Edward Hopper. Poeta dell’intimità

La seconda rivoluzione industriale, la prima e la seconda guerra mondiale, la colonizzazione e i movimenti di liberazione, la rivoluzione russa, il nazismo, il maccartismo, il crollo del ’29 e la ripresa economica, la guerra fredda, la Corea  e il Vietnam. L’invenzione del cinema e la nascita della TV. Nessun periodo storico è stato così carico di eventi, come quello in cui è vissuto Edward Hopper (1882-1967), pittore statunitense dallo stile inconfondibile.

La sua vita, almeno per quel che se ne conosce, è come la sua pittura: scorrevole, apparentemente priva di tormenti interiori, immediata. Così, mentre l’avanguardia artistica (Espressionismo, Cubismo, Pop art) e la sperimentazione mediatica (cinema, pubblicità, format radiofonici) traggono dai tempi moderni la loro forza espressiva e la loro stessa ragion d’essere, Edward Hopper si rifugia nella normalità della vita quotidiana.

La mostra al Museo del Corso è un viaggio nel tempo, una riproduzione intimista di un’America che non c’è più: quella dei Kennedy e di Marilyn, di Fitzgerald e del grande Gatsby, delle case bianche di campagna e dei diners, le tavole calde tipicamente newyorkesi che ci riportano alla contemporaneità, ma da meri spettatori.

I soggetti dei quadri, catturati a volte con evidenti difetti stilistici e di proporzione (un seno molto più pronunciato dell’altro; una casa che sta in piedi sfidando le leggi della fisica) sono meri espedienti narrativi: quello che Hopper trasmette è la sensazione.

La luce ti colpisce, ti sorprende. I colori, seppur tenui e mai esagerati, conferiscono  luminosità e regalità all’opera. Insospettabili sono i quadri dedicati all’universo femminile e all’erotismo nel senso più artistico del termine: le donne (che prendono vita sempre dalla figura della moglie, sua unica musa) sono mostrate nella loro intimità più spinta. Quando si lasciano andare a pose poco sensuali, sciatte e sguaiate o semplicemente assorte, ma quasi mai volgari. È come se Hopper spiasse dalle finestre, il suo sguardo è sempre filtrato, attento a cogliere attimi fuggenti di vita quotidiana: un’esaltazione dell’ordinarietà!

Il Museo del corso offre un’atmosfera raccolta e silenziosa, che si adatta perfettamente alla pittura di Hopper. Il consiglio è di andarci la sera (il museo resta aperto fino alle ore 22.00) per calarsi meglio nel contesto e godere di una Roma più tranquilla e vivibile.

Edward Hopper, Museo del Corso fino al 13 giugno 2010

A cura di Carter E. Foster

Costo del biglietto 10,00 euro (intero)

2 thoughts on “Edward Hopper. Poeta dell’intimità

  • Marzo 12, 2010 alle 3:09 pm
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    Ordinarietà, emozioni. Sembra un controsenso. Hopper ci riesce. La sua opera è trasparente e accessibile, il contenuto espressivo concentrato in un singolo, facilmente leggibile momento cui corrisponde un emozione altrettanto facilmente distinguibile nella vita della persona ordinaria. L’opera di Hopper è moderna perché richiede al fruitore di formulare una spiegazione che, seppure ambiguamente semplice, è emozionalmente unica per ognuno.
    Uno dei quadri più famosi, “Nighthawks”, è un concentrato di questa sensazione così forte che Hopper mi comunica: un bancone di un diner, un’ “inquadratura” molto cinematografica, un gioco di ombre da film “noir”, nulla intorno, il mio sguardo da fuori attraverso l’ampia vetrata, dal marciapiede opposto. Quasi spiando la vita degli “Altri” al di là di quella vetrata. In uno spazio spersonalizzante, con addosso la sensazione ambigua di essere lì a spiare, all’improvviso la scena si accende e si riempie di emozioni: c’è una donna vestita di rosso che forse ha una storia con il tipo accanto, sembra si tocchino con la mano o è un gioco di prospettiva? Oppure è una prostituta che sta cercando di “accalappiare” l’ultimo cliente prima di andare a casa o, più banalmente, sta consumando un frugale pasto serale. Dietro al bancone, l’inserviente sembra rivolgersi al tipo vicino la donna, che cosa si staranno dicendo? Ma un po’ più là, c’è un altro signore, da solo, sembra afflitto, se ne sta lì , lo sguardo nel vuoto (non si vede, è di spalle), assorto nei suoi pensieri e le sue pene, isolato dagli altri presenti nel diner e…isolato dal mondo.
    Quante storie, quante emozioni in un ordinario momento …

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