Le vite parallele di Pirandello e Sciascia

“Trovarsi davanti a un pazzo sapete cosa significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni.
Pirandello – Enrico IV

La vita è gioco, anche se in crosta di tormenti.  Il pirandelliano gioco delle parti, nell’impatto con figure familiari ingombranti si tramuta in gioco dei padri. Chi sta nel cono d’ombra di padri di troppa mole, sempre celebrati nello spazio e nel tempo, extra large in quanto a talento ed intelligenza, presto o tardi deve uscirne, liberarsi, sia pure in forma indiretta. Capita così che per raccontare il proprio, di padre, o il senso di inadeguatezza sviluppato nel cono d’ombra e ghetto familiare, debba rincorrere la vita altrui e svolgerla in narrazione. Sia pure restando a casa: nella dimensione insulare di una condivisa sicilianità.

Anna Maria Sciascia, figlia di Leonardo Sciascia,  ha raccolto in un breve ma intenso saggio, Il gioco dei padri. Pirandello e Sciascia, una trama di vite parallele che tutto ha sovrastato e determinato, anche la nascita della letteratura. Raccontando la famiglia Pirandello, la pazzia della moglie Antonietta, la solitudine della figlia Lietta, Anna Maria Sciascia ha raccontato indirettamente, come in un sottile gioco di specchi,  il difficile approccio alla vita di chi sta nel ruolo di figlia dello scrittore famoso. Il saggio edito da Avagliano nella collana “Le coccinelle” è stata una felice e casuale scoperta nel mare magnum della fiera della piccola editoria romana appena conclusa. Pescato in acque tanto torbide e caotiche, il libro si è lasciato tirare dalla rete di chi va a pesca di psicologia esistenziale. La Sciascia dal canto suo nella sua rete ha tirato lettere, opere letterarie di Pirandello e scritti di altri siciliani illustri, quali Bufalino, Camilleri, per ricostruire le peripezie familiari del padre del Fu Mattia Pascal e dei personaggi in cerca d’autore, creature della vita prima che dell’arte. Anna Maria cita suo padre, Leonardo Sciascia e il suo Alfabeto pirandelliano in cui Pirandello è impressionato per essere scrittore “femminista”, “il più femminista che la letteratura italiana annoveri”, volendo indicare “la sua trepida, dolorosa, angosciante attenzione alla condizione della donna”.

A ben vedere l’arte di Pirandello scaturisce  dalle donne della sua vita, dominatrici e vittime della scena, dalla pazzia della moglie e da essa è alimentato, la vera musa pirandelliana è Antonietta e non Marta Abba, il suo disagio mentale, seppure l’uomo sia in una oscillazione continua tra sensi di colpa e  ricerca di un’altra identità, un’altra vita, cosa che riesce solo nella finzione a Mattia Pascal. Tanti legami sotterranei nel libro, rimandi e proiezioni. Elemento comune ai siciliani raccontati, Sciascia e Pirandello, oltre la scrittura, la condivisione della materia tellurica: lo zolfo. “Entrambi figli dello zolfo elemento determinante nella vita delle due famiglie  con una differenza: i Pirandello gestivano le miniere, gli Sciascia vi lavoravano”. Ma mentre il padre di Leonardo lasciò la vita nelle miniere come altri siciliani, “morti affaccendati”, Luigi poté coltivare il suo talento proprio grazie allo zolfo. La storia di Luigi e Antonietta raccontata nel libretto, è infatti quella di un matrimonio di una Sicilia di fine ‘800, combinato per interesse, da parte di due soci nel commercio dello zolfo. Antonietta porta la dote che assicura ai giovani sposi sbarcati da Girgenti in continente e approdati a Roma, una vita tranquilla e permette a Luigi di affermarsi come scrittore. Il matrimonio d’interesse è sublimato grazie alla letteratura e diventa “un matrimonio d’amore con la moglie ideale”. Ma Maria Antonietta, non vuole e non può essere la moglie ideale, seppure Luigi tenti in principio di immetterla nel mondo dell’arte e la proietti nel ruolo della “più perfetta scrittrice della terra”. Quando la miniera si allaga e la dote va in fumo, c’è la prima incrinatura psicologica di Maria Antonietta. Ciò che connota la sua identità di donna siciliana, la roba, si dissolve. E lei  non ce la fa a sopportare la rivale, la letteratura, non ce la fa a stare al gioco della finzione, a sostenere un ruolo che non le appartiene in un mondo che non la riguarda: “Dal gennaio 1894 al giugno 1899 la piccola sperduta Antonietta ha affrontato l’impatto del matrimonio con un genio, il passaggio da Girgenti a Roma, da un mondo angusto pieno di pregiudizi all’ambiente letterario frequentato dal marito, la nascita di tre bambini (…)”. Il ghetto familiare romano è veramente povero, comprende soltanto i suoi tre bambini con la fatica di accudirli e la cameriera. Quell’esclusivo ruolo di moglie e di madre che, molto probabilmente, avrebbe accettato se avesse sposato uno qualunque, accanto a Luigi le riesce insopportabile. Altra doveva essere la vita con lui, ma per essere altra la vita bisognava che fosse altra lei: si sentiva vittima e colpevole al tempo stesso”. Antonietta sviluppa una gelosia insostenibile per la potente rivale, la letteratura e “nella trasmissione telepatica che è parte integrante di ogni matrimonio d’amore, i personaggi in cerca d’autore che si presentano al marito cominciano a ossessionarla, le figure femminili da lui create e indubbiamente amate, sono le sue rivali, e sono tanto più pericolose di quanto lo sarebbero se fossero reali, perché ineliminabili”.

In questo la storia della moglie di Pirandello ricorda da vicino quella di Sofia Andreevna, moglie di Tolstoj e madre di 13 figli, da lui sempre messa in ombra, e che avrà sempre un rapporto di amore odio col marito in una perenne condizione di guerra e pace in famiglia, fino al finale incredibile, la fuga, questa si realizzata di un pimpante Tolstoj ottuagenario. Antonietta troverà un po’ di quiete nell’assenza, prima con le fughe in Sicilia verso un’esistenza senza rivali, poi il ricovero in una casa di cura romana da cui non uscirà più. L’affetto di Pirandello, allora si riverserà sui figli, in particolare sulla femmina, Lietta, con cui scambierà lettere appassionate e dolci, almeno fino a quando verrà il tempo del gelo e della distanza. Quando Lietta andrà in sposa a un commerciante cileno, i rapporti si allentano perché lo scrittore non stimava il genere. Poi, quando Luigi conobbe l’attrice Marta Abba, la figlia scriverà pesanti giudizi sull’attrice che il padre non le perdonerà. In questa storia familiare raccontata dalla Sciascia emerge anche un modo tortuoso di intendere e vivere l’amore di Pirandello. Probabilmente fu sempre e solo amore platonico verso le sue donne, dopo Antonietta creatura dei sensi come Sofia Andreevna, Pirandello rivela comunque nella sua storia familiare “un se stesso intimo dalla sessualità inibita o malata, incapace di passione e slancio, compagno difficile e amante impossibile”. Rimarrà il senso di colpa per avere ingannato la moglie con l’illusione di un amore puro, tentando forzatamente di trasformarla in creatura dell’arte per poi rinfacciarle il peccato mortale d’essere “una cara bambina, una buona moglie, ma incapace di intenderlo e sentirlo elevatamente”. E sfogherà allora la sua corda pazza nella galleria di personaggi della letteratura e del teatro. Resta, infine l’amore incondizionato di una figlia e il rimando alla propria condizione di figlia di Sciascia: “tante tra loro e me le affinità e le corrispondenze, prevalente tra tutte il senso di solitudine e di emarginazione: sperdute nella vita, inadeguate sempre e ovunque”, svela a conclusione del libro Anna Maria Sciascia. La percezione di inadeguatezza e inferiorità, l’abito da reclusa che qualche volta si porta a vita che è talvolta l’eredità dei grandi padri.

Anna Maria Sciascia, "Il gioco dei Padri. Pirandello e Sciascia" (copertina)Titolo: Il gioco dei padri. Pirandello e Sciascia
Autore: Anna Maria Sciascia
Editore: Avagliano Editore
Dati: 2009,  102 pp., 5,00 €

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