Poche idee, ma confuse. I primi cent’anni di Ennio Flaiano

1959, aforismi e disegni di Ennio Flaiano, manoscritto. © Fondo Manoscritti di Autori Moderni e Contemporanei Università di Pavia; © Casa Editrice Bompiani "Frasario essenziale per passare inosservati in società", 1998

Oggi Ennio Flaiano (1910-1972) avrebbe compiuto cento anni. Fu scrittore, giornalista, critico cinematografico e teatrale, sceneggiatore, umorista, marziano, satiro, osservatore solitario. Ma soprattutto consapevole membro della “minoranza silenziosa”: cioè, “quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano”.

Aspettano invano, per lo più, come lo stesso Flaiano sapeva, e come noi scopriamo leggendo (non con una risata, ma con un sorriso: e nemmeno troppo divertito, a volte) alcuni dei suoi celebri aforismi, che abbiamo scelto di riproporvi. Non volendo noi scrivere un’inaudita sorta di “coccodrillo postumo”, abbiamo deciso di lasciare che sia lo stesso Flaiano a parlare di sé. Molti li conoscerete già senza sapere che fossero suoi: Flaiano lo avrebbe probabilmente trovato divertente.

Avvertiamo soltanto i lettori che, per ovvie ragioni cronologiche, ogni eventuale riferimento rintracciabile negli aforismi seguenti a persone o fatti oggi realmente esistenti è davvero puramente casuale. Ma, ahinoi, non per questo meno vero.

La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé.

I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.

L’arte è un investimento di capitali, la cultura un alibi.

La Natura è un catalogo di mostruosità che tendono a conservarsi e a riprodursi. L’Uomo può essere spiegato come un errore della Natura perché riuscirà a distruggerla, insieme a se stesso.

Noi viviamo – grazie a Dio – in un’epoca senza fede.

Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla.

I capolavori oggi hanno i minuti contati.

Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni.

Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l’errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un’altra verità altrettanto valida, e l’errore un altro errore.

La situazione politica in Italia è grave, ma non seria.

Quando mai uno stupido è stato innocuo? Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo.

L’italiano è la lingua parlata dai doppiatori.

I nomi collettivi servono a far confusione. «Popolo, pubblico…». Un bel giorno ti accorgi che siamo noi. Invece, credevi fossero gli altri.

Nel nostro paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno.

Fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione.

Quando l’uomo non ha più freddo, fame e paura è scontento.

Ennio Flaiano nel 1970

Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere

L’Inferno di Dante è pieno di italiani che rompono i coglioni agli altri.

Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità.

Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso.

A proposito di un film di Sordi e Manfredi sull’Africa, che mi è piaciuto per la giustezza di un’osservazione di fondo, questa: l’italiano, nella sua qualità di personaggio comico, è un tentativo della natura di smitizzare se stessa. Prendete il Polo Nord: è abbastanza serio preso in sé. Un italiano al Polo Nord vi aggiunge subito qualcosa di comico, che prima non ci aveva colpito. Il Polo Nord non è più serio. La vastità della superficie ghiacciata è eccessiva. A che serve? Perché? Non si può far niente per rimediare? Pensa il personaggio comico italiano.
La savana, la giungla, i grandi spazi dell’Africa: due italiani bastano a corromperli. «Dottore!», «Ragioniere!» Non rinunciano ai loro titoli, guardano i grandi spazi, vi si perdono, li percorrono senza convinzione, dubbiosamente, «Con lei in Africa non ci vengo più» eccetera. Quando due italiani si incontrano per caso all’estero, la loro prima reazione è un gran ridere. «Che fai qui?…» «E tu?» Infatti si suppone che se sono fuori casa è per motivi essenzialmente comici: il lavoro, la noia, una curiosità piena di riserve, le donne, i piaceri eccetera.

Il tiranno più amato è quello che punisce per una sua esclusiva ragione, la ragione che riguarda la propria esistenza.

Coraggio, il meglio è passato.