Schizofrenia e scrittura

Segni dritti come aghi pendenti… punti tondi come gocce di rugiada,
segni inclinati come uccelli che prendono il volo,
caratteri pesanti come nubi spesse,
leggeri come ali di cicala… fenici che danzano serpenti che strisciano…

(Da un trattato cinese di calligrafia della dinastia Tang)

Carlo Zinelli, Ballerine nere su sfondo gialloLasciamo impronte di ciò che siamo veramente in ogni dove e in ogni modo. Prima dell’avvento di telecamere e altri trabiccoli, c’è una traccia unica del nostro passaggio in terra: la grafia, da che la scrittura è praticata dall’uomo e sempre lo sarà, se non altro per apporre una firma. Scrivendo manifestiamo la nostra vera vita, in gran parte sommersa, nascosta persino a noi stessi. La grafia rivela la personalità, disturbi compresi, può confermare psicosi e malattie mentali. Persino malattie terribili, definite dagli specialisti come croniche e recidivanti. “La schizofrenia in scrittura” è il titolo della relazione tenuta da Elena Manetti, docente della scuola di grafologia Arigraf, al recentissimo convegno romano “La grafopatologia in ambito giudiziario”, organizzato dal Centro internazionale di grafologia medica. Mettere le mani avanti è d’obbligo: la grafologia non fa diagnosi mediche, non individua una patologia, può però avere valore prognostico, fare una previsione di potenziali disturbi, senza per questo essere ne voler essere mai una divinazione ma una scienza, oppure può confermare le diagnosi mediche. La grafologia è di supporto ad altre scienze, in ambito multidisciplinare si presta molto bene a essere utilizzata, pur restando scienza autonoma e originale.

Elena Manetti, presidente e docente della scuola Arigraf di Milano di cui è anche fondatrice, ha esposto i risultati della sua ultima ricerca sul tema schizofrenia e scrittura. Una ricerca difficile in territori in parte ancora inesplorati che ha potuto realizzare andando a ripescare materiale “vivo”, grafie e disegni dei ricoverati conservati negli archivi dell’ex manicomio del Santa Maria della Pietà di Roma. La grafologa ha integrato la ricerca analizzando anche scritture recenti di malati che tuttora affluiscono nei laboratori della struttura. Indispensabile un accenno molto schematico alla schizofrenia: malattia complessa, che fu in principio catalogata come forma di demenza precoce perché si presenta in persone giovani provocando un estremo deterioramento cognitivo. Molti i sintomi con cui si può manifestare: allucinazioni visive e/o auditive, disorganizzazione del linguaggio o del comportamento, l’appiattimento della personalità dalla fissità del volto e dell’inflessione nel tono della voce alla mancanza di risposte affettive e di interazione relazionale, compromissione dell’attenzione, scarsa cura dell’igiene, riduzione dell’attività motoria e del linguaggio, mancanza di attività sessuale. Elena Manetti, ha individuato di pari passo con le diverse espressioni della malattia (secondo la classificazione del DSM IV, manuale psichiatrico diagnostico e statistico dei disturbi mentali), diversi tipi di grafia, “anche se in certi casi di malati gravi persistono alcuni automatismi della scrittura”. Questo tipo di ricerche servono a fornire un valido supporto in un lavoro sempre d’equipe: “Noi grafologi non facciamo diagnosi ma il nostro obiettivo è essere dei consulenti e aiutare i clinici”.

Un primo gruppo di grafie individuate, presenta come modalità più comune di scrittura degli ammalati l’uso di una forma infantile, puerile, oppure in stampatello, dal movimento molle o fluttuante, con un tratto leggero, grigio o alterato, disturbato da tremolii, con righe fluttuanti, spesso discendenti, con molti segni di ansia. Le lettere sono stereotipate e anche le rappresentazioni grafiche.  “L’ottanta per cento di malati – spiega la grafologa – ha questo tipo di forma, perché secondo alcuni psichiatri l’ansia connessa con la malattia, che può spingere al suicidio, porta a un tipo di regressione simile a quella che si riscontra nella malattia dell’Alzheimer o nella vecchiezza”. Il secondo gruppo di scritture di schizofrenici classificato da Elena Manetti, al contrario presenta come caratteristiche dominanti forme convenzionali e stereotipate, un tracciato che avanza con forte tensione, soprattutto una pressione esagerata che buca il foglio, parole angolose, persino a dente di squalo: è una modalità di scrittura che evidenzia uno degli aspetti prevalenti della malattia, la mancanza totale di relazione umana. Il terzo gruppo statisticamente rilevabile è la scrittura cosiddetta “insalata di parole”.

“Ci sono nella schizofrenia dei disturbi di linguaggio e la stessa cosa avviene nella scrittura”. In questo tipo di grafie, lo spazio non è organizzato e anche la forma è completamente disorganizzata. Un ultimo gruppo, al contrario presenta come caratteristica prevalente uno spazio completamente invaso, la forma illeggibile per la totale occupazione del foglio. La ricerca è aperta e i contributi sono auspicabili, a cominciare dall’esame dei campioni di scrittura o disegni di schizofrenici illustri. A questo proposito, Elena Manetti ha fatto un accenno al filosofo Tommaso Campanella, al musicista Robert Schumann, al ballerino Vaslav Nijinsky schizofrenico che passò gli ultimi 30 anni della sua vita in manicomio e che ha lasciato sia interessantissimi campioni di scrittura, i suoi diari, sia opere pittoriche in cui si rivela proprio quella ripetitività tematica ossessiva propria dell’immaginario di questi malati. Infine un riferimento al caso Van Gogh di cui non si può parlare con certezza di schizofrenia in assenza di una diagnosi: certo è che la sua biografia racconta di frequenti ricoveri, di comportamenti bizzarri ed estremi, dall’amputazione dell’orecchio al suicidio. E la sua produzione pittorica, specie negli autoritratti sempre più angosciosi, rivela il progressivo distacco dalla realtà fino ad abbracciare un punto di vista cupo e allucinato, proprio degli psicotici.

Grafologia e follia. Un binomio che può attivare un’esplorazione infinita. Anche dal punto di vista pittorico. Sono celebri ad esempio le opere di Carlo Zinelli, ricoverato negli anni ’60 nel manicomio di Verona, lavorò presso l’atelier voluto dallo psichiatra Vittorino Andreoli. Di questa esperienza si trova il racconto nel bel libro dello stesso Andreoli, Il linguaggio grafico della follia. Nativo di Verona e appassionato di musica, Zanelli manifestò le sue turbe psichiche di ritorno dal fronte della guerra di Spagna, con scoppi di aggressività e crisi di panico. Dopo vari ricoveri e terapie anche con elettroshock, fu definitivamente internato nell’ospedale psichiatrico di Verona nel 1947, con diagnosi di schizofrenia paranoide. Nell’atelier di arte terapia aperto nell’ospedale, Zanelli poté dare forma alla sua espressività. Nel 1963 egli fu l’unico italiano ad esporre le sue opere alla mostra “Insania Pingens” a Berna. Le opere di Zinelli vennero conosciute grazie ad Andreoli, che si rivolse a Jean Dubuffet, pittore e scultore francese che dopo un’iniziale pregiudizio, apprezzò le opere perché capì che erano frutto di un talento spontaneo non contaminato da influenze culturali. L’arte di Zinelli ingloba colore, segno, parole e suoni e ricorda lo stile dei primitivi e dei bambini. Horror vacui, stereotipia, tendenza all’ordine ossessivo, reiterazione anch’essa ossessiva di temi e motivi, caratterizzano le sue composizioni come i disegni di molti pazienti schizofrenici. Il suo certo è stato un caso unico: schizofrenia non è di per sé sinonimo di talento artistico e i disegni dei pazienti schizofrenici non sono sempre rivelatori di doti in tal senso.

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