Suburban Evolution

Un paesino dell’America suburbana, Ridgewood, New Jersey, da un po’ di tempo ha attirato l’attenzione su di sé del panorama indie americano. Band come Big Troubles o Vivian Girls provengono da lì, così come i Titus Andornicus fanno base qualche chilometro più in là, a Glenn Rock. Ma, probabilmente, i veri alfieri del nuovo suono del New Jersey – etichetta pesante visti gli illustri predecessori: Boss, Yo La Tengo e Feelies – sono i Real Estate che, anche se per poco tempo, a Ridgewood ci ritornano ancora più che volentieri, per passare le giornate di festa insieme a parenti e a vecchi amici perché è da lì che tutto è partito, dalle strade alberate, dalle villette a schiera, dall’ordine patinato da rivista di settore; dalla noia che un paese di poco più di ventimila abitanti può suscitare in un adolescente americano (ma anche italiano, balinese, o chi per lui).

Ed ecco allora l’esigenza di fare qualcosa, di creare qualcosa, magari mettere su una band con gli amici di sempre, se n’era spesso parlato, ricordi? E tutti quei giri in macchina senza meta, un disco dietro l’altro, una sigaretta dietro l’altra, magari qualche lattina di birra e qualcosa da fumare. Serate intere passate così, a perdere tempo, a fare due chiacchiere, le solite magari, a parlare delle stesse ragazze, dei piccoli pettegolezzi di una scuola di provincia, oppure i buoni vecchi massimi sistemi, le discussioni accalorate sulle passioni da assecondare, i sogni da inseguire. Come suonare appunto, allestire un paio di pezzi che stiano in piedi, che restituiscano tutto ciò che sei stato, dove hai vissuto e quello che hai fatto. Ed ecco, come per magia, mischiati i soliti quattro ingredienti dell’indie attitude, venire fuori i Real Estate. Almeno è così che me lo immagino io.

Ma Martin Courtney, Matt Mondanile e Alex Bleeker amici da sempre lo sono per davvero e per quelle strade in macchina ci avranno scarrozzato chissà quante volte. Ora, trasferitisi a New York, con un album d’esordio che ha bruciato le 20000 copie con l’indipendente Woodsist, e uno in procinto di uscire per la più blasonata Domino, i tre ragazzi del New Jersey sembrano riusciti a fare il salto, a passare dalla provincia alla città, per poter affrontare una nuova sfida, quella di conquistarsi fette di pubblico più ampie. E queste speranze sono affidate al nuovo lavoro, Days, in uscita proprio a giorni (il 17 ottobre per l’Europa e 18 negli USA) e che è possibile ascoltare in streaming in anteprima qui sul sito della npr.

http://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Ftracks%2F23914380 Real Estate – Green Aisles by DominoRecordCo

Un disco atteso anche perché il precedente omonimo era stato un fulmine a ciel sereno. Uscito negli ultimi giorni del 2009 aveva fatto saltare le classifiche di fine anno inserendosi di diritto nelle prime posizioni. E pezzi come Beach Comber, la strumentale Atlantic City o Fake Blues erano subito parsi come degli instant classic dell’indie rock. Ma non solo, un annetto fa la band del New Jersey aveva dato alle stampe un 7’’ con dentro due canzoni che segnavano inequivocabilmente la direzione della loro personale ricerca sonora. Si trattava di Out Of Tune, inserita anche in questo disco, e Reservoir, due pezzi di notevole fattura che facevano davvero ben sperare per il futuro. Ed è eccolo qui il futuro, un disco nuovo, una nuova etichetta ma, soprattutto, dieci nuove canzoni.

La prima cosa che colpisce nell’ascolto del nuovo album è la continuità sonora col precedente ma, allo stesso tempo, il passo, lo scarto che vi è tra i due. Innanzitutto una certa limpidezza delle sonorità, l’abbandono della via lo-fi a favore di una più tradizionale; poi l’emergere prepotente della forma canzone rispetto alle parti strumentali. Due novità che però non contrastano con lo stile della band, fatto di loop, di riff, di riverberi e melodie sfocate, quasi ambientali e rarefatte, come preda di una foschia che confonde e scontorna le immagini, di una lontananza neanche troppo distante che permette di immaginare senza completare la realtà. La dimensione onirica del ricordo, la nostalgia, questa benedetta nostalgia che pervade tanta della musica indie contemporanea (e mi chiedo, ormai sempre più spesso, da dove salti fuori questa sensazione in ragazzini che hanno poco più – o poco meno – di vent’anni?), sono le componenti poetiche fondamentali della band. Tutto è sfumato, tutto rimanda, almeno nei suoni, a qualcosa che poteva essere e non è stato, a qualcosa che era e non è più.

http://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Ftracks%2F4820547 Real Estate – “Out Of Tune” by OctopusWindmill

Sensazioni che si sprigionano già dalla prima traccia, Easy, pur essendo una delle più movimentate della lista, e che continuano e si propagano per tutto il disco, pacifiche e regolari come cerchi nell’acqua. Green Aisle, la strumentale e bellissima Kinder Blumen, Out of Tune, la struggente Municipality eThree Blocks appartengono alla categoria canzoni subacquee, i cui riverberi sembrano provenire da un mondo lontano, distante. It’s real, il singolo, è allegro e divertente e sale nel suo ritornello corale aprendo a spazi poco esplorati dai Real Estate, mentre Younger Than Yesterday sembra il pezzo più legato al disco precedente. Discorso a parte meritano Wonder Years, cantata e scritta da Alex Bleeker e la track finale All the same: la prima, con i Feelies come numi tutelari a guardargli le spalle, spazza vie le nubi e si innesta nel disco come una giornata di sole nel cuore di gennaio; la seconda invece, dalla durata di oltre sette minuti, è una summa di Days, il riassunto suonato del disco: c’è tutta la poetica dei Real Estate dentro, le chitarre che si intrecciano, la voce che le segue, l’energia dell’essere ancora giovani e di poter dire spassionatamente la propria ma anche la malinconia, le tristezze da cameretta, la voglia di buttarsele dietro continuando, però, ossessivamente a ripensarci.

C’è la giovinezza decadente in questo disco dei Real Estate, la presa di coscienza che crescere è giusto dietro l’angolo, o magari dietro quello appena svoltato. Ci sono un sacco di cose insomma che parlano di me, della mia vita e delle mie sensazioni (ma anche della tua, della sua e di quelli là in fondo che cercano di nascondersi). Ed è per questo, più che per altro, che credo questo disco girerà sul mio piatto ancora molto a lungo, per l’intima connessione che il gruppo di Ridgewood è riuscita a creare con me, che in un piccolo paese ci sono nato e cresciuto anche se a migliaia di chilometri di distanza, in un altro continente e in un’altra nazione.