Storie a confronto – Una chiacchierata con Federica Manzon e Vincenzo Latronico

Due dei libri che mi hanno particolarmente colpito l’anno passato sono di due giovani scrittori italiani. Uno è (li cito in stretto ordine di lettura) La cospirazione delle colombe di Vincenzo Latronico e l’altro, invece, è Di fama e di sventura di Federica Manzon. Anagraficamente molto vicini i due scrittori hanno tirato fuori dal cilindro due libri densi, pieni, pregni, soprattutto di trama e tematiche. Le storie che i due romanzieri mettono in scena sono corpose e ramificate, si sviluppano nel tempo e interessano i destini e le vite di più di un personaggio. Sono, in poche parole, di ampio respiro, con annesso e connesso tutto ciò che questa espressione riporta alla mente (cosa? unicuique suum).

Va da sé che poi, nonostante le differenze di trama e di protagonista (uno, Tommaso, per la Manzon, due, Alfredo e Donka per Latronico) mi sia fermato a pensare che, guarda un po’, questi due libri hanno davvero tanto in comune, quasi fossero manifestazione di una nuova poetica, scevra di manifesti ma ricca, pare, di intenzioni. E invece di pensarla e basta, questa cosa ho deciso di discuterla direttamente con i due interessati. Poco prima di Natale li ho contattati via mail chiedendo loro se fossero interessati a subire una sorta di intervista doppia, a discutere insieme di questi due romanzi che sembrano in qualche modo somigliarsi. I due mi hanno risposto con decisione e gentilezza e così, in una fredda sera di dicembre, ci siamo messi ognuno di fronte al proprio laptop, ognuno connesso al proprio account skype, per cominciare l’avventura. Ultime premesse necessarie:

  • per farsi un’idea di cosa sia il romanzo di Federica potete dare uno sguardo qui e qui
  • per farsi un’idea di cosa sia il romanzo di Vincenzo potete dare uno sguardo qui e qui

[21:17:12] cataldo: Ho deciso di intervistare voi così, in chat e insieme, perché credo che i vostri libri, in qualche modo, si “tocchino”. Vorrei avvicinarmi a questi punti di contatto iniziando dalle tematiche. Vi chiedo quindi come mai avete deciso di ambientare le vostre storie nella finanza, e perciò di raccontarla questa finanza

[21:19:41] vincenzo latronico: (ladies first, of course)

[21:21:35] federica: Per me l’idea non è nata subito. All’inizio sapevo che Tommaso avrebbe svolto un lavoro in cui fare carriera molto rapidamente e per lo più sulla base del proprio talento, visto che lui non aveva né un buon nome di famiglia né delle buone conoscenze. Doveva essere un lavoro in cui poter raggiungere molto presto una posizione di grande prestigio… Quindi il campo era ristretto. Però all’inizio non pensavo alla finanza, fino a quando non mi hanno chiesto un racconto per Nuovi Argomenti…

[21:23:46] vincenzo latronico: Io, invece, lo avevo deciso da subito. Mi interessava parlare della “nostra classe dirigente”, per qualche senso del termine – e quindi di ambizione, nel caso dei giovani – e i soldi, in questo senso, sono un’ottimo modo per incanalare questa ambizione. C’è un libro di Vonnegut che inizia così: “Al centro di questo romanzo, che parla di esseri umani, c’è una grossa somma di denaro, un po’ come al centro di un romanzo che parla di api potrebbe esserci una grossa quantità di miele.”

[21:23:47] vincenzo latronico: Ecco.

[21:24:40] federica: L’idea era raccontare qualcosa che per noi rappresentasse gli anni 2000 (dal 2000 al 2010), un evento, una parola, una figura. Così cercando cercando mi sono imbattuta nella storia di Merkel. Un imprenditore simbolo della solida imprenditoria classica del cemento che si faceva sedurre dalla finanza. Soccombeva e finiva per togliersi la vita la notte di Natale, per la vergogna.

[21:25:15] vincenzo latronico: Che poi è vero che è “strano”, in qualche senso, parlare di finanza: perché nomini cifre molto al di fuori del range solito della letteratura italiana – no, Fede? Di solito si parla di 1000, 1200 euro – lo stipendio del precario.

[21:25:42] federica: Mi è sembrato che illuminando la piazza della finanza si potessero capire molte caratteristiche dell’uomo contemporaneo, molte delle qualità umane che sono sempre più in gioco… Come se la piazza della finanza rappresentasse un po’ il vecchio agorà greco.

[21:27:02] cataldo: Utilizzare la finanza significa dunque rendere giustizia, diciamo così, a una pulsione, quella dell’ambizione, che forse non si capirebbe se applicata ad altri contesti? Risulterebbe meno universale?

[21:28:14] vincenzo latronico: Ma no – ovviamente ce ne sono molti altri, credo. Però esatto – l’ambizione al denaro è, per dir così, astratta. È un’ambizione generica, che può passare dall’industria farmaceutica o dall’aprire un negozio di gelati, dalla finanza al furto in banca. È questo che la rende affascinante: trascura, intrinsecamente, il mezzo.

[21:28:38] federica: Per me la finanza non è tanto più universale di altri contesti, quanto più attuale, perché assieme all’ambizione mostra molte qualità che servono per soddisfarla e che mi sembrano tipiche del nostro tempo. Insomma, come se la finanza segnasse il punto e una differenza rispetto al secolo appena passato.

[21:30:54] cataldo: Io credo che la finanza, soprattutto quella attuale, ci fornisca una letteratura sconfinata. La facilità con cui si risale all’identità della persona che può aver mandato in fallimento aziende, famiglie e stato oppure creare fortune immense dal nulla è – quasi – sconcertante

[21:31:26] cataldo: Non ci sono più le banche ma le persone

[21:31:32] cataldo: singoli insomma

[21:33:04] federica: Ma davanti a un’apparente immediatezza nel riconoscimento delle responsabilità la finanza è anche gioco, vertigine, capacità di bluffare, di mescolare le carte, di rischiare, di maneggiare il virtuale… E poi film come Inside Job ci mostrano che anche se sono individuabili delle persone fisiche la rete che li protegge e li fa passare da un ruolo all’altro (controllori e controllati) rende praticamente un gioco a rimpiattino la ricerca di responsabilità.

[21:34:00] cataldo: Quindi in sostanza il mondo della finanza è una grande rappresentazione dell’avventura?

[21:34:49] vincenzo latronico: Credo di sì – in fondo è la caratteristica dell’immaginario del mondo di oggi esattamente come l’esplorazione e la conquista coloniale potevano esserlo per il grande romanzo d’avventura.

[21:35:10] federica: Dell’avventura contemporanea (virtuale, inconsistente, rischiosissima). Anche perché come ogni vera avventura si anima con degli eroi, spesso tragici.

[21:35:11 ] vincenzo latronico: C’è tutto: il “mandato morale” di un’epoca intera, la crucialità politico-sociale, le menti migliori di ogni generazione che scondinzolando corrono al richiamo flautato del denaro…

[21:36:06] vincenzo latronico: Sono d’accordo con Federica: in fondo sono i nostri “eroi” – quelli le cui gesta sono cantate dai giornali di oggi – quelli che si conquistano i galloni sul campo e poi incassano il prestigio (pensa a Monti!) in politica.

[21:36:08] federica: D’accordo con te. La grande forza della finanza, nel romanzesco, è che rappresenta un’epoca e il suo spirito (per dirla con parole esagerate).

[21:36:21] vincenzo latronico: Ma che esagerate! Secondo me è proprio così.

[21:36:52] federica: Era il mio understatement 🙂

[21:37:54] vincenzo latronico: Eh lo so ma è strano, no? Ci fa PAURA (a noi scrittori) dire una cosa che fino a qualche generazione fa era scontata:

[21:37:55] vincenzo latronico: voglio parlare di un’epoca

[21:38:01] vincenzo latronico: del suo spirito

[21:38:02] vincenzo latronico: ecc

[21:38:12] federica: è anche interessante vedere come sia cambiato il rapporto politica-economia, il peso diverso che hanno assunto sia nel determinare i destini dei singoli, sia il cammino delle nazioni.

[21:38:12] vincenzo latronico: no: a noi è stato insegnato che dobbiamo parlare “di ciò che conosciamo”, “di quello che ci circonda”, “della nostra generazione”. E diciamo pio pio, bau bau, miao miao, perché non proviamo neanche a immaginare un tirannosauro o una carica di elefanti.

[21:39:06] cataldo: E quindi sempre lì torniamo, ambizione

[21:40:00] federica: Una cosa che mi piace del tuo libro, e che trovo in alcuni romanzieri giovani, è che intendiamo ridare un potere grande alla letteratura. Nel senso non solo di raccontare la cameretta, ma di confrontarsi con le grandi categorie… quello che in qualche modo secondo me è il compito ultimo della letteratura (e lo dico da lettore).

[21:40:40] vincenzo latronico: Esattamente! Ed è una cosa che vedo ORA: quest’anno, in Italia, già mi viene in mente il tuo, quello di Alessandro Mari, il mio… Anche solo due o tre anni fa mancava questo, credo.

[21:40:53] vincenzo latronico: E si parlava di camerette.

[21:41:07] vincenzo latronico: (E parlo anche del mio romanzo scorso, in questo senso: pur se a Parigi, sempre una cameretta era.)

[21:41:28] cataldo: Ecco dunque un altro tema comune: raccontare il proprio tempo

[21:42:24] cataldo: per fare questo avete ripreso, secondo me entrambi, l’impianto del romanzo classico con alcune “correzioni”

[21:42:28] federica: Già. Per me lo scrittore deve essere una specie di sismografo del proprio tempo. E quanto più è sensibile, tanto meglio e con maggiore precisione saprà dare conto delle scosse anche minime che si muovono sotto la superficie della realtà.

[21:44:26] vincenzo latronico: È vero (sia per il romanzo classico che per il “tempo”). A modo suo, credo che sia l’unico romanzo che mi abbia davvero appassionato. Leggi Balzac e ti dici: ma siamo sicuri che la grande svolta modernista, intima, psicologica, astrusa nella forma e miniaturizzata nell’ampiezza dei contenuti, sia stata una cosa sana? Aveva davvero ragione la Woolf? O in fondo era meglio Gombrowicz, che però era in Sudamerica e quasi nessuno se lo filava?

[21:47:47] federica: In questo io dissento un pochino. D’accordo su grande romanzo, ma non avrebbe senso tornare al solo impianto ottocentesco. Ci sono state molte cose (una a caso: la scoperta dell’inconscio) e l’individuo è cambiato. Non si possono più raccontare le cose come prima. Io darei ragione a Cataldo, si riprende la tradizione del romanzo classico ma mostrando che qualcosa è cambiato. (anche se poi penso alla Austen e a quanta ironia postmoderna e quanta fine introspezione c’era già nei suoi dialoghi)

[21:50:00] vincenzo latronico: Ma certo – hai ragione. E però, appunto: si riparte da lì, non tanto ignorando quel che è venuto dopo ma considerandolo, almeno da parte mia, un tentativo in fondo ormai infertile; si riparte da lì (dall’Ottocento) e lo si cambia, se ne fa altro, buttando certe cose, e cambiandone altre, e barattandone altre ancora e infine portando quel che resta al banco dei pegni, e col denaro così ottenuto giocando in borsa, e come va va.

[21:50:28] cataldo: L’anno scorso mi sono ritrovato a leggere Il Conte di Montecristo. Be’ penso sia un romanzo totale che mette in scena davvero tutte le passioni umane. E quando ho letto i vostri mi sono ritrovato a provare una disposizione molto simile. Solo che la dimensione del tempo in quei romanzi – quelli ottocenteschi  –  è completamente diversa dal vostro. Io trovo che questo sia un primo, netto, scarto.

[21:51:16] vincenzo latronico: Be’ – Il Conte di Montecristo – che dire? Io l’ho letto, per la prima volta, l’estate scorsa. E poi ho pensato di andare a friggere hamburger, che mi viene meglio.

[21:52:11] federica: Hai ragione, anche l’uso del tempo nei nostri romanzi credo che segni il passo di un diverso modo di narrare che, ci piaccia o meno, risente di tutta la decostruzione fatta…

[21:52:54] vincenzo latronico: ecco, appunto: a proposito di 800.

[21:53:40] federica: forse aveva ragione quello che diceva (prima del motto di steve jobs ma con lo stesso spirito) siate inattuali! 🙂

[21:53:50] vincenzo latronico: ah!

[21:53:12] cataldo: Una cosa di cui sono curioso è appunto sapere come avete proceduto con il montaggio

[21:55:18] federica: Per me il montaggio è una cosa che è andata di pari passo alla voce. Io non riesco a scrivere nulla finché non capisco CHI racconta quella storia e PERCHÉ. Una volta trovata la voce narrante è stata lei a mescolare le carte del tempo e insieme a permettermi di tenere il filo del montaggio.

[21:56:53] vincenzo latronico: Mah – in realtà qui sto dando, di nuovo, ragione a Federica – nel senso: io in origine avevo in mente un impianto molto più lineare, ottocentesco: 1-2-3. Poi mi sono reso conto che, per varie ragioni, non quadrava – e ho girato l’ordine delle parti in 2-1-3, e la 1, come saprai, è in realtà un (1) o un {1}* o una operazione  complessa che come risultato dà 1, forse una potenza a esponente nullo.

[21:57:35] vincenzo latronico: E questo mi è stato possibile perché il narratore non c’è – o meglio: perché ce ne sono due incompatibili, uno ottocentesco, onnisciente, e uno novecentesco e parziale e inaffidabile, che mi ha permesso di rimescolare le carte.

[21:57:59] vincenzo latronico: Perché è vero quello che dicevi: la voce e il montaggio sono uno. E infatti per “rimontare” ho aggiunto una voce…

[21:59:44] cataldo: E veniamo a un altro elemento di contatto: il narratore testimone. Uno che sa i fatti e in parte ne è partecipe. Perché questa scelta? Altra differenza con gli illustri classici?

[22:01:29] vincenzo latronico: Per me è stato necessario avere un narratore-testimone per evitare che fosse un narratore-giudice. Questo sì è un grande stacco dal romanzo balzachiano, in cui l’onnisciente è per ciò stesso RETTO, e scrive la storia per illustrare le modalità di questa rettitudine. Un atteggiamento del genere è repellente e sbagliato e ipocrita, oggi, o almeno mi sembra.

[22:02:12] federica: Io ho scelto un narratore che fosse in parte testimone e in parte archivista, nel senso che deve andare a ricostruire quella parte della vita di Tommaso che non conosce, e allora si documenta, interroga, legge. Ma tutto questo per poi capire che alla fine, nelle storie (e forse non solo) non è importante conoscere la verità, “le cose come sono andate davvero”, ma è importante sapere la verità di cui ti importa. Alla mia narratrice non interessa ricostruire un ritratto di Tommaso com’è davvero, ma di Tommaso come lei lo immagina… e in questo gli rimane più fedele.

[22:04:33] vincenzo latronico: È vero: anche questa idea di verità ambigua, o contestuale, vale in un certo senso anche nel mio romanzo. Che si chiude, non a caso, con una domanda.

[22:04:43] vincenzo latronico: E questa è tutta anti-ottocentesca. (L’idea di verità di Federica: non la domanda)

One thought on “Storie a confronto – Una chiacchierata con Federica Manzon e Vincenzo Latronico

  • Gennaio 10, 2012 alle 11:46 am
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    Bella intervista, interessante soprattutto perché offre uno spaccato abbastanza illuminante sulla narrativa italiana spesso sminuita dalla ingombrante personalità di quella straniera. Mi lascia però molto perplessa (direi meglio che l’ho trovato irritante) l’atteggiamento un po’ superficiale nei confronti dei testi brevi e, peggio, nei confronti di un capolavoro della letteratura per l’infanzia quale è certamente Winnie the Pooh di Milne e Shepard.

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