Scrivere la storia – King, Ellroy e DeLillo a confronto sul caso Kennedy

Ellroy con il suo American Tabloid non è da meno. Anche qui il romanziere si infila nelle pagine bianche lasciate dalla storia per completarle con le trame e le vite dei personaggi che si muovevano dietro le quinte. Ecco comparire le figure leggendarie di Pete Bondurant, picchiatore dal cervello fino, Kemper Boyd, il man of the hour del romanzo, stiloso ma con una tremenda fascinazione per il potere e il concetto di compartimentazione, e Ward Littell, il fragile avvocato progressista che si ritroverà suo malgrado incastrato nei torbidi giochi di potere di Hoover, diventandone un tirapiedi. L’ambizione di Ellroy è quella di creare un romanzo, anzi una trilogia (insieme ai seguenti Sei Pezzi Da Mille e Il Sangue è randagio), che rappresenti l’atto fondativo dell’America contemporanea, il paese che sbandiera la libertà ai quattro venti ma che in realtà poggia le sue basi sulla violenza, la menzogna e lo sfruttamento. Lo dice esplicitamente l’autore nella prima frase dell’introduzione, quell’intervento che sta lì ad ammantare di verità tutto il resto della vicenda. Quella frase recita così:

L’America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall’inizio.

Una dichiarazione più che programmatica dunque. Narrare la fondazione di una nazione e le gesta di quegli uomini che l’hanno fatta, attraverso cosa? Un romanzo. Be’ questo è mistificare e Ellroy lo fa benissimo. Tanto che, a sorpresa, l’effetto del libro è proprio quello contrario, ossia far passare la sua versione per quella ufficiale e cioè che Kennedy in realtà sia stato ucciso da una serie di personaggi che volevano la sua morte: la mafia, per la strenua lotta che il fratello Bobby Kennedy gli stava facendo (doveva essere lui, secondo il romanzo, il vero obiettivo del complotto, farlo spaventare); l’estrema destra tradita dalla brutta riuscita della baia di porci e pronta a riprendersi Cuba a tutti i costi; la Cia, l’FBI, insomma tutti avevano giocato la loro parte, era tutta l’America delle lobby e degli interessi che voleva Kennedy giù dal trono. E questa America decide di farlo nell’unico modo in cui fosse capace: con uno spettacolo pirotecnico, durante la celebrazione del re.
A seguito di questi ragionamenti dunque quella che in American Tabloid viene riportata a galla è una storia segreta, quella affidata ad archivi nascosti (la figura dell’archivista nella letteratura e in questi romanzi in particolare rappresenta sempre quella di un custode, non di un semplice funzionario – e lo vedremo anche in Libra), a intercettazioni delicate che nel romanzo vengono riportate, insieme ai titoli dei giornali, a mo’ di documento, come fossero veri e propri reperti, incastrando il lettore nella rete dell’effetto di veridizione.
Come si posiziona il romanzo dunque sul quadrato semiotico sopracitato? Se quello di King voleva smascherare una menzogna, quello di Ellroy vuole portare a galla un segreto, spostandosi dall’asse del Segreto a quello della Verità: l’operazione è quella dello svelamento. Lo scrittore demiurgo pasolinianamente sa e divulga ai suoi lettori la conoscenza. Anche qui i dubbi vengono richiusi e la dimensione della certezza viene ripristinata in pieno. Ma è una certezza per pochi, per eletti. È il segreto sussurrato ad un orecchio.

Chi invece procede verso un percorso diverso è Don DeLillo con il suo Libra, uscito nel lontano 1988, annoverandosi così come il libro più anziano della tripletta. In realtà l’operazione può sembrare simile a quella portata avanti da Ellroy, e cioè rendere storia il romanzo ma ci sono delle componenti che lo portano decisamente lontano, andando addirittura a posizionare il romanzo su una dimensione opposta a quella del maestro del noir. Anche in questo caso il romanzo si muove analizzando le vite e le vicende di tutti coloro che presero parte all’attentato, o meglio di tutti coloro che nutrivano dei rancori verso il presidente o chi per lui (ossia Bobby, lo strenuo e incorruttibile paladino della giustizia). Una numero cospicui di capitoli, introdotti da una specificazione di luogo, vengono dedicati alla figura di Lee Harvey Oswald che viene raccontato dalla sua infanzia fino al giorno in cui imbraccerà il fucile comprato per corrispondenza alla finestra del Texas School Book Depository. Gli altri capitoli, dedicati agli altri uomini, come per esempio Winn Everett, sono introdotti invece da una marca temporale: una data, giorno e mese, l’anno non c’è.
Questo perché uno dei personaggi che ricorre più frequentemente è Nicholas Branch, sfasato temporalmente rispetto agli altri e posizionato quindici anni dopo. Questo personaggio indaga ancora per conto della Cia sul misterioso omicidio: è lui l’archivista, colui che, sommerso dai libri, tenta a distanza di anni di tirare fuori uno straccio di verità da quella complessa matassa di interessi e uomini che volevano morto JFK. Ecco come viene presentato:

Nicholas Branch è seduto nella stanza piena di libri, la stanza dei documenti, la stanza delle teorie e dei sogni. E’ al quindicesimo anno di lavoro, e a volte teme di diventare immateriale. Che stia invecchiando, è certo. Ci sono momenti in cui non riesce a concentrarsi sui fatti in questione e deve tornare più volte alla pagina, al rigo, al dettaglio minuzioso di un particolare pomeriggio. Entra ed esce da quei pomeriggi, nei cieli caldi e sfolgoranti che danno tono e profondità all’angustia dei dati. A volte si addormenta, accasciato nella poltrona, una mano penzolone sul tappeto tessuto su telaio largo. Questa è la stanza in cui si invecchia, la stanza a prova di incendio, inondata di carte.

Il suo ruolo, come detto, è indagare sul materiale che ha disposizione e che gli viene passato da una figura non meglio specificata che lui chiama il Curatore: come fosse una mostra, una galleria, arte e non realtà quella a cui Branch sta lavorando. E la sua presenza, insieme all’assenza di documenti o pseudo-documenti (è Branch solo l’istanza dedicata ai documenti, è lui il filtro, noi non vediamo nulla), è decisiva per l’economia del romanzo, spostandolo su un asse ancora diverso rispetto ai precedenti presi in esame. Ma perché proprio Branch? Perché è lui che esaminando i documenti raccolti, osservando minuziosamente ogni interrogatorio, rapporto o testimonianza, dopo più di quindici anni di lavoro, non riesce ancora ad arrivare a nulla: se qualcosa lo porta verso una direzione, subito dopo appare ciò che la smentisce. La confusione è quella iniziale, la stessa e non può fare a meno di domandarsi, anche lui, se il suo superiore, il Curatore, non stia cercando proprio di sviarlo, per tenere nascosto un evento che il mondo non deve sapere.
DeLillo prova a far muovere il suo romanzo dall’asse del Segreto verso quello della Verità, ma essa appare irraggiungibile, lontana, quasi fosse un’utopia: è il segreto la dimensione del romanzo, non v’è scampo. E con questa mossa, con questa concezione dell’attentato, con questa finale sanzione di inconoscibilità De Lillo riporta il fatto storico in una dimensione romanzesca: fa l’esatto contrario di King e Ellroy, ribalta la situazione, è la storia che diventa romanzo e non viceversa. Ci può essere un risultato più grande per chi fa letteratura?

Di Kennedy non sapremo mai come è andata veramente, sta a noi decidere se credere a qualcuno o qualcosa piuttosto che ad altro. Quello di cui siamo sicuri però è che un evento così, pur nella sua totale drammaticità, non potrà fare altro che generare storie, anche’esse funzione della vita e della morte. La macchina della creazione, per fortuna, non si ferma e non si fermerà.

Titolo: 22/11/’63
Autore: Stephen King
Editore: Sperling & Kupfer
Dati: 2012, 767 pp.,  23,90 €

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Titolo: American Tabloid
Autore: James Ellroy
Editore: Mondadori
Dati: 1995, 10,50 €

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Titolo: Libra
Autore: Don DeLillo
Editore: Einaudi
Dati: 1988, pp. 423; 13,00 €

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