Non l’ho letto, ma mi piace – Ep. 3

Non ci credevate che saremmo arrivati al n. 3, vero? Beh, ho una sorpresa per voi: non ci credevo nemmeno io. Invece eccoci qui, uomini di poca fede che non siamo altro: e insieme a noi, questa settimana, abbiamo scacchi, gatti, libri, social network e birra. What else?

Lo so, quello che sto per chiedervi è impegnativo. Durante la giornata abbiamo tutti un sacco di cose da fare. La bionda dell’università o dell’ufficio accanto ha appena postato su Facebook le sue foto in costume da bagno sulla spiaggia di Mallorca: perciò, dopo averlo detto a tutti su Twitter, dobbiamo inviarle con Gmail a tutti quelli che conosciamo; poi, perché no?, photoshopparle un filino e caricarle su Myspace; così, per far credere agli altri rosiconi che su quella spiaggia con lei c’eravamo anche noi. Lo capisco. Però, se alla fine della giornata vi avanzano un cinque minuti, andate in libreria e sfogliatevi Tu non sei un gadget, il nuovo libro di Jaron Lanier: che si dà il caso sia uno dei signori che negli anni ’80 hanno creato la realtà virtuale. Insomma, uno che la cybercultura l’ha inventata: e che adesso prende la parola per criticarla. Più precisamente, per accusare un’evoluzione informatica ormai progressivamente appiattita su un sistema, quale quello dei social network, che di social ha sempre meno. Trattasi infatti, secondo Lanier, di nient’altro che “poltiglia”, che riciclano vecchi contenuti spacciandoli per folgoranti novità; che generano una socialità falsa, fatta di sterili apprezzamenti virtuali a perfetti sconosciuti accumulati come “amici” e di cui leggiamo quotidianamente l’evolversi di una vita che non ci interessa; che, insomma, rappresentano un’involuzione proprio di quel potenziamento dell’individualità umana che il computer voleva essere, trasformandoci in oggetti statistici. Perché dài, diciamocelo: quando abbiamo finito con le foto della bionda e alziamo gli occhi dal pc, ci ritroviamo in una stanza a ridere da soli di quanto siamo simpa.
Jaron Lanier
Tu non sei un gadget
Mondadori, pp. 265, € 17,50
Il giocatore occulto di Arturo Pérez-Reverte è il libro che tutti voi avete voglia di leggere adesso. Per quanto in genere io diffidi degli scrittori quando ci presentano un nuovo romanzo assicurandoci di aver scritto “la loro opera più completa”, la scheda sembra effettivamente promettere molto bene. Immaginate che il Capitano Alatriste, nella miglior atmosfera sinistra del Club Dumas, giochi una tesissima partita a scacchi con il Muñoz de La tavola fiamminga, e avrete una quantità di ragioni che lèvati per buttarvi a capofitto in questo nuovo romanzo. Del resto, già qualche mese fa la Marco Tropea ci aveva convinti con un esperimento piuttosto ben riuscito di romanzo storico dalle tinte fortemente noir (possiamo parlare di un nuovo genere letterario? io credo di sì) come Ladri di inchiostro; il fatto poi che questa nuova incursione nel genere sia affidata alla penna di un narratore rodato come Pérez-Reverte significa che dovrebbe impegnarsi davvero parecchio per deludere. E io scommetto che non ci riuscirà. P.S. Stavolta la Tropea ha fatto le cose proprio per benino: del libro c’è pure il sito.
Arturo Pérez-Reverte
Il giocatore occulto
Marco Tropea, pp. 640, € 20,00
Alessandro Carrera lo conosciamo soprattutto come l’autore di La vita meravigliosa dei laureati in lettere, fortunato libretto di qualche anno fa il cui protagonista, neolaureato in lettere, si trova ben presto costretto ad abbandonare i suoi sogni di gloria per finire a scrivere i bigliettini dei biscotti della fortuna cinesi. Me lo regalarono alcuni amici simpaticoni il giorno della mia laurea (in lettere), e me lo lessi tra grasse ghignate, con gli occhi ancora velati dalla prospettiva di un radioso futuro. Poi mi sono accorto che era tutto vero. Grazie, ragazzi: finisco con i bigliettini di oggi e ci vediamo in sala giochi. Comunque. Il suo nuovo libro, Librofollia, è una raccolta di sessantaquattro raccontini sulla passione/malattia/ossessione della letteratura: frammenti paradossali in cui il virus della parola assume le dimensioni di una vera e propria epidemia, contagiando con i suoi eccentrici sintomi lettori, scrittori, appassionati del libro e coinvolgendoli in situazioni al limite del delirio. Dalla scheda: “un anziano professore seduto sulla panchina di un parco legge un libro in greco antico, strappando e gettando al vento ogni pagina che finisce; uno scrittore che ha solo sei mesi di vita decide di trascorrerli in sciali e perversioni; una poetessa dei sensi riesce a vivere, scrivere e amare solo se mette in rima il suo nome; un’associazione di Sognatori di Libri fa telefonate minatorie agli scrittori esordienti, diffidandoli dallo scrivere un secondo romanzo; un biblioterapeuta cambia la vita ai suoi pazienti prescrivendogli libri impossibili”. Una sorta di analisi della bibliofilia per paradossi in cui sento un po’ aria di Borges. E quindi ci metto la firma.
Alessandro Carrera
Librofollia
Cairo editore, pp. 144, € 13,00
Se siete di quelli per i quali “Sì, carino il gatto, però il cane è meglio perché è fedele”, potete anche fermarvi qui e bussare alla vostra vicina di casa per discutere sul fatto che le mezze stagioni non esistono più e che Sean Connery è più bello da vecchio che da giovane. Perché da queste parti i pregiudizi sui felini sono ancora meno tollerati di un editoriale di Minzolini. Tuttavia, forse c’è speranza anche per voi: perché il classico C’è una tigre in casa (1920) di Carl van Vechten, finalmente portato in Italia da Elliot, è uno di quei libri in grado di smuovere anche le menti più rigide. In una panoramica storica che, pur sorretta da una notevole cultura, non perde mai il placido sapore delle carezze davanti al camino, van Vechten ripercorre la storia del rapporto tra l’uomo e il gatto, fin dal giorno remoto in cui quest’ultimo decise, per sua cortese volontà, che forse il terreno era buono per costruirci qualcosa. Da quel momento, consapevoli di avere di fronte una creatura senz’altro fuori dal comune, gli umani non hanno mai smesso di tessere intorno alla piccola tigre domestica una ridda di leggende, miti, simbolismi che col tempo sono diventati parte integrante dell’immaginario collettivo. Immergendoci nel racconto di van Vechten (stavolta baro, perché l’ho già sfogliato), ci accorgiamo che, da quasi ogni anfratto del folklore, della musica, della letteratura, dell’arte, spunta fuori lo zampino di un gatto, ora dio, ora demone, ora consigliere, o più semplicemente compagno. Una storia lunga, affascinante, poetica. Fossi in voi ci farei un pensiero. Anche se vi piacciono i cani.
Carl van Vechten
Una tigre in casa
Elliot, pp. 320, € 17,50
Tra le novità in uscita presso minimum fax che ho spulciato con l’ingrato compito di selezionarne una e una sola (altrimenti questa settimana la rubrica sarebbe stata tranquillamente dedicata tutta a loro; ma voi potete guardarvele tutte comunque), spicca senz’altro Sabato sera, domenica mattina, che – oltre a essere il momento della settimana preferito da ognuno di noi – è anche un romanzo dissacrante di Alan Sillitoe (già autore de La solitudine del maratoneta) che vi provocherà importanti scompensi all’articolazione della mascella. “Beve. Mente. Tradisce. S’infuria. Picchia. Si mette nei guai e prova a uscirne”. Questa la descrizione del protagonista e della sua vita quotidiana fornita da Diego De Silva nella prefazione al volume; non so voi, ma io ero già conquistato al “Beve”. Gli ingredienti del romanzo sono infatti quelli che in genere inserisco nella categoria “colpo sicuro”: società borghese inglese anni ’50, costrizione e convenzione sociale, ribellione. Arthur Seaton, ventiduenne operaio alla catena di montaggio di una fabbrica di Nottingham, vive un’esistenza statica e preordinata quanto il suo lavoro. Un bel giorno decide che la sua grigia quotidianità ha bisogno di una scossa, e ritiene che birra, risse e adulterio potrebbero forse aiutarlo nel suo intento. Ci riuscirà? La scheda non lo dice (e ci mancherebbe), e io vi ricordo che la prima parte del titolo di questa rubrica dice “Non l’ho letto”, quindi non ne ho la più pallida idea. Però è anche vero che la seconda dice “Ma mi piace”. E con presupposti del genere, io davvero mi chiedo come potrebbe essere altrimenti.
Alan Sillitoe
Sabato sera, domenica mattina
minimum fax, pp. 307, € 12,50

4 thoughts on “Non l’ho letto, ma mi piace – Ep. 3

  • Pingback: Non l'ho letto, ma mi piace – Ep. 3 | AtlantideZine.it – Rivista …

  • Novembre 4, 2010 alle 11:04 am
    Permalink

    Qualche giorno fa ho comprato Il giocatore occulto.
    Non l’ho ancora finito, ma per ora mi pare abbastanza interessante, la storia è avvincente, ben strutturata e ben scritta e l’ambientazione è molto interessante. Certo, come scritto nel post, Pérez-Reverte è una garanzia!

    Girando un po’ ho scoperto che sul sito ufficiale del libro è stata predisposta una sorta di “gioco”: ai primi dieci che entreranno rispondendo alla domanda e si registreranno verrà regalata una copia del romanzo autografata dall’autore. Nello spazio “segreto” del sito si avrà accesso a testi inediti in Italia di Arturo Pérez-Reverte e si potrà contribuire a creare una mappa dei personaggi, dei fatti e degli avvenimenti storici e all’elaborazione di ipotesi alternative collaborando con gli altri lettori che hanno amato il romanzo in una sorta di wikipedia dedicata a Il giocatore occulto.

    Il sito è qui: http://ilgiocatoreocculto.it/dossierocculti

    Bello, no?

    • Novembre 7, 2010 alle 6:25 pm
      Permalink

      Bello sì! Ottima davvero l’idea della Marco Tropea di buttarla sull’interattività: un modo per prolungare un po’ il gioco del giocatore occulto. Io l’avevo detto che stavolta avevano fatto le cose proprio per benino… 😉

  • Pingback: Tweets that mention Non l’ho letto, ma mi piace – Ep. 3 | AtlantideZine.it - Rivista di Libri, Cinema, Spettacoli, Musica, Arti Visive -- Topsy.com

I Commenti sono chiusi.