Wanderful Asia #5 – De(s)serts

Mario e Thomas sono partiti per un’avventura che definiscono semplicemente “un lungo viaggio in moto”. Noi ne siamo affascinati, li seguiremo quindi passo passo rimandando al loro blog, accostando alle loro tappe di volta in volta un libro, un film, un disco affinché il loro “semplice” viaggio in moto possa essere per noi esperienza diretta. Hanno già percorso 10650 chilometri; attraversato Albania, Grecia, Turchia e Iran; arriveranno in Mongolia per poi tornare indietro toccando Laos e Vietnam.


Nel post precedente Mario e Thomas ci raccontavano di aver ascoltato i versi di Omar Khayyam. Ho letto le quartine  di questo celebre poeta e filosofo persiano (1048 – 1131) molti anni fa in una traduzione economica che non sono riuscita a ritrovare nei miei libri, vi propongo quindi in coda a questo post alcune quartine trovate in rete nella traduzione di Alessandro Bausani, Einaudi 1956 un po’ più merlettati di quanto non fossero nei miei ricordi ma assolutamente incisivi.

So far, so good.

Abbiamo passato qualche giorno a Teheran alla disperata ricerca di qualcosa che giustificasse almeno in parte il fascino che la città ha sempre esercitato su di noi. Cosa non facile, purtroppo… Teheran non ha praticamente nulla d’interessante e non invoglia molto a girarla a piedi.

La cosa che più di tutte cattura l’attenzione del turista è il traffico. È praticamente una forma di vita: si sveglia presto la mattina, si muove lentamente per la città divorando tutto ciò che ha l’audacia di attraversargli la strada e si dissolve lentamente prima della notte. Lascia le sue scorie semidigerite (ovvero, tu) lungo il percorso e se si ha fortuna ci si può ritrovare nei dintorni del posto che si voleva raggiungere.

Non alcun senso cercare di vincerne il flusso: l’unica è abbandonarsi ad esso e andare alla deriva. Anche cercare di regolarlo è inutile. Agli incorci i vigili urbani hanno lo sguardo fisso nel vuoto, consapevoli che in un tale casino tenere in mano una tazza di té caldo è assai più utile che soffiare in un fischietto. Non ci sono regole, non c’è ordine, non c’è alcuna autorità. È un inferno.

O un paradiso, se siete come noi.

Il modo più comune per spostarsi in città è saltare a bordo di un taxi collettivo che stia andando più o meno nella direzione desiderata: a un certo punto l’autista vi farà scendere a un incrocio, dove ricominciare da capo. Spesso un passeggero o il conducente stesso vi chiederà qualcosa in Farsi. Rispondere “mi spiace, non capisco” avrà lo stesso effetto di dire “ti prego, raccontami tutto di te. Parti dall’infanzia e non dimenticarti dei parenti”.
Fortunatamente c’è uno schema standard, qualcosa del tipo:

passeggero: <serie incomprensibile di sillabe casuali>
tu: “dall’Italia”
passeggero (sorridendo e annuendo): Italia! <nuova incomprensibile serie di sillabe casuali> ?
tu: “dalla Turchia”
passeggero (mostrando stupore e gesticolando con foga): <altre sillabe> ?
tu (dando gas a un’immaginaria manopola): “sì, in moto”
passeggero (indicando un punto imprecisato all’orizzonte): <molte sillabe> ?
tu: “in Pakistan”
passeggero (meditabondo): “ahhhh, Pakistan”
passeggero (di nuovo): <sillabe a caso> Italia <altre sillabe a caso> Iran?
tu: “beh, sono molto diversi. Ma l’Iran è un grande Paese”
passeggero (sorridendo): Italia <qualche sillaba> Iran!

Da questo punto in poi è sufficiente continuare a rispondere “grazie” finché uno dei due interlocutori non scende dal taxi.

Avevamo deciso di attraversare il deserto Kavir per arrivare a Yazd, ma mentre eravamo a Seman siamo stati fermati da un poliziotto che con modi molto spicci ci ha chiesto di seguirlo. Siamo stati condotti in una sorta di caserma, dove abbiamo passato il tempo interpretando una spy-story insieme a un ufficiale che, rivolgendosi a noi in una lingua vagamente simile all’inglese, voleva sapere:

1. perché stavamo attraversando il deserto
2. perché non avevamo scelto l’Arabia Saudita, che ha deserti più grandi
3. perché stavamo attraversando il deserto
4. perché non avevamo scelto l’Africa, che ha deserti più grandi
5. perché stavamo attraversando il deserto
6. perché avevamo scattato così tante foto di cani
7. perché stavamo attraversando il deserto

e così via per cinque ore. Più o meno ogni mezz’ora si interrompeva per dire “very good, ve-eh-ry good, ve-eh-eh-ry goo-oo-od” per cinque minuti di fila, dopodiché ammutoliva fissando la nostra mappa dell’Iran, non prima di averci nuovamente offerto i suoi pistacchi muffiti che gentilmente accettavamo e infilavamo in tasca. Dopodiché ricominciava da capo, dalla prima domanda. Dopo altre due ore, al mattino successivo, siamo stati finalmente rilasciati e abbiamo potuto scattare queste:

[il blog di Mario e Thomas]

 


18
Questi giorni pochi di vita che toccano a noi, son passati,
Passati com’acqua in torrente, passati qual vento sul piano;
Ed io mai mi rammento di due giorni soli il dolore:
Il giorno ancor non venuto, il giorno che lungi è passato.

20
Prima di me e di te notti e giorni molti son stati,
I giri grandi del cielo per qualche cosa son stati;
Dovunque poggi il piede, tu, sulla terra,
Quei grani di polvere pupille di belle fanciulle son stati.

25
Quando l’ebbro Usignolo trovò la via del Giardino
E ridente trovò il volto della Rosa e la coppa del Vino,
Venne e in misterioso bisbiglio mi disse all’orecchio:
“Considera bene: la vita trascorsa mai più, mai più non si trova”.

31
Il Creatore, allorquando plasmò adorne forme e nature,
Per qual ragione mai le gettò sotto imperio di morte?
Se ben riuscita era l’Opra, perché mandarla in frantumi?
E se mal riuscita era, di chi, dunque, la colpa?

[Omar Khayyam, traduzione di Alessandro Bausani, Einaudi 1956]