Non ci resta che il silenzio

Con Una separazione Asghar Farhadi mette in scena con lirica asciuttezza una delicata riflessione sulle umane passioni.

Nader e sua moglie Simin sono sul punto di divorziare. Pur avendo ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro figlia, Nader non è intenzionato a partire. Il padre è affetto dal morbo di Alzheimer, e Nader preferisce restare nel suo paese per aiutarlo. Lascia alla moglie la possibilità di scegliere: restare con lui o partire. Simin lascia la casa per trasferirsi dai suoi genitori mentre la figlia preferisce continuare a vivere col padre. Bisogna assumere una donna che si occupi del padre mentre Nader è al lavoro. Così assume una donna che ha una figlia di cinque anni ed è incinta. Il marito della donna non sa che sua moglie lavori presso Nader come badante del padre. Un giorno si assenta, lasciando l’anziano legato al letto. Questo provoca un litigio con Nader, il quale la fa precipitare lungo le scale, provocando la morte del bambino.

Il regista e autore della sceneggiatura chiarisce come sia possibile fare grande cinema nonostante le restrizioni imposte dal regime iraniano. E lo fa dimostrando di essere narratore pregevole e attentissimo. La regia è sottile (che bella la sequenza d’apertura!), la sceneggiatura è perfetta, serrata, carica di pathos, blindatissima. Gli attori, perfettamente al servizio della regia, imprimono ai personaggi la forza e il carattere necessari a dimostrare il teorema dell’autore; si muovono sulla scena come automi in preda alle piccole grandi paure del quotidiano. Le interpretazioni scarne e efficacissime fanno sì che per tutti i minuti della rappresentazione si partecipi con angoscia del destino di Nader e Simin. Siamo messi a parte di tuuti i mostri, fittizi o autentici, che la vita possa partorie. Atterriti, constatiamo che il grado di verosimiglianza è estremo.

La pellicola riconduce alle migliori pagine del miglior Kundera. E’ un pamphlet drammatico sulla “Insostenibile Leggerezza dell’Essere”. L’incomunicabilità che segna i momenti della “separazione” aggiunge distanza alla distanza. I gesti perdono di senso, diventano come automatici; si cade vittime del rituale dell’allontanamento e della negazione. Si precipita molto lentamente, consci o inconsapevoli, in un baratro di silenzio cui non è data soluzione: non resta che sedersi di tre quarti sulle panchine d’un corridoio affollato con l’unico intento di evitare che gli sguardi s’incontrino. Ho abbandonato commosso la sala.

Una separazione – Iran, 2011
di Asghar Farhadi
con Sareh Bayat, Sarina Farhadi
Sacher – 123 min

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