Big Inner – lo strepitoso esordio di Matthew E. White

mew3Scrivere un disco d’esordio con la potenza e le suggestioni di un classico non è da tutti, anzi, ma allo sconosciuto Matthew E. White, con il suo Big Inner (Hometapes/Spacebombs 2012), è riuscito alla grande. Uscito in sordina ad agosto dello scorso anno, piano piano il cantautore americano si è ritagliato sempre più spazio a suon di recensioni entusiastiche proprio come  lo sarà questa. Ma di che stiamo parlando? Songwriting? Sì, però non nel senso propriamente classico. Intendiamoci, di sperimentale non c’è nulla, anzi, White attinge a piene mani dal repertorio del passato, in particolare dal soul. Voce calda e suadente, sempre impostata su toni baritonali, con una ricchezza di strumenti senza però sfociare in barocchismi, il disco suona pieno e denso come un uovo, ricco di spunti e avvolgente come il velluto. C’è One Of These Days ad aprire le danze, una partenza soft, quasi uno spiritual, con i fiati a sorreggere il crescendo finale. C’è il soul psichedelico di Big Love sospesa a metà tra le suggestioni Blacksploatation e i Beatles di Tomorrow Never Knows.  Ma è Randy Newman il nume tutelare di questo ragazzone della Virginia, e la sua stella risplende in Will You Love Me e nel lunghissimo gospel di Gone Away. Steady Paces possiede invece il carattere dei migliori Jackson Five, mentre è dolce l’incedere di Hot Toddies (che possiede però un coda inaspettata). La chiusura è affidata ai dieci minuti di Brazos un pezzo-monumento che si divide in un due: una parte più pomposamente classica, e l’altra più black, che nella ripetizione del mantra Jesus Christ is our Lord/Jesus Christ is your friend manda il gospel in alto, lassù, dove deve arrivare, sviscerando tutta la potenza espressiva del nostro Big Mat. Un discone insomma, da non perdere in alcun modo.

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