Droga, pallottole e la nebulosa del Granchio
Fin dalle prime pagine di Cattive abitudini, discutibile traduzione di Dark companion, Jim Nisbet prende per mano il lettore e lo guida nel mondo esteriore e interiore di Banerjhee, seguendo le sue considerazioni sul vicino, le sue conversazioni con la moglie Madja, le sue divagazioni sulle stelle di neutroni, la sua dedizione al proprio giardino.
Lo fa con una semplicità quasi ipnotica, sfruttando dialoghi brillanti e al tempo stesso verosimili e riuscendo a creare empatia col protagonista. Ci si ritrova cullati nella sua vita normale, fatta di problemi quotidiani e di altrettanto quotidiani momenti di serenità. Bisogna superare la metà del romanzo prima che succeda veramente qualcosa. Qui l’autore cambia ritmo, spiazza e sorprende, in un vortice di sangue e pallottole. A cinquanta pagine dalla fine non si sa più cosa aspettarsi né cosa sperare per il povero Banerjhee; la sua discesa negli inferi è spietatamente rapida e il finale è di quelli che ti avvitano alla sedia, ti lasciano lì a fissare la pagina e poi ti fanno dire: “Bravo!”
Perché Nisbet è davvero bravo, sia per la prosa dinamica e pulita, sia per come gioca con la struttura narrativa, dilungandosi nella prima parte e concentrando dramma e azione in poche decine di intense pagine. E non è solo una questione di trama: quello che emerge dalla penna dello scrittore americano è quell’intreccio di paranoie e crisi socio-economiche che sono gli Stati Uniti post-11/09, un luogo nel quale nessuno è veramente al sicuro e la vita vale quanto una puntata alla roulette.