Povera, bella e del tutto innocua

Buren, Peinture sespendueGli anni ’60, come si è ripetuto fino alla noia, sono stati un decennio fondamentale per la ricerca in ambito artistico e, senza alcun dubbio, hanno sparigliato le carte in tavola più di quanto non avessero fatto la dionisiaca arte informale e l’apollineo astrattismo geometrico del secondo dopoguerra. Questa è l’epoca del concettualismo, della Pop art, dell’arte performativa, del minimalismo e, in Italia, dell’Arte povera. Lo si voglia o no, questi sono i padri e le madri di un’arte  incomprensibile per il grande pubblico e che gli stessi esperti del settore fanno spesso fatica a digerire. E allora, nell’orgia celebrativa del 2011, si è ben pensato di infilare anche i festeggiamenti di quello che è stato l’ultimo importante movimento artistico sfornato dalla penisola – con buona pace di Achille Bonito Oliva e della sua Transavaguardia –: l’Arte povera, appunto.

Il famigerato gruppo dei poveristi, nato nel 1967 attorno al critico Germano Celant, giunge dunque alla consacrazione storiografica – dopo aver incassato ampiamente quella del mercato – attraverso una serie di otto appuntamenti espositivi che si snodano sulla superficie peninsulare, dal MAMbo di Bologna al MADRE di Napoli, passando per Milano, Roma, Bergamo, Bari e, ovviamente, il Castello di Rivoli (To), che mai ha sottaciuto il suo amore per i vari Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario e Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio.

Ogni singola mostra ha la sua peculiarità e quella del Castello di Rivoli sta nell’inserire una serie di opere storiche dei poveristi all’interno di un’ottica internazionale, dando vita a un gioco di rimandi, comunanze e contrasti con alcuni nomi importanti del panorama artistico di quegli anni: Oppenheim, Sol LeWitt, Warhol, Art & Language, Beuys ecc. ecc. L’operazione Arte Povera International è senz’altro riuscita e a provarlo ci pensa, ad esempio, il suggestivo dialogo tra un Concetto spaziale di Lucio Fontana e uno specchio deformante di Pistoletto, due indagini sul tema dello spazio tanto diverse nei materiali e nella forma quanto affini nel risultato distorcente.

Calzolari, Senza titoloCiononostante, lo scambio dialettico più affascinante, nonché il più facilmente fruibile, è quello che avviene tra le opere e le sale splendidamente decorate della seicentesca dimora sabauda che si affaccia da un colle sulla città Torino. L’impatto visivo generato dal contrasto estremo tra gli spazi merlettati e stuccati e le crude installazioni di Penone, Kounellis e Calzolari è di una forza a tal punto dirompente che, in assoluta spontaneità, allo spettatore vien da pensare che questi ammassi di foglie secche raccolte e accatastate contro tre pareti, le scarne lampadine e i vestiti e le scarpe scure adagiate sul pavimento siano addirittura belli.

Giunti a questo punto si sa che la consacrazione è avvenuta: l’Arte povera è finalmente diventata un classico degno di una retrospettiva museale. Anzi, di otto! Al contempo, è ovvio che essa abbia irrimediabilmente perso tutta la sua essenza provocatoria che, alla nascita, come il punk in ambito musicale o i sessantottini in quello politico e sociale, aveva scardinato i meccanismi di un marchingegno stanco, mostrando quanto bastasse poco per fare arte e per spaventare i benpensanti. Oggi il punk è stato edulcorato a tal punto da piacere alle pischelle, i sessantottini difendono Berlusconi a spada tratta e l’Arte povera è addirittura bella. C’è da dire che, all’epoca, quando ancora non entrava nei castelli e non sfiorava valutazioni milionarie, faceva davvero schifo a tutti. Bei tempi quelli.

Warhol, Ritratto ProustKounellis, LettoPistoletto, LampadinaPenone, Albero 11 metriKounellis

Arte Povera International
Fino al 19 febbraio 2012
Castello di Rivoli (To)

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