The Sophomore’s Club

“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista” cantava qualche anno fa Caparezza in una canzone che sarebbe poi diventata un classico (sto esagerando, lo so) nel repertorio del rapper pugliese. Grande verità o bieca furbizia promozionale? Un bel chi se ne importa credo sia la risposta più adatta. È vero però che, di questi tempi, soprattutto per alcune band indie rock e dal suono smaccatamente retro (che non significa per forza ’60 ma anche i ben più saccheggiati ’80) il secondo album è un po’ uno spartiacque, è quello che ci fa capire se sotto c’è ciccia o se il disco a tutto fuoco che avevamo ascoltato fosse stato nient’altro che un calesse (ammetto che questa è difficile, perdonatemi). Pensiamo a band come Bloc Party o Wombats che dopo i clamori iniziali sono finiti per fare robe molto discutibili. Quelli di cui mi accingo a parlare invece sono tre secondi album di tutto rispetto. Capiamoci, non si tratta di capolavori ma di LP di buona fattura che confermano il talento dei gruppi. Sto parlando di Romantic Comedy dei Big Troubles, Portamento dei The Drums e Lenses Alien dei Cymabals Eat Guitars. Andiamo a vederli uno per uno.

Romantic Comedy (Slumberland Record, 2011) dei Big Troubles succede il precedente Worry di appena un anno. Eppure, come spesso accade, sembrano passate ere geologiche se andiamo a sentire la differenza di suono dei due album. Il primo espressamente lo-fi, il secondo invece diretto verso influenze più pop. Perché molto probabilmente sono cambiate l’etichetta (a questo giro la ben più blasonata Slumberland Records) e il produttore (Mitch Easter, quello di Brighten the Corner per intenderci). Questo ha fatto sì che il sound della band ne uscisse completamente trasformato: via i fuzz e le distorsioni acide e dentro melodie appiccicose e dolci ritornelli. E il risultato non è affatto negativo. Sospeso tra Elliott Smith (quello più allegro) e i compagni d’etichetta Pains of Being Pure At Heart il disco scivola via piacevolmente dall’inizio alla fine trovando gli highlight in Sad Girls (primo singolo dell’LP), Minor Key, la traccia d’apertura She Smiles for Pictures e Misery, forse il pezzo più legato alla vecchia produzione. Il neo: la mancanza di una voce propria e di una decisa coerenza all’interno del disco. Hanno guadagnato in orecchiabilità i Big Troubles ma hanno perso sicuramente in autorialità.

http://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Fplaylists%2F1134242 Big Troubles – Romantic Comedy sampler by Slumberland Records

 

 


Quelli che invece si mantengono saldi e sicuri sui binari intrapresi con il primo disco sono i The Drums. Etichettati al momento del debutto come certa next big thing di breve durata si ripresentano al grande pubblico con un album (Portamento, French Kiss/Moshi Moshi 2011) granitico e compatto, infarcito di belle canzoni e potenziali singoli che rendono questo lavoro forse addirittura migliore del precedente. Già dalla traccia d’apertura, Book of Revelation, veniamo scaraventati nell’universo sonoro del gruppo di Brooklyn (le prime parole cantate da Jonathan Pierce sono proprio So let it begin, let it begin, let it begin) fatto di echi californiani e post-punk inglese. I Drums sembrano in ottima forma e sciorinano belle canzoni una dopo l’altra, come i singoli Money e How it Ended, ma anche Hard to Love o I Don’t Know How To Love fanno la loro porca figura. Insomma un disco di ottima fattura questo Portamento, malinconicamente incalzante, più adatto alle foglie che cadono che allo sciabordio delle onde.

 


I Cymbals Eat Guitar si erano invece fatti apprezzare, e non poco, con il loro Why There Are Mountains. Si ripresentano oggi con il nuovo (e più pretenzioso) Lenses Alien (Barsuk/Memphis Industries 2011). Il suono della band, di derivazione più espressamente anni ’90 (leggi: Pavement e, udite udite, New Radicals – li ricordate?) è dunque pieno di schitarrate (molto più dei Cymbals – ma il loro nome è una citazione di Lou Reed che, a quanto pare, amava definire così il suond dei Velvet Underground) abbinate a un cantato melodico. Solo che Joseph D’Agostino, la mente dietro la band, non si accontenta di costruire delle semplici canzoni pop ma ama variare, intarsiando, spezzettando, unendo pezzi all’apparenza distanti tra di loro (à la Titus Andronicus, giusto per fare un nome): ed ecco dunque nascere canzoni come Rifle Eyesight – di ben otto minuti, decisamente esagerata –  o Secret Family, ma anche la stessa Wavelenghts, ballata toccante e multiforme. L’impressione è che i CEA però riescano meglio quando si concentrano su una struttura più convenzionale, come capita per la bella Definite Darkness o la dilatata Gary Condit. Lenses Alien, seppur con qualche riserva, rimane comunque una conferma del talento della band, un ulteriore passo verso una maturazione che si spera ci possa essere già con la prossima fatica.

http://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Ftracks%2F23371651 Cymbals Eat Guitars – “Definite Darkness” by Amplifier_Magazine