Gli abbracci… che mancano: il tempo dell’incontro nella società veloce

“Gli essere umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte volte a partorirsi da sé”.(L’amore al tempo del colera)

Gli abbracci…che mancano: il tempo dell’incontro nella società veloce: il convegno organizzato dalla Società italiana di Psicologia ha davvero cercato di abbracciare problematiche che tutti ci riguardano e ci scuotono con gradi di intensità e risposte difensive-riparative differenziate; potere della fantasia individuale. Però il punto cruciale di fondo, sottolineato dai vari interventi, vale per tutti: si pratica e si declina una specie d’amore come si fosse in allerta, al tempo del colera, per rimaneggiare il titolo di un romanzo di Gabriel Garcia Marquez che viene in mente. Solo che nell’invenzione narrativa il colera c’è davvero e il protagonista pazienta cinquantatré anni, sette mesi, undici giorni, notti comprese, con fede incrollabile, anzi crescente, per realizzare il suo sogno d’amore con la più bella ragazza della Colombia. Invece qui e ora, si è malati di un colera simbolico, il vibrione o “bacillo virgola” che dir si voglia siamo noi stessi: abbiamo un tasso di pazienza della durata di qualche nanosecondo, resistenza alle frustrazioni e ai colpi della vita scarsa; a dispetto, o forse a causa, delle comunicazioni esterne multiple, facili, straripanti e incessanti, facciamo sempre più fatica a partorire il nostro essere (ancora grazie a Marquez del suggerimento psicoanalitico) e metterlo in gioco nella relazione con l’altro. Non resta che correre ai ripari, sia pure sotto una capanna tecnologica.

“Ormai l’occidente è diventato il terzo mondo delle relazioni interpersonali”, ci va giù papale papale quanto mai nessun papa è stato, Antonio Lo Iacono, presidente della Sips “In questa società inquieta, in cui le immagini virtuali si confondono con i sogni e i progetti di vita, spesso i colloqui diventano soliloqui, le parole non hanno più il senso di responsabilità intrinseca e la persona ha difficoltà a incontrare un sé reale. Talvolta il corpo si ribella e manda segnali di disagio, svelando le verità sotterranee che coprono le felicità del presente. L’eccessiva “comunicazione” ha costruito muraglie di parole scritte attraverso strumenti elettronici. Molti amori nascono e muoiono attraverso bombardanti sms, chat, facebook e qualche mail giunta dall’altra metà del cielo. Talvolta manca il corpo reale, pulsante, nudo, senza orpelli e maschere, in silenzio, che guarda, tocca, respira e stringe al petto un palpito e un sussulto che fa sentire vivi”.

Corpo dove sei? Ci sei? Se ci sei batti un colpo, anche due, o ti si deve localizzare con un satellitare? E poi: davvero gli abbracci mancano, mancherebbero, o piuttosto vengono scansati, rifiutati? Come fu il primo abbraccio materno?

Certo è che ci sono pratiche comportamentali comuni e trasversali che azzerano qualunque differenza, persino d’anagrafe, e ci rendono simili in quanto a volontaria, ma non riconosciuta, reclusione interiore. Vedi gli adolescenti e i ragazzi. “Le tecnologie sono canali privilegiati di comunicazione per i ragazzi, uno spazio di autonomia e di libertà. Considerando che gli spazi nel mondo reale si sono contratti per loro, è comprensibile che usino la rete – evidenzia Anna Oliverio Ferraris, professore di psicologia dello sviluppo all’università La Sapienza di Roma – in rete si creano nuove comunità. Finché si resta nella sfera del gioco e si padroneggia la maschera che ci si dà, non c’è nessun problema”. Chissà se c’è mai stata un’educazione sentimentale nelle famiglie prima dell’avvento di Internet e che forza d’urto abbia avuto. Non svegliamo il can che dorme o finge di dormire. Certo è che oggi “molti adolescenti compiono la loro educazione sentimentale in chat o in rete – sempre Oliverio Ferraris – senza essere costretti al confronto diretto col corpo del partner. C’è una distanza di sicurezza”. Da una parte potrebbe favorire un approccio graduale con l’altro sesso. Dall’altra “si possono mettere in scena storie prive di fondamento creando danni per sé e per gli altri”. E così questa “now-generation”, età compresa tra i 9 e i 15, “rischia di sviluppare dipendenze verso le tecnologie che se usate male ci impoveriscono tutti”. Per non parlare poi, della porno dipendenza prematura. Questi adolescenti dovrebbero poter coltivare i tempi morti in cui la mente costruisce ponti, collegamenti, addestra la propria intelligenza; gli spazi aperti, i moti interiori, le immagini mentali e tra le altre cose, addestrarsi all’uso del congiuntivo, così da allargare l’orizzonte mentale fino a contemplare le ipotesi anziché la fissità di realtà pseudoggettiva.

Per lo psicoterapeuta Federico Bianchi di Castelbianco, tra gli adolescenti dilaga “la paura di un contatto fisico reale e si cominciano ad avere problemi di disturbo della personalità”.

Un avatar ci salverà? Salva forse il tempo e lo spazio del genitore, non certo la fragilità psicologica dell’adolescente. E gli adulti come stanno messi? Non tanto meglio. La fragilità psicologica in loro o è di ritorno, o non se ne è mai andata, solo si incanala in nuove “abilità”. “C’è una consapevolezza sempre maggiore del rischio delle relazioni umane” dice Chiara Simonelli, sessuologa e docente all’università La Sapienza. L’abbraccio può diventare una stretta mortale: “In ognuno di noi, specie dove c’è un delirio di controllo, c’è il desiderio di sfuggire a questi abbracci”. Il team della dottoressa Simonelli ha condotto un’indagine in parallelo con l’università di Goteborg (Svezia). Prima sorpresa, o conferma: siamo un mondo tremendamente seriale, e persino serio e monotono nella sua serialità, comportamenti seriali sono anche nella vita sessuale. Trionfo della carne? Più del cervelletto, sembrerebbe. “Dalla ricerca è emerso che l’attività sessuale online è in continua espansione. La sessualità è l’argomento più ricercato dall’inizio della vita della rete Si può parlare di nuova rivoluzione sessuale”. Seconda sorpresa: dalla ricerca congiunta ci si aspettava che i fruitori del sesso virtuale fossero giovani single. Macché: età media 40 anni, 61% sposati; e altro che attività di notte: il maggior traffico sui siti di sesso c’è dalle 9 alle1 7, ora d’ufficio. Cosa guardano di bello questi fruitori, (uomini, più delle donne)? In rete circolano immagini erotiche con materiale sessualmente esplicito; pornografia degradante basata sullo svilimento della donna che ne sottolinea l’approvazione; pornografia violenta che “valorizza” la violenza sessuale contro le donne. È in parte finito il tempo delle mascherine e dei camuffamenti, se no il suocero lo viene a sapere, anzi ora ben venga che lo sappia e magari che si aggiunga: “il sesso virtuale ama la visibilità come conferma dell’identità. Sono visibile, dunque sono”. Oralità, narcisismo e chi più ne ha proceda! Ma il grande successo del cyber sex è dovuto anche alla facile accessibilità, l’economicità, la possibilità dell’anonimato, per chi la vuole, e aggiunge Chiara “la pigrizia di questa epoca”.

E non si creda che la virtualità serva a compensare una vita sessuale scialba e insoddisfacente, anzi. Può essere un modo per esplorare fantasie di coppia o intraprendere un’attività sessuale in solitaria ma senza tradire il partner, insomma la rete può essere un luogo protetto dove sperimentare la propria sessualità; un luogo di incontro per minoranze sessuali. Il problema è che questa modalità sempre più favorisce e incentiva “le strutture caratteriali molto avviate alla dipendenza”.

Tra gli abbracci mancati, possono esserci quelli tra il terapeuta e il paziente. Questo succede, secondo Michele Festa, padre della psicologia umanistica in Italia, “quando si instaura un rapporto di potere con il paziente a cui invece bisognerebbe dire io sono con te”. Possibilmente credendoci.

A fine convegno, ristabilisce una direzione di marcia per questa vita interiore di stenti, Bruno Callieri, presidente onorario della società italiana per la psicopatologia, con un percorso professionale e umano dall’anatomia patologica, alla fisiologia e istopatologia, fino alla “conversione” alla psichiatria, ma di quella psichiatria che ha i suoi presupposti nella filosofia di Jung, nella fenomenologia di Husserl e dintorni, e altri termini difficilotti ma che indicano una psichiatria inquieta alla ricerca dell’anima, propria e degli ammalati. L’abbraccio può essere rigido, fusionale, mancato. “L’incontro vero si divincola dall’ananke”, dice Callieri. Ovvero dall’inesorabilità del fato. Se no è sempre incontro mancato. L’incontro è questione di prossemità ma anche di prossimità “non di corpi soli, ma di anime”. Cita Baudelaire, Callieri. L’albatros maestoso che catturato, come il poeta, è esiliato sulla terra degradata, e diventa goffo. L’albatros ha tutte le potenzialità di oltrepassare la finitezza della condizione mortali; attenti al mondo, avverte Callieri, tarpa ali, alette, e poi fare spallucce non risolve. “Sono quello che sono”, diceva Antonin Artaud. “Io sono il mio spazio – aggiunge Callieri – la temporalità quando è vissuta è sempre spazialità. Gli abbracci mancati sono anche quelli degli “scienziati” dell’essere verso l’essere. “Dalla nascita del positivismo, le malattie dell’anima sono solo malattie del cervello”, ci ricorda Callieri. Un altro colpo all’albatros. “Occorre il post-Lombroso perché esca Freud che arrivi a parlare di qualcosa che esce dalla semplice neuronalità. Oggi purtroppo – si rammarica Callieri – siamo tornati a questo grande equivoco per cui tutto quello che ciò che è anima, è considerato neuronale. Un muro di Berlino ancora tutto da sgretolare”.

Per dilettarsi, sovente, le ciurme
catturano degli àlbatri, marini
grandi uccelli, che seguono, indolenti
compagni di viaggio, il bastimento
che scivolando va su amari abissi.
E li hanno appena sulla tolda posti
che questi re dell’azzurro abbandonano,
inetti e vergognosi, ai loro fianchi
miseramente, come remi, inerti
le candide e grandi ali. Com’è goffo
e imbelle questo alato viaggiatore!
Lui, poco fa sì bello, com’è brutto
e comico! Qualcuno con la pipa
il becco qui gli stuzzica; là un altro
l’infermo che volava, zoppicando
scimmieggia.
Come il principe dei nembi
è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell’arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali di gigante.

(Baudelaire)