Vieni! C’è una strada nel deserto per leggere la Bibbia in chiave junghiana oltre Jung

“È necessario leggere la Bibbia altrimenti non capiremo mai la psicologia. La nostra psicologia, tutte le nostre vite, il nostro linguaggio e il nostro corredo d’immagini sono costruiti sulla Bibbia”. Nel 1931, in occasione di un seminario, Jung esorta i partecipanti a rileggere il testo sacro della cristianità. È convinto che l’inconscio collettivo abbia lì concentrato archetipi che continuano ad agire, circolare, animare visioni.  Nella Bibbia rintraccia simboli storici di quel “processo d’individuazione” che fa dell’esistenza un cammino spirituale. Così vivo e presente è nell’indagine dello psichiatra zurighese il riferimento al libro dei libri che alcuni storici della psicologia hanno provocatoriamente interpretato tutta la sua indagine e opera come una rilettura dello stesso. Certo è innegabile la continuità tra psicologia del profondo (ovvero la psicologia che crede nell’inconscio) e  tradizione ermeneutica cristiana; tra indagine religiosa dell’Occidente e ricerca psicoanalitica. A partire da tale passaggio di testimone fondamentale ma poco esplicitato, tra controversie, affinità, avversioni e insanabili fratture,  Antonio Dorella, socio fondatore del Centro Studi di Psicologia e Letteratura,  laureato in psicologia clinica e farmacologia, ha elaborato il saggio “La strada nel deserto – Esegesi simbolica e Bibbia”. L’autore si muove su un terreno minato: dal versante cattolico sono mosse accuse di relativismo e individualismo; dall’altro, di astrattismo teologico e di ignorare la fondamentale dimensione psichica di ogni esperienza e racconto.

Il libro (pubblicato dalla casa editrice Alpes nella collana di Psicologia dinamica, diretta da Giorgio Antonelli) è un originale contributo (nell’anno in cui ricorre il cinquantenario della morte di Jung) in un sentiero poco battuto, se non volutamente accantonato dall’attuale dibattito psicoanalitico, perché scomodo e spinoso. Un ambito di nicchia invece da illuminare a giorno se è vero che la ricerca tra psicologia e religione può a un tempo svelare e rinnovare la nostra sensibilità psichica e spirituale, rivedere e integrare metodi clinici, aggiornare lo junghismo senza perdere la lezione del maestro, scremata però dall’eccesso di teologia che ha generato equivoci e rotture. Dorella, che di questi argomenti si occupa da molti anni e ne ha scritto sul “Giornale storico del Centro Studi di psicologia e letteratura”, ha presentato il libro presso la sede del Centro italiano di psicologia analitica di Roma in forma di conferenza dal titolo “Revisione junghiana dei testi biblici”. È poco noto che a Jung  si deve un modo di leggere la Bibbia “sub specie psychologica“, alternativo al metodo storico-critico, metodo ufficiale dell’esegesi cattolica.  Jung era spinto da ragioni persino intime. Che fosse legato a filo doppio alla teologia lo riprova la sua storia familiare: otto zii e il nonno materno, tutti pastori protestanti. Così anche il padre che però fu travolto da una profonda crisi di fede, morì prematuramente e subì le critiche filiali. Comunque sia, la psicologia del profondo prende le mosse dalla tradizione religiosa occidentale e intrattiene rapporti con personaggi in abito talare. Freud, “il malvagio eretico” ebbe una sincera amicizia e un fitto scambio epistolare con il reverendo Oskar Pfister; Jung con il domenicano Victor Francis White.

Certo, per “l’ebreo senza Dio”, la psicoanalisi avrebbe sconfitto le religioni quali manifestazioni di nevrosi sociali; al contrario per Jung, “il cristianesimo si è indebolito perché è distante dallo spirito del nostro tempo. Il mito deve essere nuovamente raccontato con un nuovo linguaggio spirituale” e la psicologia è il nuovo linguaggio della spiritualità occidentale. Jung si considera investito da “un compito gigantesco”, quello di “creare un nuovo approccio a una vecchia verità”. E da lì comincia la sua continua incursione nel testo biblico, persino minuziosamente conteggiata dai suoi biografi,  fittissima specie nel vangelo di Giovanni (non a caso, evangelista a maggiore influenza gnostica) per superare le ristrettezze del metodo storico-critico e riattivare altre risonanze interiori nella certezza che il simbolo e l’inconscio collettivo siano canali d’accesso non solo a ogni attività clinica ma anche al sentimento religioso. Dorella tra l’altro rintraccia nella problematica religiosa i motivi di insanabile frattura per cui Freud fu tacciato da Jung d’essere solo un “pansessualista”; Jung da parte del maestro viennese d’essere un “panpsichista”. Secondo un inflazionato aforisma dello psicoanalista Aldo Carotenuto, il rapporto tra psicologia, religione e sacre scritture è insieme ferita e feritoia per i “traditori” dei saperi convenzionali. Il dio delle religioni è l’inconscio della psicologia del profondo; Cristo è il Sé; alla salvezza/redenzione subentra l’individuazione.

Il metodo storico-critico di importazione protestante (adottato dal cattolicesimo romano e ufficializzato attraverso due fondamentali documenti, il “Dei Verbum” del 1965 e “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” del 1993 a opera dell’allora cardinale Ratzinger), ha superato la visione monolitica del dettato biblico come libro di un unico autore interamente ispirato a Dio e cerca di dissezionare il testo per analizzare i contesti storici e gli intendimenti con cui sono state prodotte le singole parti. L’ermeneutica simbolica di Jung, invece, considera le vicende bibliche “come una produzione degli archetipi dell’inconscio collettivo”, fino a scandalizzare alcuni interlocutori cattolici quali il domenicano White, padre Agostino Gemelli che “ha tagliato la testa a un possibile inserimento di Jung in ambito cattolico” perché il maestro svizzero ha ridotto Dio a realtà psichica, o lo psicologo Fromm. L’ipotesi dell’autore nella complessità delle questioni in gioco e nella molteplicità delle interpretazioni della Bibbia (retorica, narrativa, semiotica) e degli approcci (tradizionale, liberazionista e femminista; sociologico, antropologico, psicologico analitico), è che psicoanalisi e psicologia del profondo proseguano la visione del mondo dell’antico e nuovo testamento. Secondo l’esegesi simbolica aggiornata (di cui principale fautore è Eugen Drewermann, teologo, sacerdote sospeso a divinis, psicoanalista, noto anche per le sue interpretazioni di miti e fiabe) non si ipotizza più una redazione della Bibbia “a partire dalle proiezioni dell’inconscio collettivo” ma è “come se fosse il perimetro elettivo della manifestazione di Dio”.

Nella prima parte del libro, La strada, Dorella definisce i metodi esegetici, l’ origine e i limiti; scorge i rischi dello psicologismo sia nel riduttivismo di stampo freudiano che nell’archetipismo junghiano che straborda in altri campi  quali la teologia. Entrambe le procedure sono irrispettose della ‘cosa del testo’ o ‘mondo del testo’ secondo l’accezione del filosofo Paul Ricoeur. Rispetto a queste ermeneutiche psicoanalitiche, l’esegesi simbolica, a partire dalla necessità dell’uso della psicologia del profondo, considera il testo come “oggetto transizionale”, vero in sé, punto di incontro tra il trascendente e la sensibilità umana.  Nella seconda parte del libro, Il deserto, l’autore utilizza la prassi simbolica per interpretare personaggi dell’Antico Testamento. Abramo, che ha spose sorelle, è ancora calato in una dimensione “manipolativa” del femminile; Giuseppe fonda la propria saggezza sui sogni. È l’uomo dei sogni che dice no e salva l’Egitto; il Mosè tanto caro a Freud attraverso le tavole manifesta per la prima volta la dimensione Super egoica; Sansone è l’Edipo della Bibbia, subisce la castrazione in forma di taglio dei capelli, come Edipo prigioniero ancora di un infantilismo non sa dire no a figure femminili seduttive e letali, ingenuamente crede di saper risolvere indovinelli.

Davide “è il poeta biblico del tradimento. Il re dolorosamente consapevole che canta le sue colpe, (…) il prototipo dell’individuo che utilizza la sua vita, la sua arte e i suoi errori per non tradire se stesso”, dunque “portatore di una genitalità matura, per dirla con Freud”. Osea deve sposare per volere di Jahwè una prostituta dedita al culto pagano di Baal: nozze scandalose che “sembrano rappresentare la variante biblica di un mitologema universale in cui l’unione del più alto con il più basso, dell’eccelso con l’indegno costituiscono la meta di un rischioso ma inevitabile percorso evolutivo della psiche”. Infine Giobbe, costretto a terribili prove da Jahwè, sopporta le avversità, la perdita dei suoi beni, dei figli, le sofferenze, la malattia. Al di là della lettura tradizionale dell’esegesi cattolica del dio come sommo bene e di quella junghiana che riscontra invece la dualità nel divino,  nella prassi simbolica Giobbe è l’eroe biblico che “integra la Sophia come dimensione di saggezza endopsichica”. Il femminile integrato come via di suprema elevazione. Un uomo che fa tale esperienza della complessità della psiche, del mondo, della realtà, che riesce ad assorbire l’Ombra, persino quella del suo dio, è un uomo che ha sviluppato una coscienza, dunque è pienamente individuato. Beato lui.

 

Titolo: La strada nel deserto. Esegesi simbolica e Bibbia
Autore: Antonio Dorella
Editore: Alpes Italia
Dati: 2011, 120pp.,  14,00 €

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