Tutto ha limiti: mantenersi “al limite” fa dell’uomo un essere umano

“L’unica, autentica domanda del pensiero riguarda il limite”. Più che mai giunti al limite di ogni limite senza ristoro tantomeno decoro sia d’interni viscerali che d’esterni di rappresentanza, sia benedetta la filosofia che viene in nostro aiuto con modalità indissolubili: non si guasta, non collude con gli imbonitori della politica o gli incantamenti mediatici, non guarda in faccia nessuno, non arretra al gelo pungente dell’inverno, va ai fondamenti della nostra distorsione epocale, tanto “acculturata” e “civile” all’apparenza, li stana e li scotenna nel pensiero e nel linguaggio. Opera a cuore aperto e arriva al cuore del meccanismo, all’ingranaggio su cui il gigante, l’Occidente, poggia i piedi d’argilla. Sia francescanamente lodata sorella filosofia che mentre sembra si stia esercitando in acrobazie concettuali e linguistiche da esibizionismo fuori della realtà portando in dote un ingombrante bagaglio ermeneutico interpretativo, invece parla di noi qui e ora. Succede di continuo di elargire ringraziamenti silenziosi al fuoco mai spento della sophia, leggendo il libello, breve ma concentratissimo e intenso, dal titolo Voci di confine. Il limite e la scrittura del filosofo Lucio Saviani, esponente dell’ermeneutica, professore di Estetica all’università La Sapienza di Roma e molte altre cose.  Tra queste anche aver tramutato parte del saggio in un happening artistico con la complicità del paroliere Pasquale Panella. È singolare il fatto che il libro, già edito nel 1993, torni ora, a quasi vent’anni di distanza, nella collana della casa editrice Moretti e Vitali Narrazioni delle conoscenza, andar per storie, diretta da Flavio Ermini (che ha scritto anche il saggio terminale dal titolo Le province dell’esperienza). All’epoca aveva anticipato quel che ora conferma: superati tanti, troppi limiti, si realizza il “trionfo” di una straripante civiltà al limite fondata, oltretutto, su categorie limitate.

Solo un quaderno di esercizi, lo definisce nell’avvertenza preliminare l’autore; esercizi che svelano intanto la necessità della filosofia come “via esperienziale”. Il limite come soglia, demarcazione, confine oltre il quale non ci si può spingere, spazio tra, non luogo, riguarda in questi esercizi il pensiero, la scrittura, il dire, il dicibile e soprattutto l’indicibile. Ecco perché il limite (dal latino limes che significò anche strada militare con postazioni fortificate: strana origine militare per un atto del pensiero) è indagato col supporto di due “decostruzionisti” Blanchot e Derrida, attraverso l’esplorazione di voci  con la scusa di compiere una navigazione etimologica (altro, definizione, descrizione, labirinto, pausa, sguardo, soglia, sospensione, trasparenza). Il viaggio si avvale di magnifiche “guide” letterarie: Borges, Cioran, Dostoevskij, Kafka, Hofmannsthal, Nabokov, Valéry, e un filosofo, Heidegger.  Il limite è anche di chi scrive e della scrittura che tenta di aggirare i limiti nel labirinto creato da Dedalo, nell’ordine di realtà che nonostante tutto continua ad essere un campo di scontro di forze mitologiche. E allora paradossale cura proposta dall’autore è ‘mantenersi al limite’, scrivere al limite, vivere al limite, esercitarsi  a questo gioco, “aprendo il testo all’impensato che lo attraversa e che nei suoi vuoti, nelle sue cesure, nelle sue cancellazioni, non ha mai finito di scriversi”, praticare una scrittura di confine senza pretese di inventare un linguaggio nuovo. Il limite non si può definire, al limite descrivere e si arriva al punto focale: l’ambizione dell’Occidente tramutata in vizio del pensiero del “vederci chiaro, l’orao greco dell’idea e viceversa”. Affiora, di contro, l’indescrivibile. “Estrema lontananza dall’illusoria passione dello sguardo occidentale integro, potente e progressivo, cartesiano insomma, del soggetto che aspira a guardare, a vederci chiaro, senza mai pensarsi visto. (…) Ai limiti dell’esperienza, rimangono, lucenti, le piccole cose insignificanti, mirabili e nascoste”. Vale allora il riferimento a uno scrittore dell’apocalisse come Remizov capace di concepire un elogio della miopia. Strana parabola dal conosci te stesso del tempio di Delfi al mito della trasparenza e all’utopia dell’autotrasparenza di una ragione capace di rintracciare il fondo; trasparenza rinvenuta negli oggetti del nostro uso comune, nel blindato papale, nei luoghi istituzionali (palazzi di vetro), nell’impostazione tutta della “civiltà del plexiglas” con effetti sulla nostra percezione del tempo e dello spazio: avvicinare il distante, allontanare il vicino. L’esistenza è però apparire e ritrarsi di volti e maschere. Dal ritratto di Baudelaire al gioco di specchi del museo di Parigi, Saviani mostra un’identità pulviscolare, a dispetto dell’io, invenzione moderna; la possibilità di scoprire oltre la maschera non un volto ma un nulla.

Il mondo degli uomini è Medusa: caos, non essere. Artemide, dea dei margini e dei confini’ è per i greci modo di confrontarsi con l’altro. Ma, si chiede il filosofo “come interpretare l’altro se l’io è straniero a sé stesso’? Ci sono gli gnostici (Dostoevskij, Kafka, Cioran, Leopardi) che manifestano l’estraneità come stupore di essere al mondo, “in questo mondo”. Invece se l’estraneo è nel volto dell’Io “i confini tra estraneità e identità oscillano in modo pauroso” D’altra parte per Saviani, “la psicoanalisi mostra come l’io sia straniero a se stesso”. Il confine tra identità ed estraneità è labile. L’Occidente non ha più di fronte gli altri, ma ciò che ha fatto di loro. Lo straniero è allora lo “estran-io” del poeta Edmond Jabès. L’orizzonte stesso della vita umana è il limite: si diventa “reali” solo perdendo e vedendo sfumare continuamente le proprie possibilità. In questo anomalo, curioso vocabolario ‘sragionante’ che porta avanti un discorso sulla contemporaneità  il limite è oltrepassato da chi lo forza e accede alla sua figura chiave, il  labirinto, sia quello del mondo sotterraneo dell’Eneide che dei passaggi iniziatici. Oppure oltrepassa il limite chi si spinge nel sacro “come mistero dell’apparizione e del limite”. Valgono allora le parole di Maria Maddalena de’ Pazzi: “E quando l’anima è giunta a questo grado non può più né avere né volere né sapere né potere né altra cosa, non gusto né disgusto, né odio né amore, né contento né dolore”.

Titolo: Voci di confine. Il limite e la scrittura
Autore: Lucio Saviani
Editore: Moretti & Vitali
Dati: 2011, 109 pp., 12,00 €

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