L’America trova rifugio sotto il peso delle sue stesse angosce

Take Shelter di Jeff Nichols

Pare sia già capitato che, per il tramite di queste pagine, si parlasse di pellicole già uscite nelle sale italiane, mal distribuite, e assolutamente da recuperare. Si è detto in tutte le salse della miopia della distribuzione nostrana, del suo batter cassa a tutti i costi, in un cinico gioco delle parti e insensibile, come fosse una misura (e una promanazione) del cieco vento di tramontana che spira sulle splendide rovine del nostro cinema. La distribuzione di questo film nelle sale italiane si direbbe una eccezione alle linee di tendenza che mirano a privilegiare i blockbuster, specie nella programmazione estiva.

Take Shelter, seconda prova del giovane regista americano (classe 1978), Jeff Nichols, si inserisce di diritto nella tradizione del Grande Cinema Americano, capace di raccontare, con prodigiosa concisione e nessuna partecipazione emotiva, i drammi insoluti di una nazione. A tratti pare di trovarsi in un romanzo di Steinbeck: lo stile di vita americano, i suoi rigori, i suoi punti di forza e i suoi limiti, sono il terreno in cui affondano paura e malattia, quali caratteri insondabili, inguaribili.

Il protagonista, Curtis LaForche è un operaio, che vive in una piccola comunità dell’Ohio assieme alla moglie e alla figlia di sei anni, affetta da sordità. La pace familiare è violata da una serie di strani sogni premonitori che sconvolgono l’uomo a tal punto da spingerlo a costruire con le sue mani un rifugio contro una immaginaria prossima catastrofe. Il dubbio sulla sanità mentale di Curtis attraversa tutta la pellicola, e si insinua nello spettatore.

Take Shelter di Jeff Nichols

Nella costruzione della suspance, Nichols si ispira chiaramente al nobile modello hitchockiano, di una tensione palpabile mossa dall’espediente narrativo del non visto e del non detto, ma ne rielabora le strutture, le rinnova. Potremmo dire che americanizza i suoi modelli d’ispirazione, mira a realizzare la perfetta simbiosi di racconto, fotografia e musica (stupenda e efficacissima la colonna sonora di David Wingo). Ha la mano ferma del regista d’esperienza, muove le fila (è anche autore della sceneggiatura) profondamente consapevole delle possibilità del mezzo, inchiodando lo spettatore alle ragioni della sua storia. Le immagini icastiche (lo stormo di uccelli neri, la pioggia giallo ocra, il cielo nero di pece), i rumori della tempesta imminente, le paranoie di Curtis, caduto nelle spire della malattia mentale e le smanie per vincerla, tengono il passo del racconto di momenti di quotidiana difficoltà di una media famiglia americana (le questioni per la polizza sanitaria, i debiti contratti con una banca).

Immensa la prova dell’attore protagonista, Michael Shannon, anche qui come altrove alle prese con un personaggio disturbato, ma capace di infondergli una profonda fragilità che costantemente spiazza, mozza il fiato, e fa riflettere sulle ragioni e sulle cause della malattia mentale nel solco lieve che la separa dal sano, dal fisiologico. Le sue paranoie risuonano dei sussulti dell’America tutta, presa essa stessa dall’ansia della sicurezza e del controllo. Curtis si macchia di colpe che non avrebbe mai pensato di conoscere, e ne è consapevole. E dire che è solo mosso dal desiderio di sapere sua moglie e sua figlia al sicuro. L’attrice Jessica Chastain, che veste i panni di Samantha, moglie di Curtis, già stupenda in The Tree of Life, tiene il gioco: è una donna premurosa e paziente che mai abbandona la mano del marito. Entrambi ci conducono al finale con imprevista e imprevedibile commozione.

Take Shelter di Jeff Nichols (poster)Take Shelter – USA, 2011
di Jeff Nichols
con Michael Shannon, Jessica Chastain, Katy Mixon, Shea Whigham, Kathy Baker
120 min.