Re, pugili, ballerine

Seguire gli esiti del Golden Globe è un’attività che spesso si rivela foriera di buoni consigli cinematografici o, quantomeno, di spunti interessanti.
A riscuotere il maggior numero di riconoscimenti in questa edizione 2011 è stato, senza troppe sorprese, The social network che si è aggiudicato non solo il premio come miglior film drammatico ma anche quello per la miglior sceneggiatura. Che dire? Un meritato successo per David Fincher, ma, forse, soprattutto per Aaron Sorkin. Noi, però, eravamo a caccia di qualcosa di meno noto, quindi continuiamo a scorrere la lista dei vincitori.
Per la categoria miglior film comico ha vinto I ragazzi stanno bene, commedia sulla «normale» vita familiare di una coppia omosessuale (composta da Annette Bening, che si aggiudica anche il premio come miglior attrice comica, e Julianne Moore) e dei suoi due figli adolescenti. I giudizi sono unanimemente positivi ma, a dire la verità, dell’ennesimo film indipendente che racconta le dinamiche delle famiglie atipiche, ora come ora, sono un pochino stanca.

Il premio per il miglior film straniero non è andato al concorrente italiano (Luca Guadagnino con il suo Io sono l’amore) ma alla regista danese Susanne Bier e a In un mondo migliore. Mi spiace per il connazionale, di cui so pochissimo, ma Bier si è dimostrata una delle più interessanti firme autoriali del nuovo cinema europeo; un’autrice sensibile e intensa che non ha paura di affrontare tematiche inquietanti come la malattia, la morte o l’elaborazione del lutto. In particolare ero statia conquistata da Dopo il matrimonio e, soprattutto, da Noi due sconosciuti in cui, per altro, Susanne Bier dirige ottimamente Benicio del Toro e una irriconoscibile Halle Berry. Purtroppo, però, la stessa regista è anche capace di partorire bombe di noia cosmica come Non desiderare la donna d’altri. A quale categoria apparterrà In un mondo migliore? Cercherò di scoprirlo prima possibile.

Il premio come miglior attrice drammatica, invece, è andato a Natalie Portman, stella incontrastata del film Black Swan. Il ruolo è effettivamente impegnativo, anche dal punto di vista fisico essendo ambientato nel rigido e iper formalizzato mondo della danza classica. La Portman se la cava bene ed è credibile come etoile del balletto; per di più, interpreta convincentemente il personaggio di donna-bambina incapace di vivere nel mondo reale, spaventata dalla sua stessa sessualità. Se siete dei fan della Portamn, forse, potrete sopportare la visione di questo film. Anzi no, probabilmente non sarebbe sufficiente. Dovete essere dei veri feticisti della Portman per reggere Black Swan. La pellicola di Aronofsky si presenta come un thriller psicologico ma  non lasciatevi abbindolare: è una storia banale, prevedibile, priva di qualunque spessore narrativo. La trama è sciocca, i personaggi esasperati ed esasperanti. Un film da dimenticare.

Se il premio come miglior attore comico è andato a Paul Giamatti (che forse ne trarrà consolazione per le numerose critiche ricevute da La versione di Barney) quello per il miglior attore drammatico, invece, è toccato a Colin Firth per la sua interpretazione di Giorgio VI nel film The King’s speach (Il discorso del re, in Italia dal 28 Gennaio), un altro titolo che ho segnato sul mio taccuino alla voce “da vedere”.
Ma la vera sorpresa (speravo che questa edizione del Golden Globe ce ne regalasse almeno una!) è stato il film The Fighter (in Italia dal 4 Marzo).
Inizialmente il contratto prevedeva Aronofsky alla regia e, nel ruolo dei due fratelli protagonisti, Matt Damon e Brad Pitt. Ma, come dice nel film il personaggio interpretato da Melissa Leo, (meritatissimo Golden Globe come attrice non protagonista)  “Dio ha i suoi piani”. Per una serie di imponderabili casualità, infatti, il cast artistico è stato sensibilmente rivisitato portando David O. Russell alla regia e, nel ruolo dei fratelli Michael e Dickie, Mark Wahlberg e Christian Bale. E Dio, si sa, quando vuole ha l’occhio lungo perché ne è venuto fuori davvero un bel film, modesto e sincero. Russell racconta una storia coinvolgente e, a suo modo, piena di tenerezza; ispirata alla vera vita del pugile Michael Ward e di suo fratello Dickie.

Il film inizia con una troupe dell’HBO che intende girare un breve documentario su Dickie, il maggiore dei due fratelli. Dickie ha avuto la sua occasione nella box qualche anno prima, vincendo un incontro storico che lo ha reso la star della piccola cittadina americana in cui vive. Il ragazzo, però, non ha avuto la determinazione e la costanza di andare avanti, e, negli anni, si è trasformato in un piccolo criminale e in un tossicodipendente. L’unica cosa davvero buona che Dickie sia riuscito a fare nella sua vita è stato insegnare tutto quello che sa sul pugilato a suo fratello minore, Mick, che, forse, potrebbe raggiungere e mantenere il successo che Dick ha solo sfiorato. Se Dick è estroverso e incontenibile, Mick, al contrario, è un ragazzo timido e schivo che non riesce a prendere le distanze dalla sua ingombrante famiglia, pur rendendosi conto che è proprio da lì che deriva la buona parte dei suoi problemi col mondo.

Il cast di questo film è sorprendente: anche l’ultimo dei personaggi minori è perfettamente calato nel suo ruolo. Ottimo Wahlberg nella sua interpretazione volutamente sotto tono; intelligente abbastanza da capire che, pur essendo lui il protagonista, il suo compito è quello di lasciarsi rubare la scena da Christian Bale, proprio come Mick, pur essendo il campione, viene messo sistematicamente in ombra dal carisma di suo fratello. Forse è proprio il riconoscimento a Bale il premio più meritato di tutta questa edizione. Lo avevamo trovato discreto in Batman Begins e in The prestige ma non pensavamo che fosse un interprete particolarmente interessante. Invece, per questo film, Bale ha compiuto quel duro lavoro che troppo spesso gli attori di Hollywood ritengono non necessario, modellando la sua intera fisicità sul personaggio da interpretare. E non si tratta solo di perdere peso ma di modificare il proprio modo di parlare, camminare, muoversi, sorridere.

E, anche per quest’anno, grazie Golden Globe.