“Butcher’s Crossing” di John E. Williams: classic western

Intuiva che si stava lasciando qualcosa alle spalle, qualcosa che avrebbe potuto essergli prezioso, se solo fosse riuscito a capire cos’era.

Nulla sfugge alla regola della ciclicità; la osserviamo negli eventi storici e naturali, nelle mode, nelle arti, sopratutto quelle figurative. Il cinema, per esempio,  riscopre i generi  e stili a cadenze prefissate,  e questo accade anche per il genere western, la cui riproposizione, però, è così frequente e ravvicinata che sembra quasi sottrarsi alla regola generale, per attraversare inossidabile ogni periodo della storia cinematografica. Basti pensare, giusto guardando gli ultimi anni, al popolarissimo e premiato Django del 2012, alle undici nomination all’Oscar del 2011 per Il Grinta, ai quattro premi Oscar per il western moderno di Non è un paese per vecchi del 2007.  Un successo, commerciale e di qualità, che ha fatto da traino anche alla produzione televisiva, come per l’americana AMC che ha dato vita all’ottima serie Hell on Wheels, arrivata alla seconda stagione e ancora inedita in Italia.

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Ma questa forza che il western ha dimostrato nel cinema non trova riscontro nella letteratura: sarebbe una sfida persa in partenza scovare, se non dopo una sudata e approfondita ricerca (fatta eccezione per i romanzi di Cormac McCarthy),  un romanzo del genere tra gli scaffali di una libreria. Una missione oggi possibile grazie a Fazi che, sull’onda della popolarità cinematografica (forse), e al successo dell’anno passato della pubblicazione di Stoner, ripropone un nuovo (del 1960) romanzo di John Williams: Butcher’s Crossing, una bella e struggente epopea western che pur presentando molte affinità con alcune opere filmiche, non prettamente di genere, non perde la sua forza narrativa.

Butcher’s Crossing è una piccola nascente comunità nel Kansas che come tante altre cittadine di frontiera vive nella speranza di un florido futuro che arriverà, se mai arriverà, su un binario: un sogno di prosperità che porta il nome di Ferrovia. Un paese ancora vergine, lontano dalla corruzione delle grandi metropoli, percorso da strade polverose; ed è polvere quella che si deposita sugli abiti immacolati del giovane Will Andrews appena il suo piede entra in contatto con il terreno: la prima esperienza in un’America nuova, sconosciuta al mondo civile, un mondo in cui la vita scorre con indolenza, con una lentezza proporzionale alle distanze che coprono quelle terre inesplorate, abitato da uomini di poche parole; tutti in attesa di qualcosa, il miracolo della ferrovia per qualcuno, un pezzo di terra su cui vivere e morire per altri.  Ed è in questo paese circondato da spazi infiniti che Will, in fuga dalla città,  si sente realmente a casa, con la natura incontaminata ad accoglierlo, con la solitudine a farlo partecipe di qualcosa di grande e profondo. È da Butcher’s Crossing che Will decide di intraprendere un viaggio iniziatico alla ricerca delle proprie origini, di una libertà che né gli uomini né il progresso sono in grado di offrire.

Sentiva che ormai, ovunque vivesse, ora come in futuro,  si sarebbe sempre più allontanato dalla città, per ritirarsi nella natura selvaggia. Sentiva che quello era il senso più profondo che potesse dare alla sua vita.

"Butcher's Crossing" di John E. Williams (1960)Will Andrews ha la stessa spinta al cambiamento, alla ricerca, al rifiuto delle distorsioni tipiche della società moderna, gli stessi sogni del Christopher McCandless di Into the wild, con il quale però condivide anche la stessa ingenuità e un destino di disillusione. E non è un caso che mentre  nell’isolamento  McCandless legge Henry David Thoreau, in particolare Walden ovvero Vita nei boschi,  Will legge Ralph Waldo Emerson, filosofi e amici, figure centrali del trascendentalismo nord americano.  Ma se eguali sono le motivazioni e il fine, differente è il mezzo; perché Will, per il lungo e faticoso percorso di formazione, all’affrancamento dal genere umano preferisce la compagnia di uomini che, a differenza sua, non hanno nulla da perdere. Così inizia una spedizione per una spietata caccia al bisonte, destinata non a salvare il mondo ma a sgretolarlo,  fino a rimanerne schiacciati.  Un viaggio che si trasforma in una sfida alla natura indomabile – che assume sempre forme diverse, una tormenta di neve, la siccità, la furia mortale di un torrente in piena -, e in una sfida ai propri limiti. E se da un lato, la contemplazione della natura rende coscienti dell’insondabilità dell’animo umano, dall’altro, l’incontro con la morte, la crudeltà della caccia, l’atavica necessità di manifestare  la superiorità dell’uomo, l’agonia di animali destinati all’estinzione, esattamente come accade per gli indiani, fanno della disillusione l’unico bottino dei protagonisti. Basta un inverno per cambiare un uomo e per cambiare un mondo.

Butcher’s Crossing è un romanzo nella tipica tradizione western, che utilizza gli stereotipi del genere: nuove frontiere da esplorare, paure da sconfiggere, lotta disperata per la sopravvivenza, uomini e animali da sottomettere; un romanzo pronto per l’adattamento cinematografico (pare che Sam Mendes ne sarà il regista) che non cade mai nella banalità, in cui non c’è traccia di superfluo, che fa sentire tutto il peso della sconfitta e del disincanto di una generazione, di un’era e del Far West, sotterrandone il mito. Un romanzo che invoglia a leggere ad alta voce, proprio come si dovrebbe leggere un classico della letteratura.

"Butcher's Crossing" di John E. Williams (Fazi)Titolo: Butcher’s Crossing
Autore: John E. Williams
Editore: Fazi
Dati: 2012, 359 pp., 17,50 €

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