Il virus a cavallo fra gioco e narrativa

New York, 1946. Un virus di origine aliena colpisce la città, stermina rapidamente la maggior parte dei contagiati, sfigura il 90% dei sopravvissuti (i Jokers) e dona capacità sovrumane al restante 10% (gli Aces). Da allora il mondo è cambiato. Uomini e donne in grado di volare, di assorbire le menti altrui, di fermare il tempo o sollevare mezzi blindati si ritrovano coinvolti nelle grandi manovre politiche della guerra fredda mentre nelle malfamate strade di Jokertown, sobborgo della Grande Mela nel quale si radunano gli sfortunati e grotteschi mostri che hanno “pescato la carta sbagliata”, razzismo, malcontento e violenza crescono giorno dopo giorno.
Questo è il mondo fittizio in cui George Martin – autore di una delle migliori saghe di sempre, quelle Cronache del ghiaccio e del fuoco il cui prossimo libro i fan attendono da quasi cinque anni – e alcuni suoi amici scrittori hanno ambientato le avventure del gioco di ruolo SuperWorld. Lo stesso Martin racconta, nella postfazione di Wild Cards, L’origine (Rizzoli HD), l’entusiasmo per quelle riunioni settimanali che erano “un po’ narrazioni di storie e un po’ teatro d’improvvisazione, per metà terapia di gruppo e per metà psicosi di massa, in parte avventura e in parte soap opera”. Trattandosi di un gruppo di scrittori, il passo dal gioco alla libreria fu relativamente breve. Era il 1987 e da allora, negli Stati Uniti, la saga di Wild Cards ha raggiunto la considerevole quota di diciassette libri pubblicati. Fra i temi al centro della serie ci sono il connubio potere-responsabilità, il rapporto della società con l’eroe-giustiziere, i problemi di identità, i tormenti dei “diversi” e via dicendo.
Temi che in ambito fumettistico sono già stati ripresi più volte, in certi casi con esiti superlativi (basti pensare al Watchmen di Moore) ma ciò non toglie che l’universo condiviso di Wild Cards abbia un fascino tutto suo, che affonda le sue radici nel sincero entusiasmo dei suoi autori, nell’originalità di certi personaggi e nel loro spessore psicologico. In questo primo volume Martin e soci presentano l’ambientazione, introducono molti dei suoi principali protagonisti e gettano le basi di alcune delle trame che li coinvolgeranno. La narrazione a più voci si rivela assai efficace anche se, come accade nelle raccolte di racconti, non tutte le storie sono allo stesso livello per quanto riguarda ritmo e talento narrativo.
Insomma, un ottimo esemplare di letteratura di genere, che finalmente, dopo più di vent’anni, arriva in Italia. Ed è proprio sull’edizione italiana che sorgono le perplessità.
Partiamo dalla copertina: il volto da bella non morta con tanto di farfalla blu sulla bocca fa pensare all’ennesimo romanzaccio harmony-vampiresco che di questi tempi va per la maggiore. Il nome di Martin campeggia a lettere cubitali, quasi fosse lui l’unico autore del libro quando in realtà ne è il curatore e ha scritto solo uno dei racconti che lo compongono, insieme a un paio di intermezzi. Chiaramente si cerca di sfruttare, con qualche ambiguità, il nome dell’autore; peccato che poi, nel risvolto di copertina, non vengano nemmeno citati i libri che lo hanno reso famoso. Forse perché pubblicati da un altro editore? Tante furbate editoriali, insomma, sulle quali si potrebbe anche soprassedere se non fosse che poi, leggendo il libro, ci si imbatta in parecchi errori di battitura, segni inequivocabili di superficialità e scarsa attenzione. In definitiva, Wild Cards, l’origine è un libro che merita di essere letto, nella speranza che il prossimo capitolo, se ci sarà, venga trattato meglio dall’editore italiano.
Titolo: Wild Cards
Autore: AA. VV.
Editore: Rizzoli HD
Dati: 2010, 566 pp., euro 16,00
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