A scuola di impegno politico con i Roots

Per la prima volta nella mia vita di ascoltatore ho deciso di dare un ordine ai miei ascolti. Diciamo che sono passato da piantare la pala a casaccio a scavare con criterio, lasciandomi condurre da un luogo all’altro, seguendo un filo conduttore piuttosto chiaro.
Non so se rimpiangerò questa scelta e sicuramente continuerò ad ascoltare troppe cose che non centrano nulla l’una con l’altra, ma un po’ d’ordine non credo possa guastare.
Perciò, da ora in poi, la scelta dei dischi che recensirò sarà guidata da alcuni criteri precisi.
Due dischi contengono partecipazioni dello stesso artista? Vale un tentativo. Due dischi suonano molto simili? Vale un tentativo. Vedo una strana connessione che probabilmente non esiste tra due dischi? Anche questo immagino valga un tentativo. Grazie dell’attenzione, torniamo alla programmazione abituale con Wake Up!, programma di intrattenimento musicale a cura di John Legend and The Roots.

Fin dai loro esordi a Philly, ormai lontani, il nome dei Roots è stato una garanzia di originalità. Prima di loro (quasi) nessuno aveva provato a suonare il rap, suonarlo con gli strumenti intendo. Nonostante ?uestlove, anima ritmica della formazione, assomigli sembri di più ad un grasso zio nero, che potrebbe stare sotto un qualsiasi portico di un qualsiasi neighborhood di un paesino del midwest e Black Thought, frontman, non sia più l’hobo che era ai suoi esordi, ma un distinto signore, la band non sembra sentire il peso degli anni.
Cambi di formazione a parte – attualmente parte dell’organico della band è costituito da un susaphonista – i Roots sono sempre riusciti a mantenere uno standard qualitativo piuttosto alto, opinione che questo disco non smentisce.
Wake Up! è un progetto a
mbizioso. Promette di rinverdire i fasti del funk e del soul anni ’60 e ’70. Promette di riportare sotto i riflettori il messaggio sociale insito nei pezzi di quegli anni. Promette di farlo con una manciata di cover che spaziano da Baby Huey a Les McCann a Donny Hathaway.
Il risultato non sareb
be neppure dei più infelici. Ben sviluppato, coerente, con l’apporto di un crooner d’eccezione come John Legend. Ma il condizionale in quel “sarebbe” è d’obbligo.
Come molti album di sole cover, Wak
e up! soffre un rapporto di sudditanza nei confronti degli originali, comprensibile se si pensa che questi sono pezzi come Little Ghetto Boy di Donny Hathaway o Wholy Holy di Marvin Gaye, vere colonne portanti della black music, che rende molte delle tracce fin troppi simili alla prima versione. Dalla parte dei Roots c’è da dire che rivedere dei pezzi storici è sempre pericoloso. Paradossalmente la decisione di non allontanarsi troppo dalla strada già tracciata potrebbe essere quella giusta. Se poi pensiamo che questo disco ha il pregio di riproporre brani che altrimenti rischierebbero il dimenticatoio, Wake Up! si presenta per com’è realmente, un buon disco di soul/funk. Forse ci penserei due volte prima di definirlo disco dell’anno, come ha fatto l’Evening Standard, ma sicuramente merita più di un ascolto.

Ripensandoci, può darsi che lo Standard abbia ragione. Non è che quest’anno siano usciti dei gran capolavori.