Un giorno questo dolore ti sarà utile (il film)

Con questo titolo avevo un problema, era una questione di principio. Il libro di Peter Cameron uscì per Adelphi nel 2007, sulla scia del successo, favorito dal passaparola, del precedente Quella sera dorata (The city of your final destination in originale). Avrete già capito che quest’autore con i titoli ci sa fare, quindi è ancora più bizzarra la mia avversione. Non solo, Cameron fa largo uso dei dialoghi e con pochi tratti rende vivi i personaggi: i suoi romanzi sono quasi sceneggiature, pronte ad essere trasposte sul grande schermo. Com’è infatti avvenuto per Quella sera dorata, diretto da James Ivory nel 2009 e interpretato da Anthony Hopkins e Charlotte Gainsbourg; come si è ripetuto per Un giorno questo dolore ti sarà utile, presentato al Festival di Roma e in questi giorni nelle sale, che vede alla regia Roberto Faenza, supportato da un prestigioso cast di attori americani.

Proprio il film di cui volevo parlare, una volta esaurita la Questione Titolo. Quella sera dorata lo lessi un’estate di qualche anno fa, non era male, per cui niente escludeva di fare un altro tentativo, non fosse stato che… per me il dolore non è utile. Punto. Poi certo, non voglio mettermi da solo contro secoli e secoli di retorica tesa ad esaltare le virtù formative del dolore. Il mondo è quello che è, le masse continuano a stare male e si suppone che sia meglio, per chi non ha niente, presumere che le sue pene non siano vane. Per quel che ho visto io, il dolore, soprattutto quando diventa cronico, spezza le persone, prosciuga le energie, rèlega i sogni sotto cumuli di fallimenti e frustrazioni. Ma quello era solo un titolo, che cavolo! E infatti poi mi sono ritrovato in libreria, lo scorso novembre, senza sapere bene cosa prendere, finché non mi è apparso davanti il libro di Cameron – duecento pagine circa, la veste grafica Adelphi – mi sono detto: perché no? Questa recensione dimostra che sono sopravvissuto. È una variazione sul tema del giovane Holden, aggiornata alla New York del dopo 11 settembre, senza le anatre che portano via il lago ghiacciato di Central Park. J. D. Salinger, con quel romanzo del 1951, aveva inventato l’adolescenza moderna in letteratura. Roberto Faenza, dal canto suo, si era innamorato della storia di Holden e voleva farne un film, per cui si era messo sulle tracce del leggendario scrittore. Leggendario anche per la ritrosia verso ogni forma di contatto che lo turbasse nel suo eremo: tutto ciò che riuscì a ottenere Faenza fu un secco rifiuto. Peter Cameron è stato invece più malleabile, ha ceduto i diritti per la trasposizione e si è offerto di collaborare alla sceneggiatura.

Avevamo lasciato Roberto Faenza col documentario Silvio Forever (2011), autobiografia non autorizzata, e si spera, poco profetica, di Silvio Berlusconi, e lo ritroviamo a New York per la seconda volta dopo Copkiller, poliziesco anomalo con Harvey Keitel, che aveva girato nel 1983. Erano gli anni seguiti a Forza Italia! (se ce la fate, contenete l’effetto déjà vu, eravamo in piena Prima Repubblica), collage di spezzoni di repertorio su trent’anni di storia democristiana, che uscì a ridosso del sequestro Moro e venne fatto presto sparire dalla circolazione. Così il regista ripiegò negli Stati Uniti, dove peraltro era di casa, in quanto docente di Scienze della comunicazione all’università di Washington DC. Un regista dunque capace di mettersi in gioco, che nella sua carriera ha oscillato in prevalenza tra due poli: il cinema di protesta (Alla luce del sole, Silvio Forever) da un lato, i film intimisti/sentimentali (Prendimi l’anima, I giorni dell’abbandono) dall’altro. Fra questi ultimi rientra senza dubbio Un giorno questo dolore ti sarà utile.

Il pronipote di Holden Caulfield, nella versione di Peter Cameron, si chiama James Sveck, ha lo stesso approccio cauto e sarcastico verso i coetanei e gli adulti, ma vive in una società dove i confini generazionali si sono sfaldati. Holden, per sfuggire all’insicurezza dell’adolescenza, aveva un bersaglio chiaro contro cui prendersela, il mondo degli adulti e l’ordine costituito: non sapeva cosa voleva essere, però sapeva cosa non voleva diventare. Ai nostri giorni, il padre di James è un avvocato di successo che non disdegna il ricorso al lifting pur di piacere alle ragazze; la madre è una cinquantenne sopra le righe, gestisce una galleria di arte concettuale (con un’istallazione fatta di bidoni della spazzatura ad uso dei visitatori) e prova a raccogliere i cocci del terzo matrimonio in frantumi. Si tratta, in definitiva, di due egocentrici che non accettano l’avanzare degli anni, e vanno ad invadere e soffocare quello spazio che, in teoria, sarebbe appannaggio dei giovani che si affacciano alla vita adulta. Così tutta la ribellione si riduce, nei pensieri di James, al progetto di non andare alla Brown University e usare i soldi della retta per comprare una casa nel Midwest, dove imparare un lavoro manuale e leggere con tutta calma Shakespeare e Trollope. E se Holden si confidava con la sorellina Phoebe, James si apre con Nanette, la sua nonna bohèmienne, autrice di massime pseudo zen come: «il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono – un dono crudele, ma pur sempre un dono» (a confermare che la mia piccola crociata era perduta in partenza).

Il regista illustra il testo di Cameron smorzandone i toni pungenti, per privilegiare un andamento gradevole e vagamente stralunato, come quando sottolinea, nei personaggi, i loro aspetti più insoliti e caricaturali (vedi Gillian, la sorella di James, che vuole pubblicare la sua autobiografia a ventitre anni). Faenza filma una New York fuori dal tempo – laddove nel libro si percepivano i postumi dell’11 settembre – privilegiando le riprese in esterni e in pieno giorno, supportato della fotografia policroma di Maurizio Calvesi. In questa chiave si deve leggere anche il cambiamento apportato alla figura della terapeuta, chiamata per aiutare James a ritrovare la strada, che nel film è una life coach che tiene gli incontri mentre fa jogging (ritrovare la strada, appunto), e ha le piacevoli sembianze di Lucy Liu (Kill Bill Vol. I, Ally McBeal). Si diceva sopra del fortunato cast: oltre al giovane inglese Tobi Regbo (Harry Potter e i Doni della Morte)  che interpreta James, dobbiamo ricordare almeno Peter Gallagher (Sesso, Bugie e Videotape, The O.C.) nei panni del padre, e soprattutto, nel ruolo della nonna, Ellen Burstyn (L’ultimo Spettacolo, Requiem for a Dream, Alice non abita più qui di Scorsese. Il film è stato quindi girato in inglese e va detto, in questo caso, che i doppiatori italiani avrebbero potuto fare meglio. In compenso c’è il supporto di Elisa, sempre a suo agio con l’inglese (il singolo è Love is requited), che ha interpretato i brani di Andrea Guerra – già collaboratore di Faenza – aggiungendo un commento cantato in sintonia con i colori del film. Cosa resta da aggiungere? Un giorno questo dolore ti sarà utile dura poco più di un’ora e mezzo, un’ulteriore nota di merito per un film leggero senza pretese eccessive.

Un giorno questo dolore ti sarà utile – USA, Italia, 2011
di Roberto Faenza
con Toby Regbo, Marcia Gay Harden, Peter Gallagher, Lucy Liu, Aubrey Plaza
01 Distribution – 98 min.