The loop (part II)

Abbiamo lasciato Chiang Mai subito dopo Songkran, o almeno così pensavamo. Il fatto è che la maggior parte delle persone di Chiang Mai non si cura troppo dei calendari e degli orari, per cui i festeggiamenti si sono protratti ben oltre la fine ufficiale delle celebrazioni. Questa improvvisa rivelazione l’abbiamo avuta quando siamo stati colpiti da un gigantesco gavettone lanciato da un festante gruppo di autoctoni, mentre ci stavamo recando alla stazione del treno (torna in albergo, lavati, asciugati, riprova).

Un paio di giorni dopo stavamo attraversando il Mekong ed entrando in Laos. Si tratta di un posto talmente sperduto che persino la storia s’è presa una pausa: il paese è ancora una repubblica comunista mono-partitica con tutti gli annessi e connessi (Politburo, Comitato Centrale, ecc.) e -apparentemente- ben felice di esserlo. Spostarsi non è facile come in altri posti e le infrastrutture sono effettivamente arretrate rispetto alla maggior parte dei paesi confinanti, ma se non avete fretta e siete disposti ad accettare un certo grado di appossimazione riguardo alle destinazioni e al come raggiungerle, è un bel posto dove stare. Inoltre ha la moneta con il nome più figo di tutti i tempi: il kip.

Qualche giorno qui, qualche giorno lì, alla fine siamo entrati in Vietnam dalla porta sul retro, Hue, dopo un viaggio notturno da incubo su uno di quei bus che di solito prendi perché costano poco o per quella sorta di sfida “quantobruttopotràmaiessere” che fai con te stesso (e che normalmente perdi. Alcuni viaggiatori sono come le madri subito dopo il parto: dimenticano il dolore e si concentrano sul risultato. Noi no!).

Alcuni giorni dopo ci siamo diretti a Nord fino a raggiungere Hanoi, e da lì ancora più su fino a Sapa. È un luogo abbastanza turistico in cui abbiamo passato un po’ di tempo, guidando gli usuali rugginosi (ma affidabili) ciclomotori a noleggio tra risaie sterminate:

Poi, dopo un doloroso giro ad Halong Bay – un eccellente esempio di cosa l’industria del turismo non dovrebbe fare – abbiamo preso il treno per Saigon. Il biglietto diceva “sedile duro” e, cavolo, non mentiva.


Associamo alle parole di Mario e Thomas, ora in Cina, degli acquerelli e una storia quantomai romantici (nel senso più alto e pieno di questo abusato termine) e vi consigliamo di seguire le tracce dei nostri viaggiatori ma anche quelle, poche ormai, lasciate in Cina dai panda.