Allegri figlioli, è arrivata la repubblica!

Francesco Jovine appartiene al numero di quegli scrittori italiani arbitrariamente, e talvolta ingiustamente, definiti «minori». L’oblio in cui è caduto il suo romanzo Signora Ava appare ancora più inspiegabile se si pensa che da esso Antonio Calenda trasse, a suo tempo, uno sceneggiato televisivo con Amedeo Nazzari che ebbe un discreto successo.
Dobbiamo probabilmente ringraziare le celebrazioni per l’Unità d’Italia (e l’editore Donzelli) se questo romanzo viene di nuovo riscaldato dalle luci della ribalta.

Signora Ava è un romanzo che colpisce fin dalle prime pagine. In primo luogo per ragioni linguistiche: la struttura è semplice e immediata ma la scelta delle parole ricca e poetica. Mi ricorda, dal punto di vista espressivo, alcuni visi ritratti da Carlo Levi che, in poche pennellate, racchiudono intere storie.
In secondo luogo mi colpisce la vividezza con cui sono descritti i personaggi, anche quelli minori. Alcuni sono figure eterne, di quelle tramandate dalla letteratura verista o, forse, addirittura dalla commedia dell’arte: il ricco che rischia di morire perché ha mangiato troppo, il medico incapace di cui nessuno si fida, il prete avido.
Sia i galantuomini che i contadini sono tratteggiati con tale efficacia che, leggendo, è quasi impossibile non attribuirgli mentalmente un volto, una voce, un modo di muoversi.
Jovine riesce nel tentativo ambizioso di rendere questi personaggi e queste storie, potenzialmente uguali a mille altri, unici, avvincenti e interessanti per il lettore. A questo scopo contribuisce egregiamente un personaggio che, al contrario di quasi tutti gli altri, si rivela decisamente originale. Si tratta di don Matteo, prete di second’ordine di Guardialfiera, piccolo paese del Molise di cui Jovine è originario e in cui si svolge la maggior parte della vicenda.

Nel paese ci sono a stento duemila abitanti ma almeno dieci preti che lottano ferocemente tra di loro per la conquista del maggior numero di fedeli. Ma non è nemmeno un insano orgoglio a guidarli quanto la necessità di sopravvivere: più fedeli significano più offerte e quindi più cibo e più denaro.
Don Matteo, marginalizzato dai colleghi canonici più influenti, è una figura davvero lontana dalla spiritualità e sicuramente antipodica rispetto all’ascetismo. Pensa troppo alla gola, ai beni materiali e a non ben precisati altri peccati citati in una lettera anonima. Inoltre è collerico e non ha abbastanza rispetto per l’autorità. La sua imperfezione e la sua incoerenza lo rendono irrimediabilmente simpatico al lettore che, proprio attraverso di lui, segue le vicende degli altri personaggi.

La prima parte del romanzo racconta la vita quotidiana nella piccola cittadina molisana e mostra una società rigidamente divisa in classi in cui la separazione di casta appare tanto più ridicola se si considera che anche i notabili di Guardialfiera sarebbero considerati dei poveracci in una città appena più importante.
Qui il lettore scopre, o riscopre, il mondo dei contadini, legato ai tempi e alle regole della terra, e governato da una saggezza popolare che si fonda su credenze magiche e sugli insegnamenti di creature mitiche, come la stessa signora Ava che dà il titolo al romanzo; storie e leggende che sempre si sono raccontate e sempre si racconteranno.
Per questa ragione il giovane Pietro Veleno – ragazzo intelligente e onesto, pupillo di Don Matteo – quando si accorge di provare attrazione per la sua coetanea e padrona Antonietta Di Risio, ricaccia indietro quel sentimento. Pur essendo consapevole che esso è ricambiato, un legame tra loro due appare, al ragazzo, semplicemente impossibile.

Ma le cose cambiano profondamente quando anche a Guardialfiera arrivano gli echi della rivoluzione. Un “re straniero” pare abbia tolto dal trono Francesco di Borbone. Non ha a caso si parla di echi. In quel piccolo paesino all’estrema periferia del Regno di Napoli, è difficile comprendere, e comprendere tempestivamente, cosa stia accadendo. Le voci parlano dell’esercito di un certo Gariobaldo che porta più benessere e giustizia per i contadini. Inizialmente il paese gioisce, considerando l’insediamento del nuovo re cosa fatta. Ma poi arrivano le truppe borboniche per reprimere le rivolte e i nobili, spaventati, denunciano i contadini.
Pietro è costretto a scappare per unirsi alle camicie rosse. Ma, per una pura casualità, si ritroverà invece a combattere con i borbonici.
Se la prima parte del romanzo è volutamente statica, la seconda segue la vita selvaggia e violenta a cui Pietro è costretto per sopravvivere, prima da soldato e poi da brigante.

Il Risorgimento raccontato da Jovine è un Risorgimento cieco, disperato, imposto; una lotta smitizzata in cui spesso chi combatte non ha la minima idea di quale sia “la sua parte” e, di sicuro, non ha in cuore altro ideale che non sia uccidere per non morire.
Abbrutiti e disillusi dalla guerra, alcuni dei personaggi di questa storia breve e intensa riscoprono una necessità di purezza e di riscatto. Persino don Matteo sembra, infine, crescere e trovare il modo per essere davvero strumento di Dio e per aiutare gli uomini a guadagnare un po’ di pace sulla terra.
Il finale asciutto e drammatico consacra, a mio parere, Jovine tra i grandi scrittori italiani contemporanei.
Un libro da leggere, assolutamente. Un’altra voce per raccontare una delle tante verità sulla nascita della nostra nazione.

 

TITOLO: Signora Ava
AUTORE: Francesco Jovine
EDITORE: Donzelli
DATI: 2010; pp XIV-223; € 23,00
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