Sonno, sogno e psicoterapia: Freud in cantina. Sognatori lo siamo non per censura ma per talento naturale e immaginazione

Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. William Shakespeare ha donato la sua scoperta  all’umanità senza tema di smentite scientifiche. Dopo eoni di oniromanzie, credibili come incredibili, sogni e doppi sogni per via letteraria, svelamenti onirici per via figurativa, pittorica e, da un secolo a questa parte, cinematografica, resta corposa la domanda: di che sostanza sono fatti questi sogni che ci abitano e che noi abitiamo? Plexiglass, seta, lana caprina, nuvole, cielo, terra, materia o antimateria? Che siano una miscellanea di tutto un po’? E in che rapporto sono con il sonno, rem, russato, in salute e in malattia? E quale posto hanno nel XXI secolo i sogni in psicoanalisi visto che di essa furono i supremi istigatori, ora che i saperi si accrescono, si accumulano, si intersecano, spesso collidono e una rondine (freudiana) non fa più primavera?  Sonno, sogno e psicoterapia è il titolo del densissimo convegno organizzato  a Roma dalla Scuola medica ospedaliera con l’Istituto romano di psicoterapia psicodinamica integrata diretto dallo psichiatra e psicoterapeuta psicoanalitico Giuseppe Lago e dalla rivista Mente e cura il cui direttore scientifico è Giuseppe Tropeano che nel dibattito ha fatto da moderatore.

“Il sogno è una delle attività della nostra psiche di cui non abbiamo piena consapevolezza. Ci sono varie letture: neurofisiologiche, elettrofisiologiche, psicodinamiche. Ognuno tira l’acqua al suo mulino ma nessuna chiave di lettura spiega tutto. Nessuno possiede tutta la verità sul cervello. Occorre avviare una lettura meno semplice, meno lockiana, nel senso dell’empirismo inglese per cui tutto è trasparente”. Così Il neuroscienziato Alberto Oliverio, tra i relatori della giornata: con l’ironia e la pacatezza che lo contraddistinguono, Oliverio ha invitato a superare dicotomie (per cominciare quella tra psicoanalisi e neuroscienze e viceversa), ammettendo i limiti del modello neurofisiologico che non spiega ad esempio i sogni ricorrenti, la modalità narrativa, il linguaggio propri del sogno.  Sterile se non nocivo è voler ingabbiare  il sogno in griglie riduzionistiche tanto quanto ostinarsi a decodificarlo in base a rigide simbologie psicoanalitiche ormai datate. Integrare i saperi e imparare un linguaggio comune: Giuseppe Lago ha auspicato questa direzione nel fare il punto sulla concezione attuale del sogno in psicoterapia dopo aver traversato in volata un secolo decisivo: il ‘900. In principio, ovviamente c’è Sigmund Freud: proprio nel 1900 pubblica L’interpretazione dei sogni e da quel momento, nessun dorma,  sognare evidenzia solo il tasso individuale di repressione sessuale. L’inventore della psicoanalisi sentenzia che chi sogna lo fa per aggirare la censura, scaricare le tensioni e appagare il desiderio rimosso che è sempre desiderio sessuale. Spostamento, condensazione, simbolizzazione sono i meccanismi prevalenti del sogno che, al di là del contenuto manifesto, va interpretato nell’aspetto latente attraverso la pratica delle associazioni libere. Il sogno è anche ‘guardiano del sonno’: visione quanto mai superata, ha allertato Lago per  poi commentare: “a parte l’enorme valore storico del corpus teorico di Freud e le sue intuizioni geniali, non c’è nulla da salvare oggi”.

Dal 1900 al 1939 (anno della sua morte) Freud resta fedele alla sua teoria eccetto qualche deroga obbligata: gli allievi obiettano che esistono anche sogni orrorifici o traumatici:  altro che spie del desiderio sessuale rimosso. Freud ci lascia  per un bel po’ nell’incertezza: forse l’allucinazione onirica equivale a quella psicopatologa. È Jung, l’allievo più talentuoso, a dare nel 1911 un decisivo scossone all’edificio del maestro: “Il sogno è un evento naturale che non esiste come inganno alla censura, è un linguaggio, un contenuto che non trova spazio nella coscienza”. Il sogno non è compromesso tra censura e inconscio, anzi censura non vi è. Esprime casomai per immagini un pensiero prelogico.  Per questa via Jung apre ai simboli archetipici di cui il sogno è portatore, talvolta attribuendogli persino capacità previsionali e premonitive. “Forse ha esagerato  – la  chiosa Lago  – ma ha liberato il sogno dal desiderio facendogli esprimere verità profonde. Il sogno è il sognatore per Jung: va dunque rispettato l’individuo, il terapeuta non è la Sibilla Cumana”.

Il confronto tra freudiani e junghiani si è inoltrato fino agli anni ‘50 e ’60 quando le neuroscienze con gli studi sulle alterazioni neuronali  durante il sonno hanno imposto un aggiornamento delle teorie attardate in un antagonismo sterile tra simboli fallici ed esoteriche visioni di mandala trasfigurati. È allora che è entrato in scena, ha sintetizzato Lago, un terzo interlocutore: il cognitivismo, “indirizzo di psicoterapia che per un secolo ha negato l’inconscio ed è stato ostile alla psicoanalisi finché è approdato a posizioni prima impensabili”. Dal cognitivismo razionalista di Beck che assimilava il materiale onirico ai sogni a occhi aperti, quindi all’esperienza della vita concreta  e al pensiero cosciente, si è passati al cognitivismo costruttivista che “ha preso atto che il sogno è qualcosa di sconosciuto da scoprire fino ad arrivare a una convergenza mai vista prima con la psicoanalisi. Finalmente si parte dalla verifica delle emozioni che il sogno veicola perché i cognitivisti hanno messo fuori la dimensione oracolare della psicoanalisi”. E ben venga.

Buone notizie: finalmente la psicoanalisi è uscita dallo schema desiderio sessuale/appagamento e il sogno è inteso come comunicazione all’interno della relazione terapeutica che non ha niente a che vedere con l’allucinazione psicopatologica.  Lago ha bocciato qualsivoglia  interpretazione oracolare del sogno; ha proposto una valorizzazione delle  immagini oniriche per   con le loro caratteristiche formali, narrative-estetiche, sulla scia dell’accezione bioniana del sogno come pensiero e della  visione ‘binoculare’ capace di integrare conscio-inconscio in vista di  un lavoro psicoterapico con i sogni che tenga conto anche delle attuali ricerche neuroscientifiche. “Sogno è pensiero espresso non in modalità verbali, è comunicazione all’interno della relazione, è stazione importante per poter operare una diagnosi, è espressione del patrimonio unico di ciascuno”. Non tutto va spiegato, decifrato dal terapeuta, tantomeno schematizzato in base a idee prefissate. “Un sogno richiede un setting, uno spazio intersoggettivo, una relazione profonda. Con Mauro Mancia seguendo la sua formazione da neuroscienziato che condividiamo, il sogno è la rappresentazione teatrale dell’individuo. Il terapeuta fa da guida come Virgilio con Dante ma senza che il paziente diventi soggetto al suo giudizio”. Tanti i contributi portati alla discussione: da quello filosofico in chiave fenomenologica di Nicola Zippel: alla riflessione dello psichiatra Massimo Biondi sull’aspetto biologico dei sogni o all’analisi globale, critica e autocritica, dello psicoanalista Luigi Aversa: “gli psicoanalisti soffrono del complesso di non scientificità” e quindi molti oggi hanno bandito il sogno dimenticando che è una parte fondamentale della dimensione psichica, “dimensione profonda, evanescente non fissata né fissante”.

D’altra parte le neuroscienze, se autoreferenziali, hanno la mania di voler localizzare tutto e allora giù  a cercare dove siano collocate  le emozioni, dove stia il cervello e magari a frugarci dentro in attesa  che un domani si riuscirà a registrare i sogni. “Che ci siano strutture neurobiologiche è certo, però il substrato neurobiologico è condizione necessaria ma non sufficiente a oggettivare lo psichico – ha osservato Aversa –  Bruno Callieri, da poco scomparso, direbbe: manca il vissuto. Nessuno nega i neurotrasmettitori ma a metterli tutti insieme in un alambicco non avremmo la psiche”.  L’inconscio non è una macchina inerte che gira a vuoto nell’apparente inattività notturna. Dormire, forse sognare, (ancora Shakespeare) sono modalità di esistere, adattarsi, rielaborare il vissuto, esercitare la memoria, ricongiungersi con il proprio mistero vivente. “L’uomo che non dorme – scrive Marguerite Yourcenar ne le Memorie di Adriano – rifiuta ad abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi, o alla saggia follia del sogno; non si affida più al flusso delle cose.” E  allora buonanotte ai sognatori!