Al divano sono saltate le molle ma anche i freni inibitori

Di biografie di personaggi eccellenti se ne scovano a iosa. Di storie degli uomini illustri, canzonature comprese, è pieno l’arsenale delle lettere. Altra cosa, mai vista finora, è se un oggetto ritenuto inanimato, uno a caso, un divano, si arroga il diritto di prender la parola e spifferare tutto quel che sa di un uomo illustre, di più, di un maestro del sospetto del ‘900, di più ancora, del padre della psicoanalisi in persona. Sigmund Freud: il leggendario divano svela tutti i segreti è il racconto fatto da un testimone eccellente, il sofà che scandì la vita professionale e familiare di Freud, dai suoi primi incerti anni di pratica clinica al progressivo svelarsi delle teorie che hanno cambiato l’universo umano interiore e la sua interpretazione, le lettere e le arti, oggi sono date per acquisite, (dall’interpretazione dei sogni allo studio dei suoi meccanismi, dal complesso di Edipo alle teorie sulla sessualità e sulle perversioni infantili, dagli atti mancati rivelatori e psicopatologie della vita quotidiana alla pulsione di morte dell’intera civiltà) se non talvolta considerate superate dagli specialisti della psiche.

Ovvio che dietro l’affabulazione del divano suddivisa in 41 capitoletti snelli ripartiti in tre parti, con tanto di prologo, epilogo, osservazioni conclusive, una esilarante e imperdibile cronologia finale, e interamente costruita in forma di grafic novel (racconto e illustrazioni insieme), vi sia un ghost writer. Già, come farebbe altrimenti un divano a fare tutto da solo, sia pure mosso dalla inarrestabile volontà di rompere finalmente il lungo silenzio? Il ghost writer in questione è Christian Moser, saggista, illustratore e autore di fumetti, infine cabarettista, attratto da Freud ma anche dalla molteplicità contraddittoria delle informazioni su di lui, al punto di scegliere di tratteggiarne la figura attraverso una ricostruzione semiseria fatta avvalendosi di un testimone mai preso in considerazione. Durante tutta la sua vita, infatti, Freud, aveva ossessivamente cercato di controllare le informazioni messe in giro su di lui. Censurò severamente la sua biografia, più volte distrusse o tentò di distruggere appunti privati e professionali per evitare manipolazioni, determinò subito una spaccatura, vere e proprie guerre religiose nella comunità psicoanalitica fin dal suo sorgere, contrapposizioni feroci tra freudiani puri e infedeli dai vari connotati: junghiani, adleriani, ferencziniani. Stante queste premesse, “come può un ghostwriter serio cavarsela davanti a questa moltitudine di informazioni contraddittorie? Sono arrivato quindi alla conclusione che avrei potuto fare affidamento altrettanto bene sulle affermazioni di un divano. Per quanto soggettivo potesse essere il suo punto di vista, perlomeno avevo davanti a me l’ultimo testimone ancora in vita. Chi avrebbe potuto contraddirlo”?

E allora cosa spiffera questo divano? E con quale intento? Demolire il padre della psicoanalisi, vendicare qualche paziente stravolto dalla metodologia dei freudiani ortodossi o salvarlo? Spiffera la storia di un percorso unico, certo con ironia, attraverso un’agile ricostruzione delle principali teorie freudiane. Il divano volontariamente non sfugge al gusto del pettegolezzo riportando tutta la vulgata sul “papa” o fondatore della nuova religione: tiranno fin da bambino, primogenito convinto della propria superiorità sempre confermata e amplificata dalla madre, a sua volta matrice di tutte le nevrosi, longeva matriarca che come lo compiaceva accentuando il suo narcisismo, così lo comandava a bacchetta. E ancora: da vittima della madre a dispotico capo carismatico che, sempre preoccupato di essere superato da qualche allievo più brillante, pretendeva obbedienza e fedeltà assoluta dagli adepti, richiedeva devozione ai partecipanti alle riunioni del mercoledì, la futura Società psicoanalitica viennese, eccetto svenire “come una femminuccia” se messo all’angolo dal “principe ereditario”, Carl Gustave Jung, discepolo infedelissimo, mosso dall’intento “mortale” di liberare la psicoanalisi dalla sessualità, darle una connotazione mistica, psicoanalizzare il “papa” per svelare le sue umane magagne o lasciarlo per strada. Non solo: il divano insinua che Freud fosse frustrato sessualmente, che Martha fosse una moglie noiosa e sempre più trascurata nell’aspetto, che considerava pornografia le sue teorie sessuali, che a lei Freud preferì Minna, la cognata che rimase con loro tutta la vita e non si sposò mai. “Freud si intendeva alla perfezione con Minna, che a dire il vero non solo era più intelligente e simpatica della sorella Martha, ma era anche l’unica in casa che si interessasse veramente del suo lavoro”. Il divano insinua anche che il professore visse il sesso con nevrosi e ritenne di dover deviare le pulsioni sessuali sublimandole per ottenere una straordinaria produttività intellettuale. La libertà sessuale la lasciò in teoria ai giovani, anche se poi si comportò sempre da patriarca borghese, e “avrebbe voluto anticoncezionali migliori del condom o del coito interrotto, poiché secondo lui provocavano nell’uomo gravi nevrosi”. Insinua anche che Freud scaricasse le sue frustrazioni nella relazione d’intimità con il sigaro, sempre a portata di mano, anche in terapia (ed è infatti disegnato arcigno con sigaro), che fosse un ossessivo e lo dimostrasse nel suo collezionare oggetti antichi, cimeli romani, greci, egizi.

Il divano magari non supera il maestro, ma in tanti e tanti anni trascorsi ad ascoltare pazienti, lo stesso Freud nel corso della sua autoanalisi, interpretazioni, discussioni tra adepti, dimostra di aver sostenuto e assorbito oltre che i corpi che su di lui si sono sdraiati, anche le teorie, di aver sviluppato spirito di osservazione e di masticare la materia con grande competenza. Racconta il divano: “Un bel giorno, tornando a casa dall’università, trovò nel salotto di casa un’amica della sorella che sbucciava una mela: Freud si innamorò all’istante. La simbologia sessuale di certi frutti è ormai nota a tutti: lo stesso atto di sbucciare può tranquillamente essere associato al rimuovere altri rivestimenti”. Svela ancora, tra le altre cose, il vero motivo per cui Freud lo volle nel suo studio e lì fece sdraiare i pazienti. Ufficialmente per far rilassare i pazienti e non condizionarli con espressioni scettiche o annoiate. Di fatto “Freud semplicemente non poteva sopportare il fatto di essere fissato per otto ore al giorno”.
Da non perdere, in appendice, la Cronologia, naturalmente curata del divano! Qualche assaggio
1889: Probabile anno di nascita del divano. La sua origine precisa è controversa: il divano afferma d’essere un esclusivo pezzo unico del laboratorio di un fornitore di corte viennese, Jung dice che proviene da una fabbrica di mobili a buon mercato.
1903: Dopo una discussione con Freud, Adler fa intenzionalmente un buco col sigaro nel divano. Freud non se ne accorge.
1918: Anna comincia la sua analisi. I suoi sogni sono così truculenti che il divano vorrebbe quasi riavere l’ ‘uomo dei topi’.
1939: Freud gravemente malato, fa mettere il suo letto nello studio e passa i suoi ultimi giorni sdraiato proprio accanto al divano. Quando muore, la notte del 23 settembre, nessuno si affligge più profondamente e più a lungo del divano. Ah, si potessero redimere così facilmente anche i mobili imbottiti!
“1956: Il divano è offeso di non essere stato intervistato da Ernest Jones per la sua biografia di Freud in tre volumi. Quando però si fa leggere il libro, è contento di non essere stato coinvolto.

Titolo: Sigmund Freud. Il leggendario divano svela tutti i segreti
Autore: Christian Moser
Editore: Cortina raffaello
Dati: 2010, 150 pp., 16,00 €

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One thought on “Al divano sono saltate le molle ma anche i freni inibitori

  • Settembre 27, 2011 alle 11:48 pm
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    Ufficialmente per far rilassare i pazienti e non condizionarli con espressioni scettiche o annoiate. Di fatto “Freud semplicemente non poteva sopportare il fatto di essere fissato per otto ore al giorno”. Cristian Moser, l’autore del libro, narra il perche’ del divano nella psicoterapia Freudiana. Ma altre potrebbero essere le ragioni, ad es.ad evitare che i pazienti, nel raccontare esperienze a volte dolorose, finissero con lo scorgere l’imbarazzo, il disappunto, il dolore e quanto altro potesse emergere dall’espressione dell’analista, causandogli possibili quanto probabili “mutamenti” cambiamenti nel racconto. Quest’ultima ipotesi a me pare piu’ plausibile della prima. Grazie e saluti.

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