Uno spazio per i partigiani del gioco di ogni età

Tana libera tutti, o quasi tutti. Il gioco è una vera e propria liberazione. Un metodo spontaneo per ritrovare in noi, vivo e reattivo, l’homo ludens da sempre calato nella storia e in ogni fase della vita, visto che il gioco è il fondamento di ogni cultura e società (ce l’ha insegnato nel 1939, quando il gioco si stava facendo tragico, Johann Huizinga, autore dell’intramontabile saggio Homo Ludens). Il gioco è il modo di essere partigiani della vita, creandola e ricreandola, quando le fondamenta del vivere civile sembrano disfarsi e l’ombra è tutto ciò che appare all’orizzonte.

Niente di meglio, allora, per liberarci del peso di una realtà, tecnologicamente avanzatissima, ma tanto grave e greve nelle sue dinamiche sociali e politiche da diventare spesso insopportabile, che catapultarsi al museo del giocattolo di Zagarolo, a 30 chilometri da Roma, e riscoprire lo stupore primordiale. Il museo si trova nel cinquecentesco palazzo Rospigliosi. Non spaventi la dicitura ufficiale che segue: Museo demoantropologico regionale del giocattolo inserito nel sistema museale dei Castelli romani e prenestini, nato formalmente con una delibera del 1988 e inaugurato nel 2005. Gratta la patina della superficie nominale e vinci un succoso spicchio di verità: questo è un luogo di cura dell’anima. Di ricongiungimento circolare col proprio sé, a sé stante, oltre le caste e i castighi sociali. Di scoperta storica, storia sociale e del costume del Novecento e in parte dell’Ottocento; e di catarsi interiore. Ci puoi trovare scolaresche, bambini e accompagnatori di bambini, collezionisti, curiosi, cercatori dell’infanzia perduta, forniti di ogni specie e grado di nostalgia.

Di musei del gioco ce ne sono a bizzeffe in ogni dove, ma per lo più sono tematici: chi ha il dondolo di ogni foggia ed epoca, chi le marionette, chi le bambole, chi il gioco povero. Questo, per numero di oggetti posseduti e ampiezza di spazi espositivi, è il più grande museo del giocattolo in Italia, uno dei maggiori d’Europa. Il culto dei record qui non c’entra, il riconoscimento delle specificità sì. Ci sono 17 sale, suddivise per area tematica, come dicono i benparlanti, ognuna dedicata a un gioco specifico visto nella sua interrelazione con la vita reale (prospettiva demo-antropologica). In tutto 1400 metri quadrati di ricordi, storia, sogni, archetipi di ogni infanzia ad ogni generazione. L’occhio può soffermarsi su ben 800 pezzi, oggetti di grande valore storico ed estetico, di fattura europea ed americana.
Il museo è nato con l’intento di differenziare l’offerta trovandosi all’interno di un sistema museale già ben avviato e dunque con un’identità affermata. In principio sono state acquisite intere collezioni da privati. Dalla collezione Oppo, ad esempio, provengono 70 pezzi, tra cui bambole con la testa in biscuit, ma anche una rara interpretazione giapponese di cartapesta. La collezione acquistata è corredata da accessori quali vestiti, stoviglie in miniatura, servizi di porcellana, e mobili vari, sempre di piccole dimensioni.

Ne fanno anche parte giochi didattici quali il Götischer Baustyl, anni ’30, di fabbricazione tedesca e la dettagliata drogheria in miniatura degli anni ’40, di fabbricazione italiana. Trasalendo, da una sala all’altra è tutto uno sfavillio di automi, animali meccanici, tricicli, trottole, cavallucci a dondolo, tamburi e tamburelli, macchinine a pedali, auto in miniatura da collezione, treni, trenini e impianti ferroviari; navi e barchette, flipper e giochi a cascata. E pare di vederli e sentirli vociare, nonni, bisnonni, trisavoli, bambini di un mondo sommerso, a giocare nel cortile o in casa mentre Freud pescava l’inconscio, o più avanti, in Italia si facevano prove di dittatura e i balilla erano anche giochi di latta in miniatura. C’è una sala dedicata all’attrezzatura per l’intrattenimento: proiettori cinematografici dell’epoca e lanterne magica. Quanta strada in poco tempo, questa tecnica! Ma ci sono anche biliardini, giochi in scatola, monopoli, totopoli, il domino nella sua scatola di legno originale, giochi di guerra. Teatrini, burattini, marionette hanno il risalto che meritano. Ci sono quelli di Maria Signorelli (1908-1992), celebre scenografa e costumista, che esordì come burattinaia nel 1937 e nel 1947 fondò l’Opera dei Burattini. Collezionò burattini e marionette italiane dal Settecento al Novecento, pezzi esotici dal Teatro delle ombre e maschere provenienti da tutto il mondo a cui si aggiunsero sue creazioni e le opere della compagnia Piccoli di Podrecca (1914-1954). Alla sua morte, la vasta collezione fu ereditata dai tre figli, due dei quali, Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli si dedicarono al teatro dei burattini.

Nel 2005 la raccolta museale è giunta al suo culmine con l’acquisto dell’intera collezione di Franco Palmieri e Lisa Billig che, prima della cessione al comune di Zagarolo, avevano dato vita a Roma, nella zona del Pigneto, a “La Memoria Giocosa”, un museo storico didattico di giochi e giocattoli del Novecento.

Il bello di questo museo è che è un organismo vivo, continuamente in divenire. Vista la quantità di pezzi posseduti, di volta in volta, secondo un principio di rotazione, vengono alternate le sezioni esposte e quelle in deposito. Non si visita mai la stessa cosa due volte. Formidabile è la sala delle bambole che portano i nomi di Lenci, Furga, Dep. E le case delle bambole (ma Ibsen non c’entra) sono un racconto della condizione femminile, fino all’edificio a tre piani e con ascensore, anni ’70, di Barbie.

Insomma non è uno spazio inerte che raccoglie reperti, ma un luogo pulsante: tre sale sono riservate a esposizioni tematiche temporanee; una alle attività didattiche e di laboratorio in cui si insegnano le tecniche di costruzione di giocattoli, burattini e marionette. Giocate, qualcosa resterà.

Indirizzo e recapiti
Palazzo Rospigliosi, piazza Indipendenza – Zagarolo
Tel. 06 95769405
Fax 06 9524572
info@museogiocattolo.it
museogiocattolo@museumgrandtour.it