Una lezione di giornalismo e democrazia

Se sia corretto guardare alla Storia o, peggio ancora, ai testi che la raccontano dal punto di vista della contemporaneità e dei problemi che la affliggono, è un tema sempre aperto. Il rischio nel farlo è, ovviamente, quello di cadere nelle letture forzate, ideologiche, “di comodo” finendo per distorcere irrimediabilmente il messaggio del testo se non addirittura i fatti. Ma esiste anche un rischio opposto, anch’esso di notevole entità: quello di non creare collegamenti, di non imparare dagli errori, di non seguire i buoni esempi, di non imparare nulla. Il celebre aforisma del filosofo spagnolo Santayana che recita “Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo” implica che lo studio della Storia deve essere rapportato al presente se vogliamo credere a una potenziale crescita culturale e civile della nostra società.

Perché questo possa avvenire è necessario che sia lo storico, che riporta e sintetizza i documenti, sia l’autore che li racconta, agiscano con onestà e metodo scientifico, riuscendo nel difficile compito di mantenere un elevato grado di distacco e di imparzialità. Le stesse regole, rigore e obiettività, sono i capisaldi dell’etica professionale del lavoro giornalistico dei reporter. Il lavoro del giornalista infatti comporta una componente di investigazione, di indagine, di inchiesta dalla quale scaturisce scturisce la seconda componente, il racconto, il report, della stessa. Rigore e obiettività sono componenti fondamentali in entrambe le fasi e lo sono state anche nella realizzazione del celebre film di Pakula Tutti gli uomini del presidente che è riuscito a ricostruire fedelmente l’andamento dell’inchiesta del Washington Post sullo scandalo Watergate e a riportarla senza retorica.

Un film che parte da un caso particolare per parlare su un piano universale. Una perfetta meta-lezione di giornalismo, se vogliamo, e un vero e proprio manifesto di quello che il giornalismo può essere (ed è stato, quanto meno in quelle particolari cirocstanze) e del suo ruolo fondamentale, imprescindibile, all’interno della nostra società. Tutti gli uomini del presidente non racconta tanto il Watergate (per quello esiste un’ampia documentazione) quanto puiuttosto l’inchiesta compiuta da due giovani reporter del Washington Post, Bob Woodward (Robert Redford nel suo miglior personaggio, paradigma della sua carriera) e Carl Bernstein (un iper-realistico Dustin Hoffman), senza la cui iniziativa e caparbietà non ci sarebbe stato alcuno scandalo. I due reporter partirono dal basso, all’oscuro di tutto, e contro ogni parere continuarono a seguire la loro storia e le loro piste che li portarono sempre più in alto, fin dentro la Casa Bianca, armati solo di stilo e notes in un mondo in cui non era necessario avere la prova in audio di un’avvenuta corruzione: bastava che più fonti la confermassero.

Giornalismo e potere non sono necessariamente in contrapposizione ma è compito del reporter quello di essere “scomodo” (ed è un’anomalia maledettamente italiana la comoda propaganda ufficiosa fatta da giornalisti che lavorano per chi il potere lo detiene), sospettoso e al servizio del cittadino in modo che questo possa sapere, capire e decidere nel momento in cui è chiamato a partecipare alla vita pubblica.Effettuare un parallelo tra Tutti gli uomini del presidente e la situazione della stampa italiana, a rischio bavaglio, può sembrare una forzatura. Ci troviamo però in un momento in cui il fondamentale principio democratico della divisione di poteri e della loro sorveglianza da parte dei mezzi di informazione è in pericolo. I detentori del potere esecutivo e legislativo stanno sferrando un attacco senza precedenti al potere giudiziario e ai mezzi di informazione e credo che esista un’urgenza di ripartire dalla basi: cosa sia la democrazia e quali siano i suoi presupposti di base. Ed è fondamentale il ruolo dei mass-media ma anche dell’arte, cinema compreso, sia dal punto di vista prettamente informativo che da quello didattico. Le regole da seguire sono sempre quelle: rigore e obiettività.

Finché non capiremo a fondo il ruolo del giornalismo nella società civile non potremo neanche capire quanto limitarne l’azione significhi far crollare uno dei presupposti di base (se non “il presupposto di base”) della democrazia. Il film di Pakula può aiutarci a farlo o quantomeno può rappresentare un punto di partenza.

Tutti gli uomini del presidente (All the President’s Men) – USA, 1976
di Alan J. Pakula
Con Dustin Hoffman, Robert Redford
Warner Bros – 138 min.

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Quote:

Nothing’s riding on this except the, uh, first amendment to the Constitution, freedom of the press, and maybe the future of the country. Not that any of that matters, but if you guys fuck up again, I’m gonna lose my temper. I promise you, you don’t want me to lose my temper. (Ben Bradlee)