Sherlock ha mandato un sms a Lestrade, ma lui sapeva già tutto: aveva letto il blog di Watson

Dalla pubblicazione, nel 1887, di Uno studio in rosso le variazioni – letterarie, teatrali, cinematografiche, televisive, grafiche, fumettistiche – intorno al detective più famoso del mondo sono semplicemente incalcolabili.
C’era bisogno allora, nel 2010, di un nuovo adattamento di Sherlock Holmes? La risposta che Steven Moffat e Marc Gatiss (co-autori fra le altre cose della fortunatissima serie televisiva Dottor Who)  vi darebbero è: sicuramente sì.

I due si sono chiesti un giorno cosa avrebbe fatto Sherlock Holmes se fosse vissuto ai giorni nostri e avesse avuto a disposizione la moderna tecnologia. Poi si sono guardati in faccia e si sono resi conto che l’idea era potenzialmente strepitosa, così si sono chiusi in uno studio finché non hanno buttato giù il progetto di una serie tv ispirata alle avventure classiche di Sherlock Holmes ma ambientata nella Londra di oggi. Immagine logo del prodotto audiovisivo: una veduta di Londra che evidenzia proprio quell’elemento che il «vero» Sherlock Holmes non avrebbe mai potuto vedere ovvero la ruota panoramica costruita nel 1999.

Basta quindi con gli adattamenti pedissequi da museo delle cere. E, soprattutto, via il cappello da deerstalker e la pipa ricurva. Anche perché, a dire la verità, di quelli Conan Doyle non ha mai parlato. Paradossalmente quasi tutti i tratti dell’iconografia sherlockiana non compaiono nei libri di Conan Doyle ma sono frutto dei successivi adattamenti o della fantasia degli illustratori.
Gli episodi, pensano Moffat e Gatiss, dovranno essere riconoscibile nella loro struttura ma anche interamente adattati al contesto moderno. Una sfida intelligente e divertente o, se vogliamo, anche un po’ irriverente ben rispecchiata dal titolo del pilot: Uno studio in rosa.

Naturalmente a chiedere i soldi per una serie su Sherlock Holmes non si può che bussare alla porta della BBC che, dopo aver visto il costosissimo pilot, decide di non mandarlo in onda. Un completo fallimento? Al contrario. I dirigenti della BBC si rendono immediatamente conto che l’idea è ottima e che non va sprecata. E, in poche parole, inventano un nuovo format televisivo ad hoc. Sherlock Holmes, che è particolarmente vanitoso, lo avrebbe certo ritenuto adeguato.
La serie Sherlock, quindi, non sarà una serie classica con 12 o 24 episodi a stagione della durata media di 40-50 minuti ma una serie di sole tre puntate a stagione di 90 minuti l’una. Come dire tre film cinematografici. E dei film cinematografici ogni puntata di Sherlock ha anche il budget, tanto che la BBC le trasmette anche sul canale HD con il tag masterpiece.
Ma è davvero un capolavoro questo nuovo prodotto che si è creato di prepotenza uno spazio innovativo a metà strada tra cinema e televisione?

Di sicuro è un prodotto realizzato con estrema cura e, per di più, è divertente. Cosa che, bisogna pur dirlo, non sempre i romanzi di Conan Doyle sono.
Senza lasciarci distrarre da qualche vezzo stilistico come scritte in sovraimpressione, visualizzazione di mappe gps o di schermate web, la serie presenta molti motivi di interesse. Il principale è, a mio avviso, il lavoro sui personaggi. Sherlock viene presentato come un uomo incredibilmente intelligente ma, come sempre capita alle persone troppo intelligenti, odiato da chiunque abbia a che fare con lui. Anche se non lo ammetterebbe mai, Sherlock è, soprattutto, un uomo solo. O, se preferite, un “sociopatico ad alta funzionalità” come egli stesso si definisce. Watson invece è un medico militare insoddisfatto della propria vita che soffre di un’invalidità psicosomatica a causa della sindrome da stress post traumatico. Ma – trovata originale – ne soffre al contrario: non è sconvolto dalla guerra, ma ne sente la mancanza.

L’incontro con Sherlock è casuale quanto provvidenziale. Non solo i due possono condividere un appartamento a Londra (e, visti i costi di Londra, la cosa non è secondaria) ma la noia – e l’invalidità – stanno per scomparire dalla vita di Watson così come la solitudine da quella di Sherlock.
Uno dei punti a favore della serie è che Watson, pur non riuscendo a stare al passo con Sherlock (nessuno potrebbe, tranne Moriarty, ovviamente) non viene presentato come un idiota. “Solo gli idioti si circondano di idioti”, spiega Moffat, e tutti sanno bene che Sherlock non lo è. Watson, inoltre, è abbastanza intelligente da riuscire ad ammirare le doti di Sherlock senza invidia o senza entrare in competizione con lui sviluppando, al contrario, quasi un senso di protezione nei suoi confronti.

Il ruolo di Watson in questa versione non è più quello di semplice cantore delle gesta dell’eroe ma è molto più complesso e delicato, ed è l’ispettore Lestrade a esplicitarlo: Sherlock è un grand’uomo, ma c’è bisogno che qualcuno lo aiuti a diventare un brav’uomo. E tutti noi speriamo che questo qualcuno sia Watson. Infatti, per come stanno le cose, sembra che a muovere Sherlock non sia un senso di giustizia, se pur vago, ma solo il desiderio, e quasi l’ossessione, di dimostrarsi il più intelligente. Perché, per quanta tecnologia si abbia a disposizione, per risolvere un delitto c’è sempre bisogno di un buon cervello.

Un altro pregio incontestabile di questa serie è quello di aver utilizzato la modernità per creare un effetto comico. L’idea di un blog in cui Watson racconta pregi e difetti del suo geniale coinquilino e che viene avidamente letto, a insaputa di Sherlock, da tutta Scotland Yard ci fa, inevitabilmente, sorridere. Così come ci fa sorridere che, nel 2010, se due uomini vivono insieme è facile che vengano considerati una coppia di fatto e che, quando sono seduti al tavolo, il cameriere pensi di accendere loro una romantica candela, nonostante le inutili proteste dell’imbarazzato Watson.
Forse il formato cinematografico crea nello spettatore l’attesa di una storia adeguata allo standard adoperato. Invece le avventure di Sherlock, pur essendo godibilissime, non raggiungono livelli troppo elevati dal punto di vista strettamente narrativo.
È davvero entusiasmante, però, constatare che siano prodotti così accurati, innovativi e interessanti quelli che passano la domenica in prima serata sulla rete televisiva pubblica. Ah certo, in Inghilterra, s’intende.

Sherlock, GB 2010-in corso
creato da: Steven Moffat e Marc Gatiss
per il network: BBC
con: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman

Volete leggere anche voi il blog di Watson?

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