La psichiatria come attitudine allo stupore, prassi dell’incontro e scienza antropologica: la lezione di Callieri, instancabile viandante nel mondo della vita

“Tutto è divino e tutto è umano” (Ippocrate)

“Per quanto tu cammini per ogni via, i confini dell’anima non li troverai” (Eraclito, frammento)

“In ogni prospettiva non scientifica, pensiero patologico e pensiero normale non si contrappongono ma si completano” (Lévi-Strauss – Antropologia strutturale)

Che dietro i panni mortali si celi un dio? La stessa domanda che si facevano i greci quando da terre ignote sopraggiungeva un ospite di cui nulla si sapeva affiora quando si ascolti parlare il professor Bruno Callieri, psichiatra fenomenologo di cui tanto si sa, eppure  resta sempre nuova e sorprendente la scoperta delle estensioni del suo sapere e dell’intelligenza morale. Da quale dimensione arriva a parlarci dell’umano? È uno psichiatra o piuttosto un poeta? Forse è uno psichiatra-poeta, oppure è un poeta al servizio della psichiatria che nelle sue mani perde i connotati di scienza triste, riduzionista, spaventevole, e si fa veicolo, medium, ponte, solido e flessibile insieme, verso l’umanità sofferente; diventa scienza empatica dotata di una forza di compassione dal sapore buddista. Forse è anche e soprattutto un rianimatore delle coscienze, un filosofo della scienza, ma di una scienza che si impone come prassi dell’incontro e della relazione per fare sempre luce insieme, medico e paziente, sui moventi fondamentali dei comportamenti umani. Del detto e del non detto; dell’impatto con la vita, della ferita o ferite d’origine.

Callieri, infatti, si definisce più volentieri antropologo e auspica che la psichiatria spicchi l’ultimo rivoluzionario volo della sua giovane vita e diventi antropologia culturale; che intersechi campi del sapere oggi imprescindibili; che abbandoni la spocchia eurocentrica per incontrare con viva partecipazione le culture altre, il mondo. Tutto quel mondo di verità differenti, saperi d’ispirazione sacra centrati sull’integrazione dell’umano nei cicli cosmici che continuiamo a scansare con supponenza o a usare strumentalmente per trarne profitto, secondo modalità proprie di una cultura etnocentrica, egemonica e colonialista. Niente di strano dunque che Callieri, docente di psichiatria e di clinica neuropsichiatrica all’università di Roma La Sapienza, abbia calamitato l’attenzione di tutti i presenti al recente convegno nazionale dell’associazione italiana Rorschach dal titolo I metodi proiettivi contro i modelli riduzionistici della mente che si è svolto a Roma. Si parlava di modelli psicometrici, dei test delle macchie (Rorschach e Zullinger): sono spuntati fiori, le rose del pensiero che si fa esercizio mistico. In un intervento hanno trovato posto la ricostruzione della storia della psichiatria che collima in parte con la personale storia di un uomo quasi prossimo ai 90 anni (“sono alla fine del secondo tempo supplementare”, dice ironicamente di sé Callieri usando la metafora calcistica); il richiamo alla fenomenologia e alla filosofia; una lezione di etica professionale e umana: l’etica del viandante e dell’incontro, la capacità di riesumare con l’uso orfico delle parole, cadaveri riposti nella mente dormiente di ciascuno e spargere catarsi o qualcosa che le somiglia molto.

Questa abilità fa dello psichiatra-antropologo Callieri una sorta di ‘sciamano’ (se si abbraccia un punto di vista per l’appunto antropologico), o l’equivalente di ciò che per Proust era lo scrittore (se si chiede aiuto alla letteratura che pure se ne intende di movimenti dell’anima). Ti parla di psichiatria, attraversa la storia del pensiero del ‘900, Callieri, ma intanto sta parlando a te, proprio a te, e ti sta svelando ciò che sei, chiunque tu sia, seduto ad ascoltare, medico, allievo o altro: sei quello che vuoi essere, che puoi essere, sei intenzionalità, incontro voluto o mancato, sei il punitore di te stesso o il tuo migliore esaltatore di sapidità, sei cosa scegli d’essere ogni giorno dal risveglio a seguire, declinando le potenzialità infinite della tua identità in un divenire storico e culturale.

“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso – scriveva Proust ne Il tempo ritrovato, e poi aggiungeva – l’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Allo stesso modo, Callieri ha fornito alla platea di psichiatri e terapeuti le lenti per trovare innanzitutto la propria essenza umana, integra malgrado gli automatismi, e nel racconto dei casi patologici, scorgere il proprio ritratto o una parte di sé. Ecco la bella psichiatria che è indagine esistenziale, che usa il farmaco quando serve, che sa scorgere nella sofferenza o nel disturbo del comportamento anche una modalità d’essere. Siamo gocce di uno stesso mare. E Callieri ha raccontato della sua lunga navigazione in questo mare sulla barca della psichiatria: “Nella psichiatria come oggettività del caso mi sono aggirato soddisfatto per oltre 30 anni, fino a che sono arrivato alla persona. E la persona è qualcosa di ben diverso dal caso”. Ha raccontato di essere stato un medico ‘alienista’, un medico cioè che si occupava dell’alienazione mentale e ”finiva per esaminare tutto nell’atto dell’obiettivazione, cioè finiva per reificare l’altro, la persona, costringendolo in toto all’anonimato di categorie oggettuali”. Questa era la psichiatria a-dialogica, “frutto del pensiero positivista secondo il modello totalitario delle scienze naturali che obbligava ad andare incontro a un riduttivismo poi elevato a sistema, che poi diventava sistema di valore euristico”. Da che nel 1863 il tedesco Wilhelm Griesinger sostenne che le malattie mentali sono organiche e riguardano il cervello, la psichiatria si è data un gran da fare ad assolutizzare questa teoria e a fare dell’uomo malato niente altro che un ingranaggio rotto, spesso irrecuperabile. “Non voglio dire che la psichiatria non sia anche una neuroscienza – ha precisato Callieri – e non debba avvalersi di metodi neurobiologici, ma non si può cadere nel riduttivismo e nell’ambiguità”.

Da quando Ludwig Binswanger, massimo esponente dell’analisi esistenziale e della psichiatria fenomenologica, ruppe ogni indugio immettendo il pensiero di Husserl e Heidegger nel campo di studio della salute mentale, non poteva che accadere un radicale mutamento del punto di vista: “Per essere compreso pienamente l’essere umano necessita della caratterizzazione come presenza – ha fortemente evidenziato Callieri – La psichiatria non è una scienza naturale, ma è una scienza umana, dell’uomo”. Uomo che è esistenza e al tempo stesso storia e cultura. Callieri ha ricordato Husserl e l’avvento con la sua speculazione del mondo vissuto, il mondo della vita. “A questi capisaldi si debbono le grandi aperture d’orizzonte di psichiatria e psicopatologia al rapporto intersoggettivo. Ma da intersoggettivo a interpersonale c’è un altro salto enorme”. Intersoggettività che “significa saper cogliere l’alter ego anche nel caso clinico più banale, l’altro da me che per ragioni diverse è allettato o lo schizofrenico”. L’interpersonale implica poi un ulteriore scatto in avanti. Callieri ha testimoniato la sua trasformazione, non semplice, da medico alienista che finiva per alienarsi lui il rapporto umano, a psichiatra fenomenologo; metamorfosi professionale ed interiore, dello scienziato che cerca l’equilibrio in bilico, secondo l’accezione jasperiana, tra spiegazione, come ricerca di cause oggettive, e comprensione, ovvero saper sentire l’alter ego. Persino l’ acconsentire la sofferenza dell’altro. Tra due tensioni di segno opposto, il tertium ineludibile per Callieri è stata ed è la psicoanalisi, “causalistica nelle teorie fondative, ma nella pratica umanista. La psicoanalisi classica implica sempre il recupero del soggetto, così come prospettato anche dall’antropologia esistenziale”. Tutto torna quando si torna o si arriva al punto di partenza: l’umano. Ancora concetti fondamentali del predicare esistenziale di Callieri che è non solo prassi operativa ma scelta  di vita: rapporto, incontro, relazione.

La storia umana è storia di incontri, a parte quelli terapeutici, compresi gli incontri mancati, quelli falliti o impossibili. L’io si pone sempre e soltanto in relazione, secondo la lezione di Heidegger, e “quando diciamo io, è un io che presuppone sempre un tu, anche nell’assenza”. La fenomenologia ci ha consegnato questi nuclei di verità per cui “lo psichiatra non può essere solo prescrittore di farmaco, ma deve essere anche sensibilizzatore degli orizzonti terapeutici. Per questa via, la psicoterapia significa psicoterapie e impone allo psichiatra scelte, aperture, selezioni, per favorire il divenire Sé, junghianamente inteso, del paziente, altrimenti se non opero in questo modo divento un prescrittore di farmaco e riduco di nuovo la persona a cosa”. Lo psichiatra invece deve farsi viandante sulla via del meticciato e della transculturalità: “A me – ha svelato Callieri – dell’uomo malato in senso occidentale interessa poco, ora. Vedo culture diverse dalla nostra che consentono, suggeriscono, obbligano a considerare l’altro in un altro modo. Noi occidentali, noi di una cultura europea, una cultura del libro, dobbiamo sentire, vedere, percepire, la presenza massiccia dell’altro, ma non come semplice constatazione che il mondo è complesso. Deve diventare carne della nostra carne. Noi psichiatri dobbiamo diventare antropologi culturali”. Dunque la necessità di una etnopsichiatria che contempli le culture dell’umanità e sia narrazione dell’identità. La terapia è già di per sé narrazione. Ma che identità si narra? Non un’identità data una volta per tutte bensì “un’identità multipla che si trasforma o è continuamente rinascente. Non per nulla – ha riepilogato Callieri – il poeta disse “io nacqui ogni mattina.” (E il poeta è D’Annunzio). La letteratura l’ha sempre saputo che l’identità ha mille pieghe, grinze comprese.

Indispensabili restano lo stupore e la freschezza dell’incontro, in psichiatria come in ogni ambito del mondo della vita, quali antidoti alla caduta in un’oggettività sepolcrale. Per non essere morti in vita.

 

Di Bruno Callieri si possono leggere: Percorsi di uno psichiatra, Eur edizioni

Medusa allo specchio, maschere tra antropologia e psicopatologia, Eur edizioni

Quando vince l’ombra, problemi di psicopatologia clinica, Eur Edizioni

Corpo, esistenze, mondi. Per una psicopatologia antropologica