Alda Merini. Parole da toccare

A volte la parola si può toccare, è talmente vera che sembra di poter affondarvi le mani dentro, sentirne le grinze, le curve, le torsioni. Esistono poeti che riescono a dar corpo alle parole, e Alda Merini era tra questi. Il confine tra il dire e il fare allora è sottile, così nasce il progetto di tradurre in materia la poetessa dei Navigli creando libri d’artista, opere di carta, terra, gesso, metallo, materiali semplici e immediati, come la sua poesia, come la sua anima viscerale.

Poetessa di cuore, poetessa d’amore. Lei che l’amore forse non l’ha mai avuto davvero, eppur il suo cuore pulsa, anzi per questo pulsa più forte, e ogni battito è un salto dalla pagina, un breve volo verso un desiderio (Salvatore Sava).

Vola puntando a quel cielo di libertà (Gianni Marussi), contemplato, talvolta sfiorato, eternamente ambito; nessuno più di un prigioniero sa cosa sia la libertà e la sa cantare, nessuno più di un poeta sa urlare sottovoce. E sembra di sentirla ancora, la sua voce dolcemente roca gridare calma, racchiusa quasi in un sussurro, il bisogno di spazio per il suo urlo inumano, che va da pagina a pagina, troppo piccolo il confine di un solo foglio (Antonio Pujia Veneziano). Troppo piccolo a volte il confine di un libro. Perché lei intensamente sentiva e necessariamente doveva dire, non poteva “soffocare la sua rima”, non poteva trattenere tanto dentro e così dava corpo alle emozioni con le parole, da decifrare, da scoprire, da scovare (Marcello Diotallevi), come quelle scritte sui muri delle sue stanze, una seconda pelle tatuata di numeri, appunti, frammenti di poesie.

Un’urgenza di dire che non ha la pazienza di sfogliare pagina dopo pagina, ma squarcia la copertina, per rompere quel “silenzio tenuto chiuso per anni nella gola” (Oronzo Liuzzi).

Perché “la poesia è la vita che hai dentro, come una gravidanza che deve andare a termine”, un seme che si nasconde sotto le pieghe dell’inquietudine e della sofferenza e che genera vita, speranza (Armanda Verdirame), fa crescere gli alberi su cui abitano i sogni, con la loro lingua comprensibile solo ai cuori leggeri (Salvatore Anelli). Allora via la pesantezza delle parole, i versi si fanno canto, musica colorata sullo spartito del sentire (Fernanda Fedi). E suonano accordi piano-forti, armonicamente contraddittori, che parlano d’infinito quando descrivono il finito, che raccontano ciò che si spera quando dicono ciò che è; tra il contorcersi delle pagine, al di là dei nodosi grovigli di greve metallo, troverai parole scritte in trasparenza, scritte sulla luce (Annalisa Mitrano). Morbide, eleganti, lievi, anche se trafitte da un ago (Luce Dellhove).

È l’anima a dettare versi che hanno la necessità di nascere, un’esigenza istintiva alla comunicazione, come i segni di un primordiale linguaggio (Salvatore Pepe). La Merini è ciò che scrive, tesse fili di parole che legano sé alle pagine (Antonella Prota Giurleo), sigilla l’impronta della sua vita in un amalgama di memorie (Silvia Cibaldi). Non si nasconde tra le righe: schietta, diretta, vera fino all’ultima riga del foglio, la sua poesia ti guarda (Anna Boschi).

Viaggio nella parola di Alda Merini
dal 22 Novembre al 11 Dicembre 2010 a Milano, Biblioteca Comunale Centrale “Palazzo Sormani”
dal 13 Novembre al 13 Gennaio 2010 a Cosenza, Museo dei Bretii e degli Enotri