Il buio onirico della contessa. Le parole perdute di Carey Wallace

Come i fiori si chiudono per la notte, così gli occhi di Carolina si preparano per il buio irreversibile. Basato sulla vera storia della donna che ispirò l’invenzione della macchina da scrivere, Le parole perdute di Carey Wallace è il tripudio della bellezza della natura e dell’amore.

Protagonista del primo romanzo della scrittrice americana Carey Wallace è una giovane nobildonna italiana del XIX secolo, la contessa Carolina Fantoni da Fivizzano.

Amante della solitudine, Carolina trascorre molto del suo tempo nel capanno che il padre le aveva costruito quand’era bambina, sulla riva del lago vicino alla villa di famiglia. Lo condivide con Turri, l’amico eccentrico di dieci anni più grande di lei, capace di osservare la natura, sperimentarla e servirsi della fantasia. Grazie a questa sua sensibilità percettiva, proprio Turri è l’unico in grado di comprendere il dramma che Carolina sta vivendo: la perdita della vista. Nessuno le crede, nessuno la prende sul serio: né i genitori né il marito. Solo Turri l’ascolta, e l’aiuta a scoprire un luogo dove le è permesso di vedere: il sogno.

In questa nuova dimensione, Carolina non solo può materializzare nel buio dei suoi occhi pizzi blu e vestiti rossi, ma può anche esplorare il non-visto. Intraprende un viaggio alla riscoperta dei propri sensi, vivificando le immagini che scorrono nella mente. In questa dimensione vola, gioisce, ama e assapora di nuovo la bellezza della natura.

Carolina perde anche la libertà e la capacità di scrivere parole sulla carta con la boccetta d’inchiostro; ma Turri trova un rimedio, creando per lei una (anzi, la prima) macchina da scrivere (il titolo originale del romanzo è proprio The Blind Contessa’s New Machine). Grazie a questa straordinaria invenzione, Carolina ritrova l’uso delle parole scritte, che serviranno a comunicare con lui. Emerge l’amore, scoppia la passione. La loro esistenza cambia, perché ormai entrambi capaci di sognare ciò che è e ciò che non è.

Questo, a grandi linee, l’intreccio. Tuttavia, è molto difficile descrivere brevemente la trama di un libro simile, perché ogni momento è corredato da immagini della natura (il lago e la sua flora), descrizioni di particolari uditivi (le foglie secche, il fruscio delle vesti ottocentesche), colori accesi (il giallo trionfante dei limoni), particolari sensoriali così vividi che sembra di far torto all’autrice e alla sua capacità descrittivo-estetica limitandosi all’esposizione dell’intreccio amoroso. L’attenzione di Carey Wallace per il mondo naturale e dei sensi, impressa in una scrittura dinamica, porta infatti Carolina ad incarnare l’intera fluidità del reale. Le parole perdute è, nel pieno senso del termine, un libro “romantico”.

Al poeta Novalis appartiene la celebre definizione di romanticismo: “Quando conferisco al comune un senso più elevato, all’ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, allora io la romanticizzo”.
Questo è riuscita a fare anche l’autrice:  “romanticizzare” la realtà comune guardandola con gli occhi della fantasia, più che con quelli della ragione. Lo spazio notturno che invade gli occhi di Carolina è diventato il regno del sogno, inteso come indispensabile veicolo verso l’infinito. Alla ragione vengono contrapposti il sentimento, che coglie intuitivamente ciò che sfugge, l’istinto che indica all’uomo le ragioni di una scelta e la passione che è il movente irrinunciabile.

Proprio il buio di Carolina, paradossalmente, può essere per il lettore lo strumento per riscoprire la meraviglia della vita quotidiana, che scorre davanti agli occhi, riempie di suoni,circonda con i suoi profumi, si assapora  e solletica il tatto.

Titolo: Le parole perdute
Autore: Carey Wallace
Editore: Frassinelli
Dati: 2010, pp. 243, € 18,50

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