E caddi come corpo morto cade: psichiatria e storia della carne in Occidente

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In principio è il corpo e solo il corpo a condurre i giochi: di anima e suoi derivati non c’è neanche l’ombra in terra d’Occidente, leviamocelo dalla testa. La storia della nostra abitazione di carne, nervi, sangue, escrementi, detriti organici e altri aggregati è tutt’uno con la storia del’evoluzione del pensiero occidentale, del suo svolgersi a partire dalle fondamenta gettate dalla grecità e dalla cultura giudaico-cristiana. Da lì vengono i connotati che esibiamo sia pure stravolti e modificati. Una densissima lezione su Il corpo in Occidente frutto del suo migliore repertorio l’ha tenuta Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista, ad apertura del I Forum Internazionale Changes in Psychiatry che si è svolto a Roma nel palazzetto dell’Eatitaly. Di che parliamo quando parliamo di corpo? Di certo di qualcosa che si è modificato di pari passo con la visione culturale prevalente in un’epoca piuttosto che in un’altra. Argomento scelto non a caso come a voler riepilogare a una platea di psichiatri di quale stelle, qualche volta stalle, siano  figli. “La psichiatria farà fatica a fare passi in avanti se non elimina il concetto di psiche e se non arriva a un concetto di corpo più evoluto rispetto a quello che ci ha consegnato Cartesio”: queste le premesse dell’articolato discorso di Galimberti che ha affrontato temi  ben noti ai lettori dei suoi saggi con la partigianeria che lo contraddistingue a favore del mondo greco per il modo in cui concepiva l’uomo, per la consapevolezza della sua fine e per il rispetto verso la morte.

Giovanni Sesia il corpo svelato

Omero, citato ad avvio di trattazione, concepisce solo il corpo, espressivo del suo rapporto con il mondo e non già rappresentativo di stati interiori come lo è per noi; modalità che sarà poi ripresa nel ‘900 dalla corrente filosofica nota come fenomenologia.  Psiche, anima, in Omero è solo l’ultimo respiro prima di morire e soma è riferito al cadavere. Finché Platone, che non si fida affatto delle informazioni che ci arrivano dal corpo perché soggettive, stabilisce che  bisogna costruire un sapere universale e lo si possa fare solo prescindendo dal mondo sensibile, ricorrendo a idee, numeri e costrutti. E dove si trovano idee, numeri, misurazioni oggettive? Che abbiano mica un organo di riferimento? L’anima, la grande invenzione platonica, nasce per rispondere a un’esigenza gnoseologica. Da quel momento in Occidente comincia la denigrazione del corpo. Gli ebrei invece, ha chiarito Galimberti, non avevano nessuna nozione di anima né idea dell’immortalità; che anzi per sette generazioni si sarebbero dovute espiare le colpe degli antenati. E per almeno 4 secoli i cristiani non hanno nozione alcuna dell’anima: anzi è roba che proprio non interessa. Il cristianesimo in principio è una religione del corpo: non crede alla resurrezione dell’anima, ma a quella del corpo. “Le nostre chiese sono piene di corpi”, ha evidenziato il filosofo.

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Agostino però ha il grande colpo di genio che rivoluziona l’intera faccenda: “Per difendersi dalla gnosi ricorre a Platone ma sottrae l’anima dal contesto della conoscenza in cui Platone l’aveva ideata per trasferirla sul piano della salvezza” perché nell’interiorità dell’anima abita dio. È l’inizio della nostra storia di esseri duali, scissi tra corpo e anima perché i cristiani, a differenza dei greci, hanno il terrore della morte e cercano una qualche svolta oltre la finitezza. Meglio allora che sia l’anima anziché il corpo a sopravvivere visto che il secondo ha parecchie controindicazioni,  dal putrefarsi al polverizzarsi, e non ne restano tracce a parte ossa e teschi. Il corpo è carne spuria da redimere, dice allora il cristianesimo smentendo i suoi presupposti d’origine ispirati a un dio che si incarna. Grande salto temporale ed ecco che Cartesio afferma che siccome il corpo va valutato con idee chiare e distinte, bisogna ricorrere alla fisica, la scienza del suo tempo. Per questa via il filosofo-fisico  riduce il corpo vivente a organismo. È la nascita del corpo medico, sommatoria di organi; della medicina come cura degli organi. I tedeschi, ha ricordato Galimberti, ben distinguono tra il corpo cartesiano il kerper ridotto a cosa e il leib il corpo come è nel mondo della vita che prova emozioni, il corpo che io sono e tutti siamo. Ognuno sperimenta i due stati, tutti siamo in questo dualismo o come “rappresentanti d’organo ammalato” o come esseri irradianti emozioni, sensazioni, percezioni. In età dei lumi si appura, a dispetto delle pretese di scientificità e oggettività, che c’è qualcosa in noi che si ammala e non si localizza in un organo preciso.

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È la nascita di una scienza anomala, residuale, all’inizio chiamata Morbus sine materia perché si propone di curare una malattia senza riscontro organico. “Una scienza strana perché contiene tutti i refusi di quelle morbosità che non presentano riscontri organici”.  Non è psichiatria all’origine. Dell’anima a quel punto della storia umana si è detto tutto: che c’è, che non c’è, che è mortale o immortale; finché nel ‘700 si asserisce che si può ammalare e la psichiatria vuole essere cura medica, scienza.  Così fino al ‘traguardo’ più recente, il DSM V , campionario o ‘bibbia’ psichiatrica a seconda dei casi, che classifica per sintomi le patologie e così ognuno può essere inserito in una o più caselle diagnostiche. Pinel, Chiarugi, Esquirol sono tre psichiatri che per primi ritengono che i folli vadano separati dai delinquenti perché non sono consapevoli quando compiono delitti. E allora che si fa di loro? Li si mette in una prigione d’altro genere chiamata manicomio. Così la psichiatria diventa anche ‘scienza’ dedita al controllo e gli psichiatri delegati sui generis alla sicurezza sociale.

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Bisogna aspettare il 1913 quando Karl Jaspers pubblica la Psicopatologia generale perché sia recuperato l’antico concetto di corpo. “Il mio corpo è in relazione al mondo della vita e non c’è bisogno della psiche per spiegare le sue reazioni. È espressivo non rappresentativo”, sintetizza Galimberti: proprio come era per Omero. Per Jaspers comprendere è “intercettare il nucleo delirante per empatia”. In tal senso  “la psiche non è altro che la relazione corpo-mondo e per questo bisogna annullare l’anima, la psiche, e recuperare il concetto di corpo come corpo del mondo, della vita se no la psichiatria si riduce a sintomatologia per la quiete del paziente e di chi gli sta intorno”. Anima è per Galimberti, se proprio ci piace usare questa parola, la relazione tra il corpo e il mondo. Resta ‘la fatica d’essere se stessi’ parafrasando il titolo di un libro del sociologo Alain Ehrenberg; difficoltà costitutiva  che poi nel passaggio dalla società della disciplina a quella dell’efficienza assume connotati differenti e così anche le patologie cambiano nel tempo. Il sottofondo è però lo stesso se si squarcia il velo: “Ciascuno è abitato dalla propria follia e proprio grazie a questo requisito gli psichiatri possono essere in grado di capire i pazienti. Solo avendo dispositivi folli dentro di noi riusciamo a comprendere gli altri”. Benedetta sia l’irragionevolezza costitutiva dell’essere se riconosciuta e non subìta. Scriveva Franco Basaglia nel 1967La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione”.