Basta diete: per stare in forma occorre ‘mangiarsi l’Ombra’

“Ho dovuto rimangiarmi le mie parole molte volte e ho trovato che è una dieta molto sana”, constatò una volta con soddisfazione lo statista inglese Winston Churchill. La sua frase contiene un ottimo suggerimento terapeutico per riconoscere, assorbire e digerire la propria parte oscura relegata in basso o alle spalle o altrove. Avete mai visto qualcuno camminare al sole senza fare ombra? Impossibile, a meno che non sia un angelo, o un diavolo. Ognuno ha la sua;  la politica poi è fatta di ombre, come e più di altri ambiti di esperienza. Ma cosa c’entra Churchill con l’Ombra, la grande forza primordiale in noi di cui per primo parlò Carl Gustav Jung?  C’entra eccome.  Leggere per credere. L’oscurità dilegua a leggere ‘Il piccolo libro dell’Ombra’, del poeta americano, oggi 85 enne, Robert Bly: un libello di matrice psicologica, (omaggio implicito allo stesso Jung ed esplicito alla forza propulsiva dell’Ombra), che però oltrepassa la psicologia,  essendo un’opera d’ispirazione umanistico esistenziale ad alta densità poetica, sia per i versi che contiene (composti dallo stesso Bly) intervallati alla prosa, che per il sentimento dell’esistere che trasmette a ogni passaggio volando come libellula nel cielo dello spirito umano, liberato e emancipato dalle ristrettezze dell’inconsapevolezza. Un piccolo libro con una grande forza ‘eversiva’: un detonatore poetico capace di far deflagrare tutte le contraddizioni, le dinamiche difensive e le apparenze su cui si basa davvero la storia fondamentale dell’anima umana, chi più chi meno, che lo si voglia e sappia riconoscere o no.

La cura può essere la parola, ma non quella detta in analisi, la parola scritta; la parola dei poeti che, antesignani o coevi dei più celebri protocolli psicoterapeutici, hanno sempre i sensi ben sviluppati, conoscono e riconoscono il ‘corvo’ e riescono ad andare al cuore dell’animo umano quanto nessun sapere ufficiale è in grado di fare. Bly tra l’altro è stato il fondatore del movimento dell’uomo mitopoietico, ovvero un movimento sorto negli anni ’80 che, fondato su un modello spirituale di ascendenza antroposofica ma anche sul pensiero della psicoanalisi, in particolare proprio di Carl Gustav Jung, enfatizza l’idea che il percorso esistenziale debba essere un continuo lavoro interiore. Il  movimento è  stato chiamato mitopoietico poiché coinvolge sia la poesia che il mito. Bly, ispirato da una forte connotazione terapeutica, è un rappresentante della cultura pacifista e ambientalista americana che sposa posizioni antirazziste e antimilitariste proprie di una generazione sconvolta dalla guerra in Vietnam. Il volumetto infatti risale agli anni ’80 (si fa riferimento all’ex presidente Usa Ronald Reagan e alla Russia comunista) ed è stato pubblicato dalla Red edizioni, prima nel 1992 nella collana ‘Immagini dal profondo’, quindi dal 2003 in poi nella collana ‘Economici di qualità’. A parte i riferimenti datati ma ben adattabili all’oggi, il saggio è extratemporale ed evergreen, perché è una guida psichica buona per ogni stagione e insieme un elogio dell’Ombra, la parte di noi che è quasi sempre al buio e che la cultura, l’educazione, i nostri genitori ci insegnano a rimuovere, disconoscere, allontanare, eccetto incontrollabili esplosioni improvvise. La pecca non è quella di essere dotati di Ombra, perché senza di essa l’essere umano sarebbe piatto e privo di spessore, ma di tenerla in gattabuia, non permettendo che emerga alla coscienza e che venga integrata dall’io.

In quanto elogio dell’Ombra questo piccolo libro riguarda tutti, parla a chiunque, coinvolge perciò un pubblico molto più vasto di quello spesso specialistico della psicoanalisi, perché usa il linguaggio delle metafore e dei simboli; linguaggio che è della poesia ma anche di certa psicologia junghiana. L’attenzione al linguaggio (ecco che torna comoda la citazione di Churchill) può essere uno dei modi di trasformare la propria vita in un incessante ‘cammino dell’attenzione’, uscendo dalla passività. Bly  infatti è poetico quanto pragmatico, secondo il migliore costume della cultura anglosassone, e perciò individua il problema esistenziale che grava sull’essere umano ma anche la cura. Qual è il problema? Un grave fardello. Metaforicamente parlando il problema sta nel fatto che “appeso alle nostre spalle abbiamo un invisibile sacco; e le parti di noi che ai nostri genitori non piacciono per non perdere il loro amore, le mettiamo lì”. A ciascuno il proprio sacco. Non solo, ogni cultura ha il suo sacco, ogni realtà urbana, ogni nazione e paese. Persino ogni corrente psicoanalitica ‘insacca’ ciò che la disturba: “la collettività degli junghiani – scrive Bly – come una città, ha il proprio sacco e di solito raccomanda ai suoi membri di mettervi la loro volgarità e il loro amore del denaro; quella dei freudiani di solito richiede ai suoi membri di mettere la loro vita religiosa nel sacco”. Succede così che credendoci vivi e umani, viviamo da ‘insaccati’ tra gli insaccati.  I genitori e la famiglia rifiutano da subito nel neonato parti del suo essere primordiale, assoluto, cosmico, seguendo in automatico e in maniera inconsapevole un copione imposto, e lo costringono via via a ridursi a dimensioni accettabili e conformi alla norma, così come è stato insegnato loro. L’ambiente e la cultura di riferimento fanno il resto: “le varie culture riempiono il sacco di contenuti diversi. Nelle culture cristiane la sessualità di solito finisce dentro il sacco, e con essa gran parte della spontaneità. Marie Louise von Franz, d’altro canto, ci mette in guardia dall’idealizzare romanticamente le culture primitive, immaginando che i primitivi non abbiano alcun sacco dietro le spalle. Lei dice, in effetti,  che hanno un sacco diverso, ma a volte anche più grosso del nostro”.

Con queste premesse si capisce che la nostra vita trascorra rimpicciolendoci nell’età della formazione per poi continuare a esistere in formato ristretto, eccetto nel caso avvenga una messa in crisi, per chi voglia o sappia vedere la propria Ombra, a cui segue il tentativo di recuperare parti di noi sigillate nel sacco. Chi ha svelato l’Ombra e l’importanza di riconoscerla attraverso la ricognizione personale dei lati negativi anche coscienti, è stato Jung; ma prima e al di fuori della psicoanalisi due grandi ‘esploratori’ citati da Bly sono stati Robert Louis Stevenson e Joseph Conrad. Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (tra l’altro esito della rielaborazione proprio dell’attività onirica di Stevenson), sta lì a mostrarci che la parte oscura mai riconosciuta un bel giorno affiora mostruosa dalla parte opposta della città, proiettando un’ombra da scimmione sul muro di un oscuro vicolo e comportandosi da belva. Hai voglia a dannarti per stare nel ruolo, nel caso specifico quello del medico impegnato socialmente che presta servizio e si dedica agli altri in maniera eticamente impeccabile. Stai a vedere cosa ti fa la scissione dalla tua ombra,  chi c’era che si agitava sotto la patina perfetta che irrompe all’improvviso e mette sottosopra ogni schema. Bly usa altre due metafore, oltre quella del sacco: l’animo umano come contenitore di un film e proiettore: “la nostra psiche è un naturale proiettore cinematografico: le immagini che abbiamo arrotolato dentro un contenitore le manifestiamo all’esterno e le proiettiamo per altri o su altri”.

Diamo via il nostro potere per esistere o credere d’esistere, per essere riconosciuti, accettati, per sentirci amati. L’uomo cede la sua parte femminile, la strega e la proietta magari sulla moglie o sulle donne; la donna cede il tiranno o il gigante che porta in sé cercando all’esterno il suo lato maschile, eroico o violento e molesto. Se non si dialoga con questi personaggi interiori, se li si proiettano su figure di riferimento, mariti, mogli, padri, madri, figli e così via, se li si trascura o abbandona, se non se ne chiede indietro la restituzione per riappropriarci di parti di noi, esplode la rabbia: torneranno come demoni, arrabbiati, ingestibili, vendicativi, a chieder conto della nostra passività. Bly individua più stadi di questo processo proiettivo, stadi che non si succedono in senso cronologico ma sono simultanei e intrecciati. L’atto vero e proprio del proiettare su un altro aspetti di noi, il materiale Ombra ben rimaneggiato da consapevoli cospiratori quali siamo; un secondo stadio in cui seguendo l’immagine di Marie Louise von Franz, le parti dell’ingranaggio non combaciano bene e incominciano a fare rumore, le proiezioni vacillano; un terzo stadio in cui la persona sentendosi minacciata da questo vacillamento mette in gioco l’intelligenza morale per “far tacere il rumore degli ingranaggi che non combaciano”, fingersi integra, perfetta, e perpetuare l’inconsapevolezza; il quarto stadio è quello in cui la maschera crolla e per la prima volta “proviamo la sensazione della diminuzione”, di quanto ci siamo sacrificati per negare parti di noi e sbarazzarcene. Finalmente si torna in vita,  perché se ci si priva del negativo ci si priva anche del positivo e non si vive; il patriarca negativo o la strega hanno anche un aspetto positivo, sono occasioni di crescita e di compattamento di aspetti della personalità. Lo stadio finale è quello del recupero che consiste nel ‘mangiare la propria ombra’: “è un processo molto lento, non succede una sola volta ma centinaia di volte”. Quando cominciamo a riprenderci parti di noi non viste o rifiutate, allora affiora Saturno: le passioni si fanno più profonde, alla rabbia subentra la sofferenza consapevole, la malinconia, il senso del limite, la percezione vera della vita.

Come si fa a ‘mangiare la propria Ombra’? Bly dà indicazioni precise: occorre creare vuoti e discontinuità rispetto ad abitudini eautomatismi, individuare le proprie proiezioni, chiedere indietro in maniera reale o simbolica l’ombra a chi l’abbiamo lasciata (padre, madre, vivi o defunti, ex marito o moglie); parlarle (che si manifesti in forma di rabbia o bramosia di potere, o sessualità disturbata, invidia o gelosia) e chiederle cosa vuole, renderle ‘onore’; acuire i sensi, usare consapevolmente il linguaggio, cercarsi, non uniformarsi agli stereotipi collettivi, esprimere in forme artistiche la propria totalità. Tutti rimedi e cure per accorciare la lunghezza del sacco. ”Chi si rifiuta di accostarsi attivamente alla propria vita, per mezzo del linguaggio, della musica, della scultura, della pittura, del disegno, è uno scarafaggio in abiti umani, non è un essere umano”, sostiene Bly. Certo, il puritanesimo di una tradizione educativa americana o il nostro cattolicesimo hanno chiesto un grande sacrificio agli individui costringendoli alle diete se non alla ‘denutrizione’ e alla fame. Fuor di metafora, se un tempo, come insegna una favola dei Grimm citata da Bly (Giovanni di ferro o il rugginoso), gli anziani di un villaggio attraverso riti di iniziazione fondamentali, insegnavano ai giovani a riconoscere e quindi assimilare la propria Ombra, oggi questo non accade. Anzi la cultura di massa al contrario promuovendo un’euforia superficiale e fittizia, rifiutando la fatica della ricerca, i rischi della depressione, le fasi del lutto, proietta una gigantesca Ombra all’esterno che aggravano il disconoscimento e le rimozioni.

Anche la lotta politica e la vita sociale in generale (come specificato nella prefazione dello psicoanalista Claudio Risé), si basano su un incessante gioco di ombre in cui si proiettano sull’altro (o sul paese avversario, vedi la contrapposizione Usa-Urss) propri limiti o paure o resistenze. Bly cita Reagan come rappresentante di un’umanità politica che ha tappato la bocca al lato buio trasferendolo altrove, addirittura a un paese sterminato, la Russia, identificato come l’impero del male. Ma il nostro lato nascosto non è il male e non coincide con esso. Invece Churchill ha assorbito il negativo e ha esercitato secondo Bly un’autorità naturale.  Alleniamoci, dunque, a riconoscere le nostre proiezioni. Ciò che pensiamo degli altri, l’odio che riversiamo, il male che attribuiamo loro è, il più delle volte, una manifestazione delle parti di noi temute, non viste, negate. Più ci fa antipatia qualcuno e più ci segnala quanto siamo ingabbiati e quanta parte della nostra identità abiti fuori. “La nostra psiche cerca di indicarci dove è la nostra Ombra attraverso le persone che ci ispirano un odio irrazionale”. Occorre abbattere ‘il piccolo guardiano della soglia’ se si vuole progredire nel proprio sviluppo interiore, ammesso lo si voglia. Non è tirando fuori la propria rabbia che si risolve la questione né regredendo all’infanzia, e neanche restando nella dicotomia tipicamente occidentale tra reprimere o al contrario esprimere con ferocia. La terza via in chiave zen è mangiare l’ombra, riconoscerla fino a integrarla, riuscire a armonizzare parti contrapposte dell’identità. Allora si diventa saggi, ‘condensati’ e leggeri a un tempo, dotati di senso dell’umorismo. Come alcuni vecchi maestri zen citati da Bly che hanno tanto lavorato sul loro lato nascosto, da potersi permettere il lusso “di comportarsi in modo avido sotto i tuoi occhi e mettersi a ridere. Mostrando l’avidità direttamente, alla luce del giorno, in qualche modo la sottraggono al mondo dell’Ombra e la portano nella sfera del gioco”.

Titolo: Il piccolo libro dell’ombra
Autore:Robert Bly
Editore: Red editore
Dati: 2003, 85 pp., 7,00 €

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2 thoughts on “Basta diete: per stare in forma occorre ‘mangiarsi l’Ombra’

  • Gennaio 22, 2013 alle 11:24 pm
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    Ho visto che nel vostro sito è pubblicata la riproduzione del mio dipinto “Di colui che lottava con la propria ombra”, senza peraltro citarmi come autore. Vi invito a provvedere o a rimuovere l’immagine.

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