio prossimo alla centralissima Rambla, spostato in seguito nell’abbandonato Canodromo – riconvertito in spazio espositivo con fondi pubblici e per la gestione del quale un famoso storico dell’arte svizzero percepiva uno stipendio da capogiro fin dal 2009, quando sul luogo l’unica traccia visibile del futuro museo erano poche impalcature -, il nuovo centro d’arte contemporanea è approdato infine a Sant Andreu, un quartiere periferico in cui si respira aria di paese e nei cui bar non si vedono ancora menù in inglese. Lontano dai classici percorsi turistici – il bus turistico che crea code interminabili in plaça Catalunya non prevede nessuna fermata nella zona – il museo è un tentativo di decentralizzare l’offerta culturale cittadina, e con essa l’epicentro di un processo di riqualificazione urbana che a Barcellona ha nel turismo uno dei suoi elementi propulsori e che fino ad ora ha preso di mira soprattutto il centro della città.
Come è noto, però, – e come si vede bene in alcuni quartieri centrali della capitale catalana – il rischio della riqualificazione è sempre la gentrificazione, ovvero quel fenomeno che fa sì che il miglioramento urbano di un’area della città non sia a beneficio dei suoi residenti, i quali si vedono invece costretti a lasciare i loro appartamenti ad inquilini più abbienti, perché non possono più permettersi di pagare gli affitti cresciuti a ritmo esponenziale.
Per quanto sia difficile predire quale opera di riqualificazione si trasformerà in un caso di gentrification, il centro d’arte Fabra i Coats sembra essere stato concepito come lo strumento di un miglioramento urbano che deve rivolgersi innanzitutto ai residenti del quartiere popolare di Sant Andreu. Infatti, mentre una parte della ex-fabbrica tessile è stata adibita a spazio espositivo, un’altra ala dell’edificio è stata inserita nel circuito delle Fàbriques de Creació di Barcellona. Le Fàbriques sono un insieme di antichi recinti industriali, spesso situati in quartieri periferici, oggi restaurati e dotati di laboratori di creazione pensati per offrire ai cittadini spazi e attrezzature che permettano la produzione di arte e cultura in loco. Anche se a Sant Andreu le due aree del recinto industriale non si sono ancora pienamente integrate – dopo un’inaugurazione congiunta il Centre d’Art Contemporani, temporaneamente gestito dal MACBA, è l’unico spazio attualmente fruibile con regolarità e non dispone di informazioni sul programma dell’adiacente Fàbrica – il complesso Fabra i Coats, nel riunire fianco a fianco luoghi di creazione e luoghi di fruizione dell’arte, aspira evidentemente a fornire agli artisti locali un accesso privilegiato ai circuiti di distribuzione internazionale dell’arte, che altrimenti rimarrebbero loro preclusi.
Se il contenitore ha subito voluto presentarsi come innovativo, il contenuto non è da meno: il centro d’arte contemporanea ha aperto i suoi battenti offrendo ai visitatori un’esposizione che non è un’esposizione. Nell’unica sala finora aperta al pubblico, infatti, è visibile non un insieme di opere finite e fatte per essere esposte, ma tracce di performances che hanno avuto o che avranno luogo all’interno della fabbrica, e alcuni video che riflettono sulla figura ed il ruolo dell’artista nella società contemporanea. Con questo primo, atipico progetto – il cui titolo Això no és una exposició d’art, tampoc (questa non è un’esposizione d’arte, nemmeno) ricorda quello della (non)mostra Esto no es una exposición, in cui al visitatore era permesso scegliere, tra gli oggetti esposti, quelli che trattavano temi di suo interesse, e portarli con sé per poterne fruire in un altro contesto – il nuovo museo catalano vuole proporre un’alternativa alle forme canoniche di distribuzione e fruizione dell’arte, tra le quali la più comune è l’esposizione, che consiste in un insieme di opere riunite nel tentativo di sviluppare un discorso o una tesi, e raccolte a tal fine in un luogo in cui possono essere solamente osservate .