Citizen Zuckerberg

Allora, siccome temo che divagherò molto (se non moltissimo) ci tengo a mettere subito in chiaro alcune cose strettamente cinematografiche. The Social Network (che come sapete racconta la storia della nascita di Facebook e delle relazioni tra il suo creatore, Mark Zuckerberg, e le persone che gli orbitarono attorno prima ad Harvard e poi in California) è un bel film sapientemente confezionato. Gli attori sono in palla, specialmente Jessie Eisenberg, che riesce a rendere credibile l’interpretazione di un protagonista poco convenzionale ed estremamente difficile. Ma tutti i membri del cast sembrano perfettamente in parte e persino la pop-star Justin Timberlake fa un buon lavoro con il suo personaggio, Sean Parker, il tipo che a quindici anni aveva inventato Napster diventando lui stesso una sorta di pop-star. Niente di strano comunque, i film di David Fincher sono sempre stati contraddistinti da casting eccellenti. Il progetto del film, partito dal libro di Ben Mezrich The Accidental Billionaires: the Founding of Facebook, Tale of Sex, Money, Genius and Betrayal, comunque non è tanto del regista Fincher quanto dello sceneggiatore Aaron Sorkin, che nel personaggio di Mark Zuckerberg, assieme grandioso e miserabile, ha trovato l’emblema della sua poetica narrativa. Personaggi, relazioni, situazioni, motivazioni: tutto è costruito con grande mestiere e complessità ed è raro che ci si imbatta in soluzioni narrative banali o forzate. Ad essere invece un po’ fuori dal proprio territorio sarebbe proprio Fincher: The Social Network, giocato tra stanzette zeppe di computer e sale da riunione zeppe di avvocati, non gli offre molte occasioni per sfruttare il suo talento visivo. Per usare un cliquè, questo è un film molto più celebrale che emotivo o spettacolare ma Fincher riesce comunque a fare un ottimo lavoro nel rimanere tra le righe, non strafare, e accompagnare il film senza mai far diventare la sua regia una presenza ingombrante. Ah, e ho apprezzato molto la colonna sonora di Trent Reznor.

Passiamo invece alle divagazioni. Vedendo questo film ci sono tre o quattro domande che continuavano a frullarmi per la mente:

1. Ma non potevo essere io a inventarmi ‘sta cavolata di Facebook e diventare paurosamente ricco?

2. Possibile che il ragazzetto disadattato di questo film abbia davvero cambiato il mondo? (Nella doppia accezione da un lato se il personaggio sia effettivamente fedele all’originale, dall’altro se si possa davvero dire che Facebook abbia cambiato – o stia cambiando – il mondo)

3. Sarebbe legittimo e illuminante un parallelo tra il personaggio Mark Zuckerberg di Fincher/Sorkin/Eisenberg con il Charles Foster Kane di Orson Welles?

Provo, umilmente, a rispondere con ordine. La risposta alla prima domanda, ovviamente, è no; Facebook non avrei potuto inventarlo io così come non hanno potuto i ben più capaci, facoltosi e titolati gemelli Winklevoss di Harvard ai quali Zuckerberg pare abbia rubato l’idea, o quantomeno parte di essa, per poi realizzarla in grande stile. I Winklevoss gli fecero causa e portarono a casa una vagonata di soldi (spiccioli per il ragazzo), quindi in effetti l’idea, o parte di essa, era loro; ma Zuckerberg aveva in sé quell’insieme di capacità informatiche da geek, di monumentale motivazione e di  sfrontatezza che lo portò in poche settimane a cavallo tra 2003 e 2004 a mettere in piedi theFacebook.com (questo il nome del sito per il primo anno di vita) e iniziare una folle cavalcata che ancora oggi non accenna minimamente a subire battute  d’arresto. L’episodio della paternità dell’idea mette in risalto come la stessa non fosse né tanto brillante né originale, del resto già esistevano siti come Friendster e mySpace e tecnicamente theFacebook non introdusse niente di rivoluzionario. Solo che questo ragazzetto di diciannove anni ha fatto tutto praticamente da solo e meglio di chiunque altro. Chapeau, Mark.

Se effettivamente Zuckerberg fosse (e sia) un mezzo disadattato non saprei dirlo perché davvero non mi sono mai interessato alle sue reali vicende e la sceneggiatura di Sorkin tiene magistralmente il personaggio in bilico tra banalità, genio, grettezza e sociopatia. Secondo quanto ci racconta il film pare intanto che il ragazzo, benché possa fregiarsi del titolo di più giovane miliardario al mondo, non sia affatto interessato ai soldi, cosa che effettivamente trova diversi riscontri documentati: a diciassette anni aveva la possibilità di vendere a Microsoft (per bei soldi) il codice di un software ma preferì la strada dell’open source (lo divulgò gratuitamente). Nel film di Fincher, come spesso accade nel cinema, tutto sembra ruotare attorno ad una ragazza, Erica Albright, che lo scarica in apertura e da cui lui sembrerebbe ancora ossessionato nell’ultima scena. Il presupposto di Facebook pare sia nato proprio dalla scomposta reazione alla rottura con Erica: Mark torna a casa, si mette al computer, comincia a ingiuriare Erica sul suo blog e in poche ore realizza un sito (facemash) con le foto ritratto di gran parte delle ragazze iscritte ad Harvard (hackerate dai siti delle varie associazioni universitarie) in cui è possibile confrontarle per scegliere la più carina. In una notte riesce a infrangere pesantemente e doppiamente le norme morali e legali della privacy, ma diventa subito popolare: ecco lo spirito di Facebook! In fondo mi pare che quello che gli interessi davvero non siano né i soldi né Erica, ma la popolarità. E in fondo anche la sua creatura, Facebook, mi sembra che sia tutta lì. Popolarità. E non parliamo della sana vecchia popolarità da rock star o di qualcosa di alto ed esclusivo come i Final Clubs di Harvard (clubs/confraternite universitarie ad accesso limitatissimo) per i quali lo Zuckerberg personaggio del film sembra avere un’altra delle sue ossessioni. In realtà parliamo della ricerca di una popolarità molto più comune e allargata, molto semplice (troppo?) da associare a un nerd teenager come Zuckerberg, qualcosa che ci è molto familiare perché è entrata a far parte delle nostre vite proprio attraverso Facebook e il cosiddetto Web 2.0: l’essere notati senza esporsi troppo, attirare l’attenzione rimanendo al sicuro dietro il proprio pc, ricevere più “likes” e commenti possibili e cullarsi dietro numeri tanto grandi (come il numero di “amici”), quanto insignificanti nella realtà. Non sono un detrattore di Facebook, né un suo appassionato utente. Ho creato il mio profilo nel 2007 onestamente non saprei dare una riposta alla domanda se stia effettivamente cambiando il mondo o quantomeno la natura delle relazioni personali. Per avere più elementi per giudicare vi consiglio questo articolo di Zadie Smith (la cui lettura peraltro ha modificato profondamente la natura di questa mia “recensione” rendendola peraltro eccessivamente lunga). Dico soltanto che personalmente utilizzo Facebook per quello che mi serve e onestamente credo che le relazioni personali siano qualcosa d’altro e di ben più complesso per ridursi alle interazioni su un social network.

Infine il parallelo tra Zuckerberg e Kane. Innanzitutto chiariamo che The Social Network è un bel film, Eisenberg un buon attore, Fincher un bravo regista e Sorkin un ottimo sceneggiatore, ma Orson Welles, naturalmente, appartiene a tutto un altro mondo sia come attore che come regista e sceneggiatore. Nonostante questo mi pare che il parallelo ci stia tutto e in effetti sia davvero illuminante. Kane, come lo Zuckerberg del film, è un personaggio animato da un folle desiderio di essere apprezzato (amato?) se non addirittura temuto o osannato. E Zuckerberg come Kane rimane da solo nel mondo reale mentre la sua impresa ha un’infinità di utenti come i giornali di Kane avevano lettori. In qualche modo sono entrambi emanazioni del proprio tempo e dei profondi cambiamenti che osservano ed essi stessi producono nel mondo della comunicazione, forse a causa della loro incapacità di gestire le proprie relazioni nel mondo reale. E, come Kane, Zuckerberg  finisce per compromettere il rapporto con il suo migliore amico, Eduardo Saverin, cofondatore dell’azienda e unica persona che gli era sempre rimasta accanto con onestà e benevolenza fin dall’inizio, solo perché le dimensioni del suo ego non ammettono compagni di viaggio. Ma se il film di Welles poteva seguire Kane in tutta la sua epopea, dalla nascita fino alle indagini che ne seguivano la morte, e poteva  svelare il mistero di Rosebud, The Social Network può seguire Zuckerberg solo per un breve (benché significativo) periodo della sua vita. In definitiva non sappiamo né quanto il suo destino potrà essere simile a quello di Charles Foster Kane, né se nel profondo delle sue azioni e de suoi pensieri aleggi una sua personale Rosebud.

The Social Network – USA, 2010
di David Fincher
Con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake
Sony Pictures – 120 min.
nelle sale dal 12 novembre 2010
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Citazioni:

  • You don’t get to 500 million friends without making a few enemies. (Non arrivi ad avere 500 milioni di amici senza farti qualche nemico – slogan promozionale)
  • If you guys were the inventors of Facebook, you’d have invented Facebook. (Se voi ragazzi foste gli inventori di Facebook, avreste inventato Facebook – Mark Zuckerberg ai fratelli Winklevoss)
  • We lived in farms, then we lived in cities, and now we’re gonna live on the internet! (Vivevamo nelle fattorie, poi abbiamo vissuto nelle città e adesso vivremo su internet! – Sean Parker)
  • Ma’am, I know you’ve done your homework and so you know that money isn’t a big part of my life, but at the moment I could buy Mt. Auburn Street, take the Phoenix Club and turn it into my ping pong room. (Signora, so che ha fatto i suoi compiti e sa quindi che i soldi non rappresentano una parte importante della mia vita, ma al momento io potrei comprare Aubyrn Street, prendere il Phoenix Club e trasformarlo nella mia sala da ping pong – Mark Zuckerberg)
  • You’re not an asshole, Mark. You’re just trying so hard to be. (Tu non sei uno stronzo, Mark. Stai solo cercando in tutti i modi di esserlo – un’avvocatessa)